Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 21 Martedì calendario

In Nigeria hanno debellato ufficialmente Ebola. Intanto è guarita la dottoressa norvegese che si era ammalata in Sierra Leone, mentre il Lussemburgo dice sì alla nomina di un coordinatore europeo contro la malattia

Uno “zar” anti Ebola targato Ue per evitare passi falsi e scoordinati inciampi: il Consiglio dei ministri degli Esteri riunito ieri in Lussemburgo ha deciso di nominare l’alter ego europeo dell’avvocato Ron Klain, scelto da Obama per dirigere la battaglia al virus oltreoceano. Il nome sarà scelto nei prossimi giorni, e l’incarico verrà probabilmente affidato giovedì o venerdì durante il prossimo Consiglio europeo: «Abbiamo deciso di istituire la figura del coordinatore o coordinatrice Ue per Ebola – dice il ministro degli Esteri, Federica Mogherini – in modo da individuare qualcuno in grado di raccordare gli sforzi europei al lavoro dell’Onu e del G7. Si tratta di intervenire non solo sul fronte medico e sociale ma anche economico, con un lavoro di lungo periodo nelle zone colpite».
Intanto sul tavolo piove mezzo miliardo di euro, un passo lungo la strada del «maggiore impegno» chiesto dal presidente Usa e dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Il premier britannico David Cameron chiede che si arrivi a un miliardo di euro, se ne discuterà al Consiglio europeo. Per ora, la cifra messa a disposizione è di 330 milioni dagli Stati membri (compresi i 5 già stanziati, e i 50 annunciati, dall’Italia); più altri 180 impegnati direttamente dalla Commissione europea. Serviranno a rafforzare i centri specialistici di cura, a formare il personale sanitario e a definire uno standard comune per il rimpatrio dei contagiati, in prima misura i medici e gli operatori che rischiano la vita in Africa occidentale.
Nel frattempo, il mondo prende lezioni dalla Nigeria. Il virus che aveva fatto capolino nel Paese contagiando 20 persone, nove delle quali uccise dalla malattia, è stato arginato e sconfitto: da ieri, la Nigeria è ufficialmente dichiarata libera da Ebola. Un risultato persino incredibile in un Paese con 160 milioni di abitanti, devastato dal terrorismo e dalla corruzione: il 20 luglio, quando il “paziente zero” Patrick Sawyer, un diplomatico liberiano, svenne nell’aeroporto internazionale di Lagos, una metropoli da 21 milioni di abitanti, il mondo cominciò a temere l’ecatombe inarrestabile. E invece dopo 42 giorni trascorsi senza nuovi contagi il periodo finestra ha richiuso i battenti, e Rui Gama Vaz dell’Oms può brindare ad Abuja alla «spettacolare storia di successo», una «dimostrazione che Ebola può essere contenuta» anche se «la guerra non sarà finita finché l’intera Africa occidentale non sarà libera dalla malattia».
È una storia di eroismo, decisione e prontezza che merita un film: dalla forza con cui la dottoressa Ameyo Adadevoh, contagiata e uccisa, lo fece ricoverare impedendogli di lasciare l’ospedale nonostante le proteste sue e della Liberia; all’infermiera che lo placcò mentre fuggiva dopo essersi strappato le flebo, quando già era estremamente contagioso: anche lei è tra le vittime, il suo sacrificio ha evitato un massacro. Trecento persone entrate in contatto con Sawyer sono state isolate, e 26 mila abitazioni sono state contattate e visitate da ufficiali e volontari.
In Europa, ieri è stata dichiarata guarita la dottoressa norvegese di Msf che aveva contratto il virus in Sierra Leone, e oggi saranno ripetuti i test definitivi per confermare la guarigione dell’infermiera spagnola Teresa Romero. Dalla Sierra Leone arriva invece la notizia della morte un’operatrice di Un Women , terzo membro dell’Onu ucciso da Ebola. Negli Usa, intanto, altre 43 persone che avevano avuto contatti con Thomas Eric Duncan sono uscite dalla quarantena, e ne restano 120 sotto controllo: se tutti saranno negativi, il 7 novembre gli Usa potranno tirare un gran sospiro di sollievo.

Paolo G. Brera

***

Intervista a Rony Brauman, esperto di malattie tropicali e cofondatore di Medici senza Frontiere

«Scenario numero uno, il peggiore: Ebola durerà a lungo e ucciderà un milione di persone. Scenario numero due, il migliore: fermiamo Ebola entro tre mesi, moriranno ancora circa 20 mila persone. Tutto dipende da come agiremo. Ma anche da come evolverà il virus». Rony Brauman, esperto di malattie tropicali e cofondatore di Medici senza Frontiere — l’ong in prima fila nella lotta all’epidemia che è anche la più duramente colpita da Ebola, con 9 volontari morti — non azzarda previsioni. «La mobilitazione c’è: ma sul campo si vede ancora poco. Dovevano esserci 17 nuovi ospedali sul campo e non ci sono. E solo un decimo dei soldati promessi da Obama è già arrivato».
Cosa resta da fare?
«La risposta ritardata è stata fatale, ha permesso all’epidemia di estendersi. Non possiamo correggere il passato ma dobbiamo lavorare per tradurre in fatti le tante cose dette, le strategie elaborate. Tutto è ancora troppo lento. Certo, i governi stanno affrontando terrorismo, guerre, crisi economica. Ma serve uno sforzo di risorse e mobilitazione».
I governi sono impegnati affinché il virus non si propaghi in Occidente...
«Il focus deve restare l’Africa Occidentale: il rischio di avere casi di Ebola altrove è limitato. Il rischio di una epidemia in Europa o Stati Uniti è vicina allo zero. E pensare che da noi migliaia di persone muoiono ogni anno di altri mali — come la tubercolosi — e nessuno se ne preoccupa».
Perché Ebola fa così paura?
«Spaventa per la sua forma esplosiva. Uccide in pochi giorni, provoca dolori atroci, sanguinamenti. Risveglia paure bibliche di disastri estremi, punizioni divine. Amplificate dall’immaginario cinematografico, film come Contagion o 2-8 giorni dopo. Certo, nel passato la peste ha ucciso due terzi degli europei e la malattia è diventata una paura ancestrale. Ancora nel Novecento la spagnola ha colpito milioni di persone. Il nostro dovere è capire la paura senza alimentarla. Dobbiamo aiutare la gente a razionalizzare».
C’è chi sostiene che Ebola fa così paura perché viene dall’Africa: non c’è in questo una forma di razzismo?
«Anche questo non è nuovo. Quando nell’Ottocento il colera uccise migliaia di persone in Europa la gente attaccava i medici ritenendoli responsabili. Qui interviene la paura dell’altro, lo straniero, il virus che viene da oltre confine. Noi guardiamo agli africani. Ma fra loro c’è chi pensa sia un virus portato dai bianchi ».
Sappiamo cosa sta succedendo davvero?
«Conosciamo il trend con cui Ebola si espande. Sappiamo che cresce in Liberia e Sierra Leone, che è controllata in Guinea e sconfitta in Nigeria. Questi ultimi dati sono incoraggianti, vuol dire che in Africa ci sono governi capaci di controllare e invertire il corso dell’epidemia. Quanto ai numeri, al momento parliamo di oltre 4000 morti certe: ma crediamo siano almeno il doppio. E potrebbero essere ancora di più».
Quali sono le cause remote del virus?
«La deforestazione, l’urbanizzazione selvaggia, la crescita demografica hanno portato la gente a stretto contatto con animali contaminati e permesso al virus di propagarsi più velocemente che in passato».
A che punto è la ricerca?
«Bisogna investire di più: perché Ebola è solo un campanello d’allarme. Ci sono altri virus pronti a trasformarsi in epidemie e per gli stessi motivi. Non voglio spaventare nessuno, non sto dicendo che siamo di fronte a nuove potenziali catastrofi. Ma che è una questione seria e per affrontarla serve più ricerca».

Anna Lombardi