La Stampa, 24 novembre 2011
Tags : 20111104 – L’alluvione di Genova
La storia di Rosa Angiolini, 83 anni, pronta ad incatenarsi al portone di casa per non essere cacciata dal caseggiato in cui vive da sessant’anni. Anche se è il palazzo-simbolo delle «piene» della devastazione.
L’ altra faccia dell’alluvione di Genova ha i tratti gentili di Rosa Angiolini, 83 anni, pronta ad incatenarsi al portone di casa per non essere cacciata dal caseggiato in cui vive da sessant’anni. Anche se è il palazzo-simbolo delle «piene» della devastazione.
Siamo in via Giotto 15 a Sestri Ponente. Qui, come altrove, l’edilizia ha ingabbiato la natura. E qui, come altrove, la natura ha fatto pagare pegno: l’anno scorso, il 4 ottobre 2010, il torrente Chiaravagna è esondato proprio in corrispondenza del palazzo di Rosa; ha inondato negozi, aziende, case. Il caseggiato, è stato detto, ha fatto da «tappo» alla piena e ha contribuito al disastro. L’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, quando l’ha visto non ha avuto dubbi: «L’edificio va demolito».
Sono passati 13 mesi e una nuova alluvione da quel giorno. E adesso, sembra proprio che il destino del caseggiato sia segnato. «Ma dopo che lo avranno buttato giù saranno daccapo. Più avanti c’è il ponte di via Manara, quello dell’Elsag: rispetto all’alveo è molto più basso del nostro palazzo» sostiene Norma Zangirolami Dagnino, 60 anni, vicina di Rosa. «Anzi, se non ci fosse stato il nostro edificio i danni della piena del 2010 sarebbero stati ancora più gravi. Siamo noi che l’abbiamo frenata». Norma, quel pomeriggio del 4 ottobre, era tornata a casa per salvare cane e gatto e si era trovata davanti al portone con l’acqua alla vita. «Continuavo a dire che bisognava pulire l’alveo. Sono intervenuti a disastro avvenuto. Hanno abbassato il letto del torrente di due metri ed è servito: l’ultima alluvione qui non ha fatto danni».
Dopo la sparata di Bertolaso, Norma aveva scritto a tutti, chiedendo una verifica tecnica. Le ha risposto il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, dopo i sopralluoghi: «È confermata la necessità di demolire l’edificio perché ostacola il deflusso dell’acqua». L’ultima riunione in Regione è di pochi giorni fa: in sintesi, l’ente acquista gli alloggi di via Giotto 15 e quindi demolisce il palazzo. «A gennaio l’appalto, i lavori a marzo forse» dice Rosa, che aveva firmato quelle lettere insieme a Norma. «Prima delle elezioni comunali...».
Si capisce, insomma: lei da casa sua non vorrebbe proprio muoversi. «Spero ancora in un miracolo. Prego tutti i giorni». «Ma dài, mamma» cerca di convincerla Michele, uno dei figli. L’altro, Eugenio, che abita qui pure lui, ha già trovato altrove. E così hanno fatto i negozianti del piano strada, lo studio medico del primo piano... Ma, Rosa, no. «La fanno facile. Ma dove vado a 83 anni?». Non ha il timore dell’alluvione? «No, il palazzo è solido. Lo ha costruito mio marito». Ah, ecco! «Erano gli Anni Cinquanta. Aveva tutti i permessi. Mio marito, un operaio che è diventato costruttore studiando la notte da geometra, mi ha sempre detto di stare tranquilla perché ci aveva messo più materiale del dovuto... E poi, eliminando noi, non risolvono il problema: che fanno, buttano giù tutti gli altri edifici sul torrente fino al mare?».
Burlando ha promesso di agire con «coscienza e umanità». La Regione paga gli alloggi a prezzo di mercato e aggiunge 42 mila euro di bonus. «Finché non mi danno i soldi non mi muovo» dice ancora Norma, la vicina. Che tribola per i prezzi delle case che sta andando a vedere. «Vivo con la pensione di reversibilità, ho sessant’anni, non posso certo fare un mutuo». E che teme le lungaggini burocratiche. «Se verso un acconto oggi per un nuovo alloggio non posso poi saldare tra uno o due anni».
Certo, i soldi. Ma forse, in questo caso, parlarne è solo un’ulteriore difesa. «Qui ho cresciuto i miei figli, qui è morto mio marito. E mi pare ancora di sentire il suo profumo entrando nelle camere...» confessa Rosa, commuovendosi. «Ho paura di non riprendermi più se me ne dovrò andare... Ma io m’incateno al portone. E se poi mi denunciano e mi danno i domiciliari avrò risolto il problema».