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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

Il primo concerto di Ligabue a New York: «Qui c’è l’essenza della musica del Novecento. Ma non mi fermerò in America per un disco, sono più pigro di Jovanotti, ho bisogno degli affetti di casa»

Eccolo qui, nel Paese che lui stesso definisce «il grande supermercato della mia alimentazione culturale», ad affrontare il suo primo concerto americano. Luciano Ligabue ha passato i primi 27 anni della sua vita tra i banchi di scuola e i mestieri più diversi: bracciante agricolo, operaio metalmeccanico, ragioniere, commerciante, calciatore e anche consigliere comunale del Pds. Gli altri 27 li ha passati sul palcoscenico. Ora, a 54 anni, il rocker di Correggio si esibisce per la prima volta in America: il concerto di Toronto, in Canada, è stato quasi la prova generale di questo al Terminal 5: i duemila del locale di Manhattan non impressionano certo un musicista abituato alle folle degli stadi, ma questo è pur sempre il tempio della musica pop a New York.
Un luogo che incute rispetto al Liga. Rispetto ma non timore: se ce n’era un po’ è svanito appena la platea plaudente si è trasformata in coro per «Il sale della terra», il pezzo col quale il cantante emiliano ha aperto il suo concerto. Ma perché lui, così legato alla sua terra, si è deciso a varcare l’oceano? Perché proprio ora?
«L’America — racconta al Corriere poco prima di salire sul palcoscenico —, per uno come me, è uno straordinario emporio dal quale sei libero di prendere ciò che vuoi. L’essenza della musica del Ventesimo secolo viene dagli Stati Uniti: il blues, che è la sorgente di tutto, il rock e suoi derivati. Amo Bob Dylan, Chuck Berry e cento altri protagonisti della scena del rock’n’roll, anche se poi mi sento più vicino a Elvis Presley, a una musica che è una vera celebrazione della vita. Vengo spesso qui ma non mi ero mai esibito. Poi, con l’ultimo tour che abbiamo chiamato “Mondovisione” ci siamo detti che era venuto il momento di farsi coraggio».
Dopo New York, dove ieri ha donato all’organizzazione degli Hard Rock Cafè una sua chitarra, la Fender Telecaster bianca usata durante il concerto al Terminal 5, Ligabue si esibirà a Los Angeles, San Francisco e Miami.
Mai avuto la tentazione, lei, un emiliano legatissimo alla sua terra, di provare a prendere una specie di sabbatico come ha fatto Jovanotti, restare negli Usa per un’esperienza più profonda, magari per fare un disco? «No — risponde Ligabue —: Lorenzo ha altre curiosità, io sono più pigro, ho più bisogno degli affetti di casa. New York mi piace moltissimo, ma io con le metropoli ho poca dimestichezza, non ho vissuto molto nemmeno a Milano. Ho una grande attrazione per l’America come ce l’ha il Guccini di “Fra la Via Emilia e il West”. La musica americana, le sue storie di sconfitti, disillusi, gente segnata dalla fatica di vivere, ci aiuta a costruire un’epica che filtriamo anche attraverso la nebbia delle nostre terre. La nebbia è complice, come diceva Fellini: non ti fa vedere, ma ti fa immaginare».
Non solo musica, l’«artista totale» Ligabue ha realizzato film come Radiofreccia , scritto romanzi e libri di poesie. Cosa c’è nei suoi prossimi 27 anni?
«Vorrei continuare a calcare il palcoscenico. Vedremo fino a quando sarà possibile. Il nostro è un mestiere bello ma aleatorio: non sai mai se una nuova canzone arriverà davvero alla gente. E se a un certo punto non arrivi più al tuo pubblico, sedicenni compresi, come avviene oggi, bisogna prenderne atto».
Non sembra un rischio imminente, a giudicare dall’entusiasmo del pubblico di New York composto anche di molti giovani italiani che lavorano e studiano nella Mela. Liga li ha sedotti con l’intimità di «Certe notti» e «Una vita da mediano» ma anche con l’asprezza di «Urlando contro il cielo».
Aveva detto che invecchiando stava venendo fuori un Ligabue più maturo, sentimentale, meno arrabbiato. Ma questo è sentimentale o arrabbiato? «Per un po’ mi ero autocensurato anche nelle canzoni, la durezza della vita mi pareva già assai esplicita. Ma mi sa che la rabbia sta tornando. E con essa l’indignazione».