Corriere della Sera, 23 ottobre 2014
I dubbi sulla manovra, il ritardo della bollinatura, le proteste delle Regioni, il problema della riforma elettorale: tutto fa pensare che per Renzi si avvicini il momento delle elezioni
Matteo Renzi sostiene che un’eventuale lettera di richiamo dell’Unione Europea all’Italia non sarebbe una tragedia. Anzi, «è naturale» e non basterebbe per «parlare di bocciatura». Non è esattamente quanto sosteneva in passato. Ma è possibile che l’ottimismo derivi anche dal «sì» che ieri la Ragioneria generale dello Stato ha dato alla legge di Stabilità preparata dal governo: sette giorni dopo la sua presentazione; e dall’udienza che il premier e alcuni ministri hanno avuto ieri al Quirinale con Giorgio Napolitano in vista del Consiglio europeo di oggi e domani.
Viene solo da chiedersi che cosa sia accaduto nel frattempo, e che idea ci si sia fatti a Bruxelles del ritardo tra versione non «bollinata» e testo definitivo della Legge. Il presidente del Consiglio è convinto che l’Europa stia parlando un linguaggio più italiano, perché si discute di investimenti.
La volontà è di fare apparire il semestre della nostra presidenza diverso dagli altri. Si tratta di un’ambizione sacrosanta, contraddetta da una confusione paradossalmente in aumento. Il caso della legge di Stabilità approvata in ritardo dalla Ragioneria ne è solo un esempio. Fa il paio con la riunione tra governo e Regioni, in subbuglio per i tagli decisi da Palazzo Chigi, prima data per annullata e poi riconvocata per questa mattina; e con le nuove ipotesi di riforma elettorale lanciate da Renzi, e bocciate dal suo principale interlocutore Silvio Berlusconi. Le opposizioni additano il premier come un moltiplicatore di tasse e di annunci.
E promettono fuoco e fiamme.
Non si vedono, tuttavia, minacce per la stabilità del governo. L’impressione, semmai, è che i troppi fronti aperti da Renzi stiano producendo esiti contraddittori; e mettano in tensione lo stesso patto del Nazareno con FI. Il consigliere berlusconiano Giovanni Toti lo definisce più o meno carta straccia, dopo che il premier ha parlato di un premio alla lista di un partito: un Pd dato vincente. In realtà, l’ex Cavaliere è più cauto e si limita a ribadire che la riforma del sistema elettorale va concordata tra Renzi e lui. Berlusconi sa, infatti, di non potersi permettere rotture col capo del Pd. In teoria, non conviene neppure al capo del governo.
Ma le aperture al Movimento 5 Stelle sull’elezione dei giudici costituzionali, frustrata da tre mesi di nulla di fatto, segnala una spregiudicatezza e una voglia di mani libere che FI teme. Il timore è che preluda a prove di intesa a oggi altamente improbabile. In grado di emergere, però, se aumentassero il caos e l’impossibilità di arrivare a risultati concreti sulla legge di Stabilità e su altre riforme. A quel punto, lo sbocco di un voto anticipato potrebbe quasi apparire il male minore, anche in assenza di un nuovo sistema elettorale; e cogliere il centrodestra impreparato come non è stato mai da anni. La strategia del Pd come «partito pigliatutto» è esplicita. E la riunione fiorentina di domani alla vecchia stazione della Leopolda serve a consacrarle tra i mugugni altrui. Quando Berlusconi si dice convinto che «non si andrà a votare prima del 2018», mira a rassicurare il proprio partito. In realtà, cerca di esorcizzare le urne.