Il Messaggero, 14 ottobre 2014
Tags : Come combattere l’Ebola
Chi è guarito da Ebola può contagiare il partner per via sessuale ancora per due mesi
La diffusione, così violenta e massiccia di Ebola, ha costretto i laboratori di virologia di tutto il mondo a mettersi a lavorare velocemente e sodo nelle ultime settimane. Per vincere la guerra tocca conoscere tutti i segreti del nemico. Ecco il risultato dell’ultimo report del Centro europeo per il controllo delle malattie: Ebola può essere trasmesso da una persona infetta fino a quasi due mesi dopo la guarigione. Il virus è stato isolato nel liquido seminale di pazienti considerati liberi dall’infezione già da sette settimane. «Nello sperma e nel latte materno - fanno sapere gli esperti del Centro europeo - abbiamo individuato la presenza virale anche dopo la sua scomparsa nel sangue».
Da qui, l’allarme trasmissione da donazione di seme e ovuli. Il sangue e gli organi di un paziente che è entrato in contatto con il virus africano possono essere contagiosi dall’inizio della malattia, prima della comparsa dei sintomi, al termine del periodo di 21 giorni di incubazione e anche sette settimane dopo la guarigione. Sulla base di queste novità il Centro nazionale sangue ha inviato una circolare ai centri trasfusionali e alle associazioni. Stop alle donazioni per sessanta giorni per chi rientra dai Paesi africani a rischio Ebola.
Europa e Usa, dopo i casi delle due infermiere contagiate a Dallas e Madrid e il numero sempre più alto di vittime, stanno pensando a nuove strategie di controllo e contenimento della malattia. Telefonata ieri tra Obama e Hollande per fare il punto sull’emergenza, appuntamento a Bruxelles giovedì prossimo tra i ministri Ue della Salute. «I due leader sono d’accordo - è una nota della Casa Bianca - che bisogna fare di più e in fretta. E stabilire i centri per il trattamento della patologia nei Paesi africani».
L’allerta, i primi casi e l’escalation di vittime stanno cominciando ad avere effetti sul quotidiano. Salgono psicosi e falsi allarmi. A Roma due in meno di 24 ore. Domenica pomeriggio in un treno che stava per arrivare alla stazione un uomo del Mali dice di non sentirsi bene: una volta sceso, viene accompagnato al pronto soccorso del Policlinico Umberto I. Dopo gli accertamenti parlano i medici: «Non sono state riscontrate patologie infettive in atto». Passano poco più di dodici ore, ieri prima mattinata. Ufficio immigrazione della questura di Roma: un ragazzo della Somalia cammina con passi incerti, perde sangue dal naso e cade a terra. Ha convulsioni, febbre alta. Gli uffici vengono chiusi. Di corsa, in ambulanza allo stesso pronto soccorso: un attacco epilettico.
A Milano è stato un imputato del Ghana, senza fissa dimora e accusato di furto di rame, durante il processo per direttissima, a sentirsi male. Colpito da convulsioni ha iniziato a sputare sangue. Il giudice ha deciso per un ricovero all’ospedale Sacco. L’aula viene sbarrata. Dopo poche ore è stato escluso il contagio da Ebola.
Tre casi, gli allarmi si rincorrono. Mentre i sanitari temono che la psicosi possa diventare routine quotidiana con chiamate a raffica al 118. Oltre cento persone, ieri mattina, erano nell’ufficio immigrazione a Roma quando l’uomo nato in Somalia ma residente in Italia da due anni si è presentato allo sportello per rinnovare il permesso di soggiorno.
Gli usciva il sangue dal naso, come ha raccontato un’impiegata, e sudava in modo vistoso. «Il personale sanitario che è arrivato sul posto, una volta apprese le sintomatologie - spiega Saturno Carbone segretario del Siulp - si è tenuto a distanza del paziente in attesa di disposizioni per venti minuti. Mentre i poliziotti facevano da cordone. Chiediamo corsi per gli agenti esposti al rischio». Solo dopo diverse telefonate il personale del 118 poteva decidere per il trasporto in ospedale. «Stiamo parlando di un ufficio dove transitano minimo settecento persone al giorno - aggiunge Daniele Contucci del Consap - è stato panico. Il personale va protetto».
La Spagna, nei bollettini medici che riguardano l’infermiera contagiata, parla di situazione tranquilla anche se le condizioni «si mantengono molto gravi». Al Presbyterian health hospital di Dallas, dove è ricoverata l’infermiera infettata Nina Pham, si continuano a controllare le persone, come lei, entrate in contatto con l’uomo morto l’8 ottobre.