13 ottobre 2014
Tags : 2014 – L’alluvione di Genova (10 ottobre)
Genova, storia scellerata di un’alluvione tra scandali e polemiche. Il sindaco che dà la colpa alla Protezione civile, il governo che ha bloccato i lavori sul Bisagno e quei disperati, rimasti senza niente, che possono solo togliere il fango dalle strade. Aspettando la prossima pioggia
Venerdì mattina Genova si sveglia, ancora una volta, con l’incubo indecente dell’alluvione. Dopo una notte di tregenda, con l’esondazione del Bisagno e dei torrenti Fereggiano, Sturla e Scrivia e, soprattutto, un morto, un uomo di 57 anni, annegato nel sottopasso fra via Canevari e la Stazione Brignole, la città si scopre incredula, furibonda, umiliata e in ginocchio. Affondata da almeno 100 milioni di euro di danni. A tre anni dalla catastrofe del 4 novembre 2011 con il suo lugubre corollario di sei morti, le prime luci dell’alba portano nuovamente acqua, fango e distruzione [Teodoro Chiarelli, Sta 11/10].
Piazza Verdi, l’immagine che si presenta agli occhi dei passeggeri appena usciti dalla stazione di Brignole, è un pantano che impedisce persino di distinguere il verde dei giardinetti. Il salotto di via XX settembre è un deposito a cielo aperto di oggetti abbandonati e fradici, gettati dai negozi, indumenti per bambino, accessori per computer, arredamento da ufficio, tutto marcio. (…) Nel 2011 la massicciata sotto alla quale sparisce il Bisagno, il torrente che attraversa la città come un filo teso dall’entroterra al mare, fece da tappo causando l’esondazione del rio Fereggiano. La scorsa notte gli argini laterali non hanno retto, come accadde nel disastro del 1970. L’acqua è schizzata con una violenza che si può solo immaginare guardando i blocchi di granito degli argini divelti e sparsi su corso Galileo Galilei come pezzi di Lego nella stanza dei bimbi [Marco Imarisio, Cds 11/10].
La furia del Bisagno ha trascinato via un uomo di 57 anni, Antonio Campanella, travolto dall’acqua in via Canevari, a pochi metri dall’imbocco del tunnel di Brignole. Campanella, ex operatore sanitario del San Martino, era uscito come tutte le sere per una passeggiata nel suo quartiere e quasi sicuramente si è affacciato per osservare il Bisagno. Secondo i carabinieri l’uomo, che soffriva da qualche tempo di disturbi, potrebbe non essersi accorto dell’improvviso arrivo della piena ed esserne stato travolto [Donatella Alfonso, Michela Bompani, Giuseppe Filetto, Stefano Origone, Bruno Persano e Marco Preve, Rep 10/10].
Campanella abitava in via Bobbio in una casa che aveva condiviso fino a pochi anni fa con l’anziana madre poi morta. I vicini lo ricordano come persona schiva ma gentile e rispettosa. La Procura di Genova aprirà un fascicolo ipotizzando il reato di omicidio colposo per la morte dell’uomo [Donatella Alfonso, Michela Bompani, Giuseppe Filetto, Stefano Origone, Bruno Persano e Marco Preve, Rep 10/10].
Doria (Marco Doria, sindaco di Genova – ndr) ha detto: «Nessuno ci aveva preavvertito che certe cose avrebbero potuto accadere nella giornata di ieri. Non avendo avuto informazioni in tal senso, il nostro sforzo è stato quello di affrontare l’emergenza in tempo reale, comportandoci come se ci fosse uno stato di Allerta 2, anche se non era ancora stato proclamato. L’allerta 2 è stato diramato soltanto alle 11.30 di questa mattina (venerdì)» (…) Risposta del governatore della Liguria Claudio Burlando: «Quello che si è registrato ieri è un fenomeno mai visto che il nostro modello di previsioni non è riuscito a interpretare. Il modello però è attendibile perché fino ad ora ci ha consentito di non sbagliare mai nessun episodio grave». «Ieri sera – ha aggiunto –, mentre fino al bollettino delle 18 che indicava un’attenuazione dei fenomeni realtà e modello corrispondevano, alle 21 si è verificata una divaricazione tra il modello e quello che è accaduto in realtà» [Donatella Alfonso, Michela Bompani, Giuseppe Filetto, Stefano Origone, Bruno Persano e Marco Preve, Rep 10/10].
In una città ingrigita dalla polvere alzata dal fango secco, dove stanno fianco a fianco i ragazzi con gli stivali e le signore che prendono il tè nelle pasticcerie ancora aperte, i genovesi non smettono di interrogarsi sulle responsabilità dell’alluvione di giovedì. E a tratti esplode la rabbia. Il sindaco Marco Doria nella mattinata affronta i commercianti e raccoglie gli insulti: «Pagliacci», «Dimezzatevi lo stipendio», «Dimissioni! Dimissioni!».
Fra poco arriverà il ministro dell’Ambiente Galletti, non verrà invece il premier Matteo Renzi che affida a Facebook il suo pensiero: «Se vogliamo essere seri, se vogliamo evitare le passerelle e le sfilate da campagna elettorale l’unica soluzione è spendere nei prossimi mesi i due miliardi non spesi in ritardi burocratici. Basta scaricabarile». I due miliardi si riferiscono a tutta l’Italia. (…) Intanto, per l’immediato il sindaco Doria chiede al governo di sospendere i pagamenti fiscali per gli alluvionati, il Comune fa la sua parte sospendendo da subito Tari, Imu e Tasi. Ma le polemiche si autorigenerano come i temporali che – secondo le previsioni – ancora minacciano Genova e la Liguria fino alla mezzanotte di oggi. Da una parte volano accuse per i premi appena dati ai dirigenti comunali per aver «mitigato i rischi del dissesto idrogeologico» (40 mila euro), dall’altra si punta il dito contro le ditte che facendo ricorso al Tar nel 2012 avrebbero bloccato i lavori sul Bisagno. (…) Mentre il capo della Protezione Civile Gabrielli dice che «migliaia di volontari premono» per aiutare Genova (ieri non sono mancati momenti di tensione tra spalatori e militari), Beppe Grillo ha annunciato il suo arrivo oggi. Ieri anche papa Francesco ha invitato a pregare per la città [Erika Dellacasa, Cds 13/10].
Davanti alla ferraglia contorta delle auto, al fango che è ovunque, per terra, sui vestiti e nella testa delle gente, è davvero difficile non pensare all’eterno presente al quale è condannata Genova. Anche questa volta si piangeranno i morti, si faranno le inchieste, qualcuno forse pagherà. Nell’attesa della prossima pioggia tutto è destinato a scorrere nella stessa, ineluttabile lentezza, e pazienza per chi è rimasto indietro [Marco Imarisio, Cds 11/10].
Una storia scellerata. Dove le carte bollate, un attimo dopo la fine di ogni emergenza, un attimo dopo i funerali dei morti di turno, un attimo dopo le furenti proteste e le accorate promesse («Mai più! Mai più!»), tornano a impossessarsi di un problema che da decenni è lì, sotto gli occhi di tutti. Occhi gonfi di lacrime nelle ore del pianto, distratti appena le prime pagine sono dedicate ad altro. Il solo elenco delle alluvioni genovesi dell’ultimo mezzo secolo dice quanto sia serio il problema. Dieci morti nel 1953, quarantaquattro nel 1970, due nel 1992, tre nel 1993, uno nel 2010, sei nel 2011, un altro ieri… Ed è una triste scommessa prevedere, se non cambia qualcosa, nuovi morti domani, dopodomani, dopodomani l’altro [Gian Antonio Stella, Cds 11/10]
E pensare che li chiamavamo «pisciueli». Per dire che in quei torrenti un po’ d’acqua c’era, ma poca. Adesso e da quasi mezzo secolo quei nomi fanno paura: Bisagno, Fereggiano, Scrivia. Si sono risvegliati l’altro giorno con tutta la cattiveria di cui a volte sono capaci. I venti di tramontana e di scirocco si sono azzuffati sopra di loro. E, come capita quando il respiro freddo della ripida collina e l’alito caldo del mare si scontrano, l’acqua dei placidi torrenti diventa furia devastante. Come quella che descriveva Fabrizio De André nella sua canzone triste come una poesia Dolcenera: «Non è l’acqua di un colpo di pioggia ma un gran casino, un gran casino». Era l’acqua dell’alluvione del 7 ottobre 1970. Che è tornata il 4 novembre del 2011. Che è ritornata il 9 ottobre del 2014. Un’acqua «nera che picchia forte, che butta giù le porte; acqua che spacca il monte, che affonda terra e ponte». (…) Ora anche gli altri torrentelli che circondano Genova hanno un’aria minacciosa: il Rio Monte di Pino, il Molinetto, il Finocchiara. Anche loro hanno scaricato dalla collina la loro acqua che sa di terra e di marcio. E anche quell’odore di gas che si appiccica dappertutto continua a far paura [Francesco Cevasco, Cds 13/10].
Il Bisagno è sempre stato pericoloso: nell’800 il ponte che congiungeva il centro storico con il Levante era definito Ponte Rotto e un’esondazione danneggiò le merci nei magazzini del porto. C’erano meno case e molti orti lungo il fiume: le contadine che andavano a vendere al mercato di via XX Settembre, allagato giovedì, erano le «besagnine». Le chiamano ancora così, anche se gli orti sono scomparsi e i pomodori arrivano dal Marocco [Giuseppe Salvaggiulo, Sta 11/10].
Nel 1906 il Comune incaricò Gaudenzio Fantoli, docente del Politecnico di Milano, di tombare il Bisagno per consentire lo sviluppo urbano a Est. Rimasto nel cassetto per mancanza di soldi, il progetto fu ripescato nel 1928: il fascismo voleva una piazza monumentale. In quattro anni l’ultimo chilometro del fiume fu coperto da piazza della Vittoria. E così oggi appare nelle mappe: una linea blu che scompare all’altezza della stazione Brignole, infilandosi in un tubo di cemento largo 60 metri e alto 4 che lo conduce in mare. In quel punto, il Bisagno è esondato nel 1948, 1954, 1970, 1992, 2011, 2014. Il progetto di Fantoli stimava una portata massima di 500 metri cubi al secondo; oggi è quasi tre volte tanto. Quando piove molto, l’acqua che entra nel tubo è più di quella che esce: a un certo punto, inevitabilmente, un’onda di riflusso esplode e allaga la città [Giuseppe Salvaggiulo, Sta 11/10].
Il piano per ridurre i rischi di piena è pronto da decenni: servono due opere, la copertura del torrente nel tratto che attraversa la città e sfocia in mare, e la deviazione di un affluente, il Fereggiano, incastrato tra il cemento dell’edilizia collinare. Adesso i soldi ci sono. La copertura del Bisagno è a metà. Il secondo lotto, costo 35 milioni, è stato appaltato a marzo del 2012. Ma l’impresa arrivata seconda nella gara d’appalto ha fatto ricorso: il Tar della Liguria dopo un anno ha sentenziato che la gara era da rifare. L’impresa che aveva vinto a sua volta ha fatto ricorso al Consiglio di Stato. «E questo» racconta Burlando «ha impiegato un anno per dire che il Tar Liguria non era competente». Così si ricomincia. Il ricorso è stato presentato al Tar del Lazio che ha ribaltato la sentenza dicendo che era tutto regolare. «Il 9 luglio scorso – ricorda il governatore – il Tar del Lazio si è pronunciato e ha depositato le motivazioni tre mesi dopo, il 3 ottobre. E adesso il rischio è che qualcuno si rivolga al Consiglio di Stato». Il Bisagno intanto è sempre lì, a seminare il panico [Michela Bompani e Ava Zunino, Rep 11/10].
Come tre anni fa, anche oggi sembrano tutti immacolati. Il sindaco dà la colpa alla Protezione civile per la mancata allerta, dimenticando che il suo Comune non ha un serio piano idrogeologico. Il governatore Burlando al «modello previsionale che non ha funzionato», dimenticando che la Regione ha dato un semplice avviso sul maltempo (non l’allerta) alle 10 di giovedì, rimandando a un aggiornamento delle 11 pubblicato con quattordici ore di ritardo, quando Antonio Campanella era già morto. Ed entrambi, con il premier Renzi e il ministro dell’Ambiente Galletti, a burocrazia e giudici che hanno impedito i salvifici lavori sul Bisagno, dimenticando che è anche loro la responsabilità del blocco dei lavori e che in ogni caso le opere di cui parlano non saranno risolutive. (…) Doria, Burlando, Galletti e Renzi imputano a questo valzer giudiziario il blocco dei lavori. Ma né Tar né Consiglio di Stato hanno mai concesso ai ricorrenti la famigerata sospensione cautelare dell’appalto, che rallenta i lavori. Dunque il blocco del cantiere è dovuto ai ricorsi giudiziari solo tra la sentenza del Tar Liguria e quella del Consiglio di Stato: 11 mesi. Ma prima e dopo, 20 mesi, si poteva lavorare. Tanto che la ditta vincitrice inviava lettere e diffide (almeno sette) a tutte le autorità, romane e genovesi, chiedendo le chiavi del cantiere. Nessuna risposta ufficiale. Anche dopo l’ultima sentenza favorevole, tre mesi fa, all’azienda è stato detto, in via informale, che era necessario attendere le motivazioni [Giuseppe Salvaggiulo, Sta 11/10].
Scartoffie bollate che cristallizzano l’Italia sulle proprie alluvioni. Prendete le dieci più dannose degli ultimi cinquant’anni, l’Arno e il Tagliamento nel 1966, Genova, Sarno, il fiume Bacchiglione a Vicenza, le esondazioni del Seveso a Milano, Giampilieri, le Cinque Terre, Messina, Olbia lo scorso anno: nella metà dei casi i lavori di messa in sicurezza dei corsi d’acqua responsabili di morte e distruzione, sebbene già progettati e finanziati, non sono partiti, perché bloccati in qualche tribunale, incrostati in qualche contenzioso. Per l’altra metà, esclusi Giampilieri (150 milioni spesi per il consolidamento) e le Cinque Terre, nemmeno sono stati reperiti i soldi. Quindi per otto alluvioni su dieci non si è fatto niente [Fabio Tonacci, Rep 12/10].
Tutti ormai conoscono la situazione idrogeologica del nostro Paese e non decidere è come lavarsene le mani [Mario Tozzi, Sta 11/10].
L’82 per cento dei comuni italiani è ad alto rischio idrogeologico. Fausto Guzzetti, direttore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr, ricorda che non esiste una sola provincia italiana che negli ultimi cinquant’anni non abbia avuto un morto o un ferito per una frana o per un’alluvione. Dal 1964 a oggi in Italia si contano 5.250 vittime tra morti e feriti a causa di tragedie legate al dissesto idrogeologico. Gli sfollati e i senzatetto sono stati complessivamente 150.000. Quest’anno solo le frane hanno ucciso o ferito 15 persone, lasciandone almeno 600 senza casa [Giorgio Dell’Arti, Gds 12/10].
La struttura di missione governativa, di cui il renziano Erasmo D’Angelis è il responsabile, ha scovato nei bilanci dello Stato e delle Regioni 2,3 miliardi di euro già stanziati e mai usati per argini, casse di laminazione delle piene, consolidamenti. Se li sono tenuti in cassa, soprattutto in Campania e in Calabria, e adesso il governo punta a far aprire entro l’anno 650 cantieri per 850 milioni. Ma sono solo una parte delle 3.395 opere da portare a termine sotto lo slogan “italiasicura”. «O si cambia alla svelta o si contano solo morti, danni e parcelle per team di giuristi e avvocati – dice D’Angelis – di fronte alla vittoria di un bando di gara, i cantieri devono partire. Senza se e senza ma. Bisogna trovare il modo di penalizzare i ricorsi a prescindere». Ed ecco la novità che tenteranno di introdurre già nei prossimi giorni, in sede di conversione in legge del decreto Sblocca Italia. L’idea della struttura di missione per il dissesto con la collaborazione degli uffici giuridici dei dicasteri Ambiente e Infrastrutture è quella di estendere anche ai lavori di riassetto idrogeologico superiori ai 5 milioni di euro quel che già è previsto sotto quella soglia: in caso di contenzioso, il cantiere si apre lo stesso. «Prima si mettono in funzione le ruspe – chiosa D’Angelis – poi si valuterà se ci sono irregolarità amministrative nel bando di gara. Mai più deve ripetersi un caso Bisagno» [Fabio Tonacci, Rep 12/10].