La Stampa, 16 ottobre 2014
Tags : L’Ebola in Africa
Siamo sicuri che il vostro inviato Domenico Quirico è tornato dall’Africa senza aver contratto il virus Ebola?
Sono un lettore del vostro quotidiano ormai da molti anni. Vorrei esprimere una mia personale considerazione riguardo a un articolo apparso sulla Stampa di lunedì 13 ottobre. L’autore è il vostro inviato Domenico Quirico, che stato recentemente alla ribalta delle cronache per essere stato prigioniero per alcuni mesi in Siria. Nell’articolo dell’inviato si descrive il viaggio effettuato di recente (presumo) a Kenema, al confine tra la Liberia e la Sierra Leone, «la città dove muoiono i medici eroi». La mortalità per Ebola è altissima, in quella zona; egli si reca addirittura a visitare il cimitero dove vengono sepolti i malati di questa terribile pestilenza, il cimitero di Dama Road. Cito le sue parole, mentre descrive con la sua consueta bravura l’atmosfera che regna in quel luogo e la sua pericolosità: «perché il cadavere che rilascia tutte le sue secrezioni è il maggior veicolo di contagio».
Mi domando, se è lecito: al di là del fatto che probabilmente l’indole di questo cronista fa sì che si spinga sempre alla ricerca di nuovi stimoli, che vengono appagati nel visitare e descrivere luoghi e situazioni molto pericolose. E senza nulla togliere al valore descrittivo dei reportage che ci vengono inviati e che ci danno la possibilità di vivere emozioni e situazioni che altrimenti ci sarebbero precluse. È opportuno che, terminato il reportage, si risalga più o meno serenamente sull’aereo e si ritorni a casa, al lavoro, quando le più elementari norme di buon senso consiglierebbero di evitare qualsiasi tipo di contatto tra quei luoghi e le altre nazioni?
Non mi sembra sia sufficiente accertarsi di non avere febbre al momento della partenza, visti i tempi di incubazione e considerato il fatto che anche sul velivolo si è a contatto con persone potenzialmente portatrici di infezione.
Sarei veramente lieto di conoscere l’opinione del dr. Quirico in merito e penso che un Suo chiarimento sul quotidiano sarebbe opportuno, a motivare un comportamento che molti, come me, di primo impatto hanno giudicato decisamente imprudente.
Domenico Quirico ha fatto il suo mestiere, che è quello di andare nei luoghi in cui accadono le cose, per osservare, capire e poter raccontare ai nostri lettori come la cronaca fa la storia. Gli ho chiesto io di andare a testimoniare la devastazione che Ebola sta creando in alcuni Paesi africani. Credo che lo abbia fatto egregiamente.
Il giornalismo è questo: se ogni volta che si rischia qualcosa si scegliesse di restare a casa allora il nostro sarebbe un mestiere davvero finito. Non ci sarebbero più nemmeno i racconti delle alluvioni, delle rivoluzioni, delle guerre o le inchieste sulla criminalità. Ma è proprio questo che giustifica ancora il prezzo di ogni copia: la garanzia per il lettore di trovare contenuti veri, approfonditi, reali e il racconto di qualcosa a cui non avrebbe avuto accesso.
Domenico ha accettato la mia proposta di partire non senza qualche tentennamento ed è partito solo quando eravamo ragionevolmente certi che il lavoro potesse essere fatto in sicurezza.
Non siamo degli imprudenti e ci siamo mossi con grande cautela insieme al Cuamm una delle più serie associazioni di medici che opera in Africa. Ma è bene ricordare, ai lettori e a chiunque in questi giorni si è fatto prendere da un panico irrazionale, che il virus dell’Ebola non si trasmette nell’aria ma per contatto e questo contatto deve avvenire con qualcuno che ha sviluppato la malattia.
Per evitare di mettere a rischio chiunque sono stati creati - grazie all’Istituto Spallanzani di Roma, autorità in materia in Italia - tre livelli di riferimento per valutare le situazioni sanitarie di persone provenienti da zone colpite da Ebola.
1) un paziente dichiarato «Ebola positivo»: in questo caso si è tenuti a chiedere l’intervento dell’Unità di Crisi della Farnesina che si attiverà per organizzare un volo speciale per il rientro in Italia e il ricovero presso lo Spallanzani.
2) una persona che ha avuto contatti, seppur protetti, con pazienti «Ebola positivi»: in questo caso sono consigliati 20 giorni di sorveglianza fuori dal potenziale contesto di contagio, in area protetta per il monitoraggio della condizioni di salute. Passato detto periodo la persona può tranquillamente rientrare nel suo paese di origine con volo civile.
3) la persona è certa di non essere entrata in contatto con persone malate, non è cioè stata esposta ad alcuna potenziale via di infezione: in questo caso può rientrare liberamente nel proprio paese di origine.