la Repubblica, 21 ottobre 2014
Tags : 03. Articoli su Massimo Giuseppe Bossetti
Caso Yara. Per il Tribunale del Riesame la prova del Dna è inconfutabile, Bossetti deve restare in carcere: «Se la pensano così è inutile che mi facciano il processo. Mi hanno già condannato»
«Se ritengono che quello è il mio Dna — diceva ieri Massimo Giuseppe Bossetti in carcere — è inutile che mi facciano il processo». Forse comincia a rendersi conto della situazione grazie a un’ordinanza lunga 23 pagine, che sembra un anticipo di ergastolo. Ne basterebbe una sola frase: «Se il prevenuto fosse messo in libertà potrebbe, assai facilmente, aggredire altre giovani con la stessa disinvoltura già manifestata ». Resta dunque dentro Bossetti, unico indiziato dell’omicidio di Yara Gambirasio. L’ha deciso ieri il tribunale del riesame di Brescia, confermando le prime valutazioni del gip di Bergamo, Ezia Maccora. Per i difensori, «Bossetti perde le speranze in un processo giusto, questo lo sta uccidendo giorno dopo giorno». Ma ecco i punti principali dell’ordinanza.
PRIVO DI SCRUPOLI
Il tribunale ritiene che «persista il rischio di recidiva», considerate le «crudeli modalità» dell’omicidio: «Non solo l’autore del delitto agiva in orario serale, approfittando del buio e del percorso solitario di ritorno a casa di una tredicenne inerme, ma anche si accaniva sulla vittima con plurime coltellate e la abbandonava agonizzante in area sterrata, tanto che la morte sopraggiungeva per l’effetto congiunto delle numerose lesioni da taglio e dell’ipotermia. L’indifferenza alla sorte dell’offesa dimostra un dolo intenso e mancanza del benché minimo scrupolo, qualunque fosse la ragione per cui aveva condotto Yara Gambirasio nello sterrato di Chignolo d’Isola». E il fatto di essere un padre di famiglia, con un lavoro, «svela ancor di più la sua mancanza di freni inibitori, in quanto, pur godendo delle migliori condizioni per condurre un’esistenza nel rispetto della legge, non aveva remore — scrivono i giudici — nell’infierire su una minorenne indifesa. Si staglia quindi evidentissima una carenza di capacità di autocontrollo ».
LA PROVA REGINA
«Il dato essenziale» mai smontato dalla difesa, nonostante i tentativi di parlare di epistassi o di complotto ai danni del carpentiere, «è costituito dal rintraccio sul cadavere dell’offesa di materiale biologico, diffuso sugli slip e sui leggins ». Si tratta di un profilo genotipico «straordinariamente di ottima qualità». E siccome Bossetti nei suoi interrogatori «aveva negato qualsiasi conoscenza o contatto con la vittima», l’unico momento del «contatto tra i due soggetti» è «avvenuto al momento dell’aggressione».
SLIP E LEGGINS
A dare questa certezza ai giudici è anche la procedura scientifica certosina adottata dai carabinieri del Ris. Hanno fatto 52 prelievi, «fino a isolare nell’area anteriore destra limitrofa al lembo tagliato» degli slip, «una diffusa presenza di materiale biologico di un individuo di sesso maschile, commisto al Dna della parte lesa. Analogamente sui leggins erano campionate alcune tracce vicino all’inguine destro costituite da materiale biologico misto (12 prelievi) in cui emergeva (...) un contributo predominante maschile». E — attenzione — il «profilo genetico estrapolato dai due reperti era il medesimo: “Ignoto 1”». Sottolineano i giudici: «La modalità prescelta» dal sostituto procuratore Letizia Ruggeri «per gli accertamenti tecnici su campioni biologici non è sindacabile», perché è il pm che dirige l’indagine.
APPRODI INCONFUTABILI
L’importante è che gli accertamenti siano regolari e, nonostante le contestazioni dei difensori, «non è dato dubitare — scrive il tribunale — dell’attribuibilità a Massimo Giuseppe Bossetti dell’omicidio di Yara per le risultanze, allo stato incontrovertibili, evidenziate a suo carico fin dal provvedimento genetico». Il test ha individuato 21 marcatori sovrapponibili tra Bossetti e «Ignoto 1», e «questi approdi sono limpidi e inconfutabili».
IL CELLULARE E LE ALTRE TRACCE
C’è di più. In base alle celle telefoniche, recita l’ordinanza, «non sono smentiti gli assunti per cui il giorno del delitto l’indagato gravitava nei pressi ed era in condizione di avvicinare la parte lesa». Così come le tracce di polvere “da cantiere” portano a pensare a un altro tassello che va a posto. Ma questi sono elementi di contorno e anche le dichiarazione del fratellino di Yara, su un uomo con il pizzetto che seguiva la sorella, «suggeriscono prudenza ed esigono conferme ulteriori», anche per «le incoerenze del narrato». Insomma, il Dna basta e avanza come prova pesantissima.