La Stampa, 10 ottobre 2014
Tags : Come combattere l’Ebola
Ecco come aiutare l’Africa a vincere l’Ebola. Parola di Tom Frieden
«Nei trent’anni in cui ho lavorato nel settore della salute pubblica, l’unica cosa come l’Ebola è stata l’Aids. Ora dobbiamo lavorare per evitare che diventi il prossimo Aids». Tom Frieden, direttore dei Centers for Desease Control and Prevention di Atlanta, non poteva usare un paragone più allarmante per sollecitare la comunità internazionale ad agire, durante il suo intervento di ieri al convegno che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno dedicato all’emergenza Ebola. Quindi ha aggiunto: «Non possiamo garantire il rischio zero di diffusione, se non fermando l’epidemia in Africa».
Il rischio di un nuovo Aids
Sul primo punto, ossia la pericolosità della malattia, concorda il professore del Mercy College Rossi Hassad, studioso di malattie infettive e membro dell’American College of Epidemiology: «In realtà, l’Ebola è potenzialmente anche più contagioso dell’Aids, e più letale. Finora era stato contenuto perché le precedenti epidemie erano state isolate presto nelle regioni dove si erano sviluppate, ma stavolta l’intervento è stato meno efficace, il virus era più forte, e rischiamo la pandemia. Per fortuna non ci sono ancora segni di una mutazione che lo renda trasmissibile per via aerea, ma è una possibilità che non possiamo escludere, e ci obbliga ad agire in fretta».
Fermare i trasporti
Frieden ha detto che bisogna bloccare l’Ebola in Africa, e su questo punto sono d’accordo tutti gli esperti del settore. «Ma bloccare i voli dalla regione - spiega Hassad - è inutile e dannoso. È inutile perché se l’epidemia cresce alla velocità a cui sta andando ora, troverà comunque la maniera di raggiungere altri continenti. Quali voli fermi? Quelli diretti? E chi arriva con i voli indiretti? E chi si sposta in nave? Chi viaggia a piedi? Possiamo migliorare i controlli all’arrivo per ridurre i rischi, ma come dice Frieden, assicurare il rischio zero è impossibile. Bloccare le comunicazioni poi sarebbe dannoso proprio per gli sforzi in corso alla scopo di fermare l’epidemia, compromettendoli».
Assurdo anche chiedere di lasciare in Africa gli operatori internazionali che si ammalano, come il medico americano Kent Brantly o il missionario morto in Spagna: «Chi interviene per fermare l’epidemia - dice il dottor Maurizio Barbeschi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - deve avere la certezza che se gli succede qualcosa verrà evacuato». Altrimenti nessuno andrebbe più sul posto, e l’epidemia esploderebbe.
Come si blocca l’Ebola
Se le comunicazioni non vanno sospese, bisogna lavorare per fare in modo che alla fonte non ci siano più persone infette pronte a partire. Durante le epidemie precedenti questo risultato si è ottenuto interrompendo la catena del contagio, isolando subito i malati, e istruendo gli operatori sanitari e i famigliari su come trattarli. «In Nigeria questa operazione finora è riuscita – spiega Barbeschi – perché c’erano le strutture e le persone preparate a gestirla. In Liberia, Sierra Leone e altri Paesi no».
Secondo Hassad, «il primo obiettivo è isolare i malati, per fermare il contagio, ma nei Paesi più colpiti non c’erano gli ospedali adatti. Ora però sono incoraggiato, perché gli Stati Uniti hanno mobilitato l’esercito, che ha come compito primario la costruzione di strutture per ospitare i pazienti. Anche gli altri Paesi ricchi dovrebbero muoversi, perché la catena del contagio si ferma così, e poi addestrando il personale e fornendo i materiali necessari alla protezione». Un’altra ipotesi allo studio dell’Oms è quella di costituire piccole unità di ricovero nei villaggi, in modo da isolare a curare i malati immediatamente alla fonte.
Cure e vaccini
Al momento, i malati vengono assistiti garantendo l’idratazione e le altre funzioni vitali, nella speranza che il sistema immunitario sconfigga la malattia. Così, il tasso di sopravvivenza è intorno al 50%. Esistono farmaci sperimentali, come zMapp e Brincidofovir, ma sono pochi, e vaccini ancora in fase di studio. «Sarei ingenuo - dice Hassad - se non ammettessi che la mancanza di cure è dipesa finora dallo scarso interesse economico della case farmaceutiche: l’Ebola in genere colpiva poche persone, in Paese poveri e lontani. Esistono però ricerche molto promettenti, e spero che questo allarme ci spinga a debellare la minaccia producendo medicine e vaccini».