la Repubblica, 23 ottobre 2014
Il sindaco di Genova Marco Doria, nella bufera dopo l’alluvione, non si dimette e si difende: «Insultatemi pure ma non mollo. Tra tasse sospese e opere da sbloccare, lasciare adesso non ha senso»
«Come uomo e come sindaco di una comunità ferita, penso continuamente a chi ha perso la vita e a chi è stato colpito. Non credo che le cause di questi eventi siano da ricercarsi in quanto fatto dal Comune nei due anni della mia amministrazione, ma, come sindaco, mi assumo la mia parte di responsabilità per quello che le istituzioni tutte non hanno saputo fare in anni e anni».
Marco Doria è sotto assedio. A Genova è tornato il sole, ma due settimane dopo la rabbia della gente non si è placata. Anzi, a freddo, si è acuita. «I genovesi che mi hanno contestato, tra cui De Andrè e Baccini, li capisco. Ma dimettermi è l’unica cosa che sono sicuro di non fare in questo momento, anche a costo di prendere degli insulti. Sarebbe come abbandonare la nave in tempesta. E io devo stare qui per dare delle risposte ai miei concittadini».
Quelle che sono mancate sinora. In tre anni, dall’alluvione che costò la vita a sei donne, non è stato fatto nulla.
«Questo, per quanto mi riguarda, non è vero. Appena mi sono insediato, nel 2012, ho fatto partire la gara per realizzare lo “Scolmatore”, cioè l’opera fondamentale, attesa da vent’anni, che dovrebbe scongiurare altre alluvioni del Fereggiano, il torrente esondato tre anni fa, e mitigare il rischio sul Bisagno. Siamo riusciti a sbloccare l’opera con il governo Monti, abbiamo reperito i fondi: 25 milioni a carico dello Stato, 15 a carico del Comune e 5 della Regione. Siamo andati avanti, abbiamo preparato il progetto».
Però, cantieri nulla.
«È accaduto che ci sono voluti cinque mesi tra aprile e agosto di quest’anno, per ottenere il parere positivo della Corte dei Conti. O meglio, tre mesi per il parere e due per depositarlo. Adesso, forse, ce la facciamo a far partire i lavori entro fine anno. Questo è uno dei problemi principali dell’Italia. Serve un modello svizzero per fare le cose e sono convinto che il premier Matteo Renzi possa essere la persona giusta per cambiare».
Nel frattempo, però, si è appreso che tre dirigenti, attualmente imputati per l’alluvione di tre anni fa e per aver falsificato i verbali, sono stati premiati.
«Queste persone sono state trasferite dalla Protezione Civile ad altri settori e a qualcuno è stata anche diminuita la retribuzione, in attesa di una sentenza».
Sì, ma il concetto stesso di premio suona offensivo per le vittime.
«Non è una voce una tantum, ma una parte fissa della retribuzione legata automaticamente al raggiungimento di certi risultati. Noi potevamo riconoscerla per intero o per metà. Abbiamo scelta la seconda soluzione. Questa è la normativa».
Che però, si potrebbe cambiare.
«Questo è un altro discorso. Serve una riforma radicale. La pubblica amministrazione non va picconata, perché comprende anche tanti funzionari encomiabili, ma va radicalmente riformata. Serve una struttura più flessibile, con tempi di reazione più rapidi di fronte a eventi come quello del 9 ottobre, servono leggi che permettano di realizzare le opere urgenti più rapidamente, appunto come nel caso dello Scolmatore».
Lei si era candidato dopo l’alluvione del 2011, proprio perché la gente si sentiva tradita dai politici. Adesso, questo sentimento è ancora più forte. Nelle ore del disastro in giro per la città si vedevano solo i volontari.
«I nostri dipendenti hanno lavorato tantissimo, per mettere in sicurezza scuole, strade e edifici. Abbiamo dato assistenza nei Municipi a chi voleva pulire le strade, abbiamo fornito 1.200 pale, abbiamo portato via tutto il fango che migliaia di volontari, e li ringrazio, hanno spalato. E adesso io devo dare delle risposte urgenti ai genovesi. Per questo, lo ribadisco, resto al mio posto».
Cosa farete?
«Abbiamo sospeso il pagamento delle tasse comunali. Poi, abbiamo creato un fondo di due milioni con l’obiettivo di ridurle o se possibile addirittura azzerarle. Lo devo ai genovesi devastati e per questo pretendo, come sindaco, che il governo Renzi mantenga ciò che ha promesso in queste ore in cui l’ho sentito molto vicino e soprattutto operativo. Il caso Genova deve diventare una delle prime due-tre emergenze nazionali». Sindaco, una domanda che si fanno in molti. Perché andare a Courmayeur una settimana dopo l’alluvione? Non le sembra uno schiaffo alla città ferita? «Dopo nove giorni di emergenza assoluta avevo bisogno, e credo, il diritto, di passare mezza giornata con la mia famiglia. Ma ho capito che il problema non era questo, era il luogo, Courmayeur. Se fossi andato a Ovada, nessuno avrebbe avuto da eccepire».
Infatti, è una questione di opportunità. Non le pare? «Sono tornato subito a Genova e ho ripreso a lavorare».