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 2014  luglio 28 Lunedì calendario

Il caso di Sheik Umar Khan, il medico 39enne della Sierra Leone che da mesi stava combattendo la maggior epidemia di Ebola mai verificatasi nel continente africano ed è stato contaggiato

Lotta tra la vita e la morte Sheik Umar Khan, il medico 39enne della Sierra Leone che da mesi stava combattendo la maggior epidemia di Ebola mai verificatasi nel continente africano. In patria è considerato un «eroe nazionale» per aver trattato e curato oltre 100 vittime del virus altamente trasmissibile che, una volta contratto, ha una mortalità tra il 70% e il 90% e che, da febbraio a oggi, ha ucciso 219 persone solo in Sierra Leone.
Ora anche Sheik Umar Khan ha contratto la malattia. L’ultimo bollettino medico afferma che il virologo è ancora vivo e che, dopo esser stato messo in isolamento, è stato sottoposto a terapie intensive da parte di un’équipe di dottori di Medici Senza Frontiere. Il ministro della Salute, Kargbo, ha detto che «farò qualunque cosa affinché sopravviva». Lo scorso mese, in un’intervista all’agenzia «Reuters», il «medico eroe» aveva affermato di «temere per la sua vita» e aveva spiegato che gli operatori sanitari «rimangono ad alto rischio infettivo nonostante l’uso di specifici equipaggiamenti».
Una profezia quasi annunciata che, nelle ultime ore, ha colpito altri medici nella vicina Liberia, un altro Paese fortemente afflitto dall’epidemia di Ebola. Tra loro c’è Samuel Brisbane, direttore del principale ospedale di Monrovia, che purtroppo non ce l’ha fatta. E ieri la Samaritan Purse, un’organizzazione anglicana attiva nell’emergenza, ha fatto sapere che anche un medico americano, Kent Brantly, è stato infettato. «Ma i dottori che sono rimasti contagiati non hanno contratto la malattia all’interno dei centri di Medici Senza Frontiere», ci tiene a sottolineare l’epidemiologo Saverio Bellizzi, secondo cui «gli operatori sanitari che operano in strutture pubbliche o private devono ridurre l’uso di siringhe e bisturi per limitare la diffusione del virus».
In ogni caso in tutta la regione occidentale dell’Africa ora l’allarme è altissimo, visto che il numero dei morti per Ebola non sembra fermarsi. Dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità parlano di 660 vittime da febbraio a oggi tra Liberia, Sierra Leone e Guinea. Un numero che potrebbe essere maggiore, dato che, nelle ultime settimane, «la popolazione locale sta nascondendo i malati», afferma Marc Poncin, coordinatore dell’emergenza Ebola in Guinea di Medici Senza Frontiere. «La gente - dice - non ci lascia più entrare nei villaggi, c’è ostilità e assenza di fiducia». In Liberia alcuni medici sono stati presi a sassate, mentre in Sierra Leone la polizia ha sparato gas lacrimogeni contro un gruppo di persone che manifestava contro i dottori che non volevano restituire i corpi dei famigliari morti di Ebola per evitare ulteriori contagi. Il protrarsi dell’epidemia sta diminuendo la fiducia della popolazione locale nei confronti delle strutture sanitarie, considerate da molti luoghi «del non ritorno». In Sierra Leone una donna malata di Ebola è stata portata via dall’ospedale a forza dalla famiglia, salvo morire pochi giorni dopo.
E il contagio non sembra fermarsi: la scorsa settimana un cittadino proveniente dalla Liberia è morto in Nigeria, facendo registrare il primo caso di Ebola nel più popoloso Stato africano (ieri la principale compagnia aerea nigeriana, Arik, ha annunciato la sospensione dei voli verso Liberia e Sierra Leone come «misura precauzionale»).