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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

Ebola, nessun caso da 6 settimane. Per sconfiggere il virus la Nigeria ha isolato il 70% dei casi e scomodato Shakespeare

I «segugi» dell’Ebola hanno salvato il più popoloso Paese dell’Africa. Dall’ultimo contagio sono passati 42 giorni, due periodi di incubazione: l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che i 170 milioni di nigeriani per il momento sono «Ebola free».
Primo caso 20 luglio, ultimo 5 settembre: «Per ora l’epidemia è stata sconfitta» dichiara nella capitale Abuja il responsabile dell’Oms, Rui Gama Vaz. Il bilancio totale (20 casi, 8 vittime in tre mesi) equivale a quanto «macina» il virus nel giro di un’ora nei tre Paesi più colpiti (Liberia, Sierra Leone, Guinea). «Un successo straordinario» dice l’Oms. Ottenuto da una squadra di detective-operatori che hanno individuato e monitorato 900 persone sospette e 26 mila abitazioni.
Poteva essere una strage: quando il diplomatico Patrick Sawyer proveniente dalla Liberia sbarca e collassa all’aeroporto di Lagos si pensa sia malaria. In una clinica prima che un test confermi Ebola passano tre giorni e 11 operatori sanitari sono contagiati. Sawyer cerca di fuggire, racconta alla Bbc il direttore, si strappa le flebo, schizza sangue infetto sul personale. Muore tre giorni dopo la diagnosi. Fosse uscito sarebbe stato tutto più difficile: Lagos è un dedalo di 20 milioni di abitanti, habitat ideale per un’epidemia che non conosce cura.
Invece il virus trova subito chi è in grado di braccarlo e isolarlo. Autorità locali, Oms, Medici senza frontiere lavorano insieme sfruttando un team già in campo contro la poliomielite. Un’esercito di oltre 150 contact tracers (tracciatori) è sguinzagliato per individuare e monitorare le persone che hanno avuto contatti con il paziente zero e gli 11 operatori infettati nei primi giorni (4 moriranno). La lista delle persone sotto osservazione a domicilio arriva a quota 494. Si monitorano anche i vicini (26 mila abitazioni). Il momento peggiore: quando un contatto sfugge ai radar e si sposta nel Sud fino a Port Harcourt dove contagia un medico che muore: legati a lui altri 526 «contatti», compresi i membri della sua chiesa che ha organizzato una cerimonia che comprende il contatto delle mani. Ma il lavoro dei segugi riesce a bloccare il contagio a Port Harcourt. E in tutta la Nigeria. Come da manuale: Ebola si vince con un’organizzazione che isola il 70% dei casi. Preso all’inizio è più facile. Dove dilaga è l’inferno. Adesso l’Unione europea valuta l’ipotesi di «operazioni civili e militari in Liberia, Sierra Leone e Guinea — ha detto ieri Agostino Miozzo, direttore del Centro gestione crisi dell’Eeas — così come stanno facendo Usa, Gran Bretagna e Francia». Prima si fa meglio è: questa la lezione della Nigeria.
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L’intervista
«Questo successo ha tre chiavi» dice al Corriere della Sera il dottor Maurizio Barbeschi, medico dell’Oms al dipartimento «Global Capacities Alert and Response». Rapidità, attenzione epidemiologica, gestione degli aspetti sociali legati alla sensibilizzazione. 
Barbeschi è stato a Lagos tutto agosto, nella fase più calda della crisi: «Abbiamo parlato con re locali e capi religiosi per ridurre le feste che potevano favorire l’epidemia». Negli aeroporti di Lagos e Port Harcourt «abbiamo messo in piedi un efficace servizio con sei posti di controllo dal parcheggio al velivolo». 
Per creare il centro di trattamento «sono perfino andato a parlare con i sindacati. Non volevano lavorarci, ho detto loro che potevamo parlarne di fronte ai loro colleghi malati. Dopo che li hanno visti, si sono offerti in 60». 
Barbeschi ne ha assistiti alcuni: «I malati sono soli, aspettando di morire o di sopravvivere. Paura e noia. C’è chi magari ha bisogno di un libro oltre che di liquidi. Un giorno sono uscito dalla zona di isolamento, ho recuperato il primo volume che ho trovato, una raccolta di Shakespeare. A due malati ho letto attraverso la mascherina il Riccardo III . Uno è morto, uno ce l’ha fatta».