Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2014
Risale il prezzo del petrolio, merito della ripresa della domanda in Cina. Intanto chiude un giacimento tra Arabia Saudita e Kuwait: si tratta di 280mila barili di greggio al giorno ritirati dal mercato che potrebbero far crescere ancora i prezzi
Non è ancora abbastanza per rilanciare il prezzo del petrolio. Ma qualche segnale rialzista si sta affacciando sul mercato, sia sul fronte della domanda, grazie a un balzo dei consumi cinesi in settembre, sia su quello dell’offerta, con la notizia – dai contorni non ancora del tutto definiti – della fermata di un giacimento da parte dell’Arabia Saudita.
Sono stati soprattutto i dati dalla Cina a colpire gli investitori. Il gigante asiatico il mese scorso ha lavorato nelle sue raffinerie 10,3 milioni di barili al giorno di greggio, bruciando il precedente record storico di 10,2 mbg che risaliva a dicembre 2012. Si tratta di un aumento del 4,8% da agosto e del 9,1% rispetto a un anno prima. Anche le importazioni di greggio del resto si erano impennate del 13,1% in settembre, mentre la produzione industriale ha accelerato il passo, con un +8% annuo contro il +6,9% di agosto.
La cautela è comunque d’obbligo. Sempre ieri si è saputo che l’economia cinese nel terzo trimestre ha frenato la crescita al 7,2%, il tasso più modesto dai tempi della recessione globale (benché superiore alle attese) e per quanto riguarda il petrolio c’è scetticismo sulla salute della domanda: è più probabile che le raffinerie cinesi abbiano voluto approfittare dei ribassi del greggio per accelerare le lavorazioni, ricostituendo scorte di carburanti. Inoltre la capacità di raffinazione è cresciuta, con la messa a regime di nuovi impianti di Petrochina e Sinopec.
Anche le acciaierie cinesi del resto hanno accelerato, arrivando a produrre la quantità record di 2,25 milioni di tonnellate al giorno in settembre, ma non certo perché la domanda interna si stia risvegliando. La molla è stata piuttosto il crollo dei costi di produzione (il prezzo del minerale di ferro è sceso del 40% quest’anno) e l’eccesso di acciaio viene ora spedito a prezzi stracciati sui mercati di esportazione, con ulteriore danno per la siderurgia europea.
Sulle quotazioni del petrolio l’effetto delle statistiche cinesi è stato positivo. Grazie anche ai rialzi dei listini azionari il Brent per dicembre ha chiuso a 86,22 dollari al barile (+1%), mentre il Wti per novembre, dopo una seduta quasi tutta in rialzo, è giunto a scadenza a 82,81 $ (+0,1%). Solo giovedì il riferimento europeo era crollato a 82,60 $, il minimo da 4 anni.
Sullo sfondo c’è intanto un’altra vicenda dai possibili effetti rialzisti. Il giacimento offshore di Khafji, situato nella Neutral Zone, un’area controllata congiuntamente da Arabia Saudita e Kuwait, ha sospeso la produzione per adeguarsi a nuove normative ambientali saudite. Si tratta di 280mila barili di greggio al giorno ritirati dal mercato per volontà di Riyadh, ma che per metà sono in quota al Kuwait: di fatto un taglio della produzione Opec, il cui peso non ricade soltanto sulle spalle dei sauditi.