la Repubblica, 16 ottobre 2014
Tags : Interviste a Dario Argento
Parla Dario Argento. «Volevo buttarmi dalla finestra, così ho chiesto al direttore dell’albergo in cui vivevo di spistare i mobili della stanza in modo da impedirmelo»
Il tavolo è ingombro di giornali, bollette, fogli pieni di numeri di telefono. Dario Argento sorride: «Davvero il libro le è piaciuto? Erano tre anni che ci pensavo, volevo raccontare una storia vera: la mia vita da bambino fino a oggi». Martedì esce Paura (ed.Einaudi) l’autobiografia in cui il regista si svela: cinema, amori, le figlie (Fiore e Asia), fantasmi del passato. Con i suoi film spaventosi ha fatto dormire generazioni di spettatori con la luce accesa, ma conserva l’aria timida.Per vincere la timidezza ha provato a seguire il consiglio di Nanni Balestrini, che gli suggeriva, in un luogo pubblico, di fingere di essere in un’enoteca: «Intorno a te non sono persone, ma bottiglie». «Non sono uno scrittore diligente», dice Argento «Scrivevo quindici giorni, una volta un mese, alla fine sono 350 pagine».
Argento, Paura è anche un’autobiografia sentimentale: la parte più difficile?
«Tutto. Raccontare se stessi, la famiglia, significa guardarsi dentro. Ma scrivere mi è venuto naturale, forse perché ho fatto il giornalista. Anche se per molto tempo non ho detto del libro, al punto che mia mamma è morta senza averlo saputo. Un dolore enorme. Ci tenevo che lo leggesse. Nel suo studio di fotografia ho imparato i segreti della luce».
Nel libro racconta di aver sofferto di depressione e di aver pensato al suicidio. Quanto è durato quel periodo?
«Parecchi mesi. È stato utile scriverlo, l’ho raccontato com’è accaduto con l’aiuto di un medico amico. Avevo fatto riarredare la stanza dell’albergo dove vivevo per non essere tentato dalla finestra. Quando sono guarito ho chiesto al direttore dell’hotel di rimettere l’armadio e i mobili a posto».
Perché stava così male?
«Ero anche euforico, era una strana depressione: organizzavo proiezioni nella mia stanza, venivano persone, uscivo la sera. Ma quando tornavo ero solo con me stesso, e i fantasmi cominciavano a perseguitarmi».
La solitudine ricorre nelle pagine: la teme e le piace.
«Ho viaggiato tanto da solo per non relazionarmi, tutta quest’ansia di verbalizzare non la capisco. Sei davanti al Taj Mahal e che dici all’altro? “Bellissimo”. C’è bisogno? Meglio godersi quella visione da solo, senza commenti».
Non a caso scrive che è felice quando l’amore finisce.
«Quando l’amore sta per finire lo sai, chi resiste lo fa per egoismo. Quando finisce un legame provo un senso di euforia, la vita riparte».
Eppure le donne — dalla prostituta che le insegna i segreti del sesso ai grandi amori — occupano una parte importante.
«Amo le donne, e ho fatto grandi litigate. Marilù Tolo ad esempio era bella e aggressiva, anche se faceva la gattina».
D’altronde preferisce la Strega cattiva a Biancaneve.
«È più sensuale, è sempre stata la mia passione».
Cosa voleva la stalker che la perseguitava?
«Mi ha perseguitato più di uno stalker, i miei film fanno venire strani pensieri, chissà, le persone immaginano che sia responsabile delle loro manchevolezze».
Dopo avere scritto, vede le cose con più chiarezza?
«Mah. Ho messo in ordine la mia vita, mi sono reso conto che il successo in America o in Giappone non me lo sono goduto, è come se fosse accaduto a un altro. Anche quando L’uccello dalle piume di cristallo è stato al primo posto degli incassi negli Stati Uniti — non è più successo — non ero eccitato. Pensavo al dopo, volevo solo fare quello che mi piaceva».
Ci sono anche episodi buffi, il camion pieno di mosche fermato alla frontiera.
«Sul set di Phenomena le legavamo a un filo di seta leggero, tipo guinzaglio: tendono ad andare avanti, le guidi e fanno quello che dicitu».
Quanto l’ha condizionata la timidezza?
«Non posso permettermi di essere timido. Ma lo sono».
L’esperienza del carcere l’ha segnata?
«Ci sono stato tre giorni, come andare in collegio, ma la privazione della libertà è terribile. Tutto è nato da un equivoco, alla perquisizione mi hanno chiesto: ha droghe? Ho risposto di no, l’hashish che tenevo sul comodino per me non era droga».
Quindi è per liberalizzare le droghe leggere...
«Sì. Ho provato altre droghe, ma ho smesso. La mia vita è sempre stata così: vegetariano sette anni ora rimangio carne, fumavo e ho smesso».
Nella nota finale scrive che i dissapori con sua figlia Asia potrebbero essere materia per un altro libro.
«È una boutade, ma potrei scrivere un secondo volume, forse più intimo».
Cosa diranno le donne della sua vita?
«Non ci ho pensato, ho un po’ timore. Alcune si riconosceranno, la vita ti lascia tanti ricordi, ognuno ha il suo e spesso non coincidono. È il senso dei miei film, chi vede un fatto riferisce un’altra versione. La memoria è fallace».