Corriere della Sera, 5 novembre 2011
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Alluvione di Genova: Come agire in tempo in caso di emergenza (articolo del 5/11/2011)
«Un tempo c’erano le campane. Oggi servono piani efficienti e verificati. Non basta dire avevamo lanciato l’allarme. Se ci sono dei morti vuol dire che c’è stato un difetto di comunicazione». È un’accusa specifica quella che formula il professor Giovanni Seminara, accademico dei Lincei, ordinario all’Università di Genova di meccanica dei fluidi e idraulica fluviale. Nel giorno in cui il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, si autoassolve ostentando le accuse di «terrorismo psicologico» ricevute sulla stampa locale per aver invitato i cittadini alla cautela. E mentre il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, striglia i cittadini: «E’ ora di imparare ad autoproteggersi».
Eventi e cautele eccezionali
«So di inimicarmi qualcuno a dirlo — ammette Gabrielli — ma un’assunzione di responsabilità i cittadini devono farla. Non possiamo sempre prendercela con lo Stato. Dobbiamo fare i conti con situazioni climatiche sempre più eccezionali. Ogni singola persona in situazioni di precipitazione intensa deve assumere atteggiamenti conseguenti. La gran parte delle persone muore nelle auto. Nel momento in cui esonda il fiume bisogna pensare al bene primario della vita. Non attraversare i ponti. Salire ai piani alti». Molti vengono travolti anche mentre osservano i corsi d’acqua nel momento della piena. «Questo attiene all’aspetto deprecabile della curiosità che comunque in questi casi può uccidere. E ogni vittima è una sconfitta per tutti», aggiunge Gabrielli.
Non basta il «si salvi chi può»
Ma Seminara non assolve gli enti locali. «È vero che i cittadini devono avere una certa cautela. E anche che una grande città come Genova può essere presa alla sprovvista da rovesci eccezionali come questi e finire sott’acqua. Ma i bambini non devono morire. Non è un discorso accademico, ma di semplice buonsenso», rimarca il professore all’uscita di un convegno sulla «Difesa dalle alluvioni», tenutosi ieri a Firenze in occasione del quarantacinquesimo anniversario dall’allagamento della città e a 25 anni dal primo piano di Protezione civile locale.
Ma allora che fare? «Fermo restando che, dopo 41 anni, lo scolmatore del Bisagno andrebbe fatto, così come altre criticità ben note andrebbero fronteggiate — sottolinea — bisogna capire che è anche un problema di organizzazione e di una Protezione civile locale efficiente. Ogni città deve avere un piano che, non solo individui le aree inondabili, ma predisponga come avvertire la popolazione e, attraverso periodiche esercitazioni, ne verifichi l’efficacia». Questo però, spiega l’accademico dei Lincei, è un problema politico: «Occorre valorizzare i servizi tecnici che invece sono sempre più frustrati da un ceto politico incapace. Così vediamo giovani di valore che lentamente si spengono, mentre le decisioni vengono prese sulla base di criteri diversi da quelli scientifici. Persino a Firenze, dove l’alluvione aveva dato l’avvio alla prima Protezione civile, il piano ha perso un po’ di importanza», considera, amaro.
L’autodifesa delle città
Naturalmente, a sentire i sindaci, non va così. La Vincenzi sotto attacco per i morti di Genova, se la prende con il «muro d’acqua che si è sollevato in qualche secondo», parla di «tragedia imprevedibile», rivendica di aver lanciato allarmi inascoltati e sbeffeggiati dalla stampa locale anche per far chiudere altre scuole. E aggiunge: «Nessuna evacuazione in pochi minuti poteva essere programmata».
Con le dovute proporzioni, anche il primo cittadino di Borghetto di Vara ha dovuto fronteggiare lo scetticismo dei cittadini ieri evacuando una piccola frazione con l’aiuto dei carabinieri: «Mi guardavano come un marziano quando ho sgomberato il centro storico. Ma poi sono venuti giù 800 millimetri di pioggia e hanno fatto esplodere le colline. Ieri ho mandato via tutti dalla frazione di Cassana». Ma certo nelle grandi città la situazione è più complessa.
Nessuna autocritica dei responsabili della Protezione civile cittadina nemmeno a Roma, dove una mattinata di «bombe d’acqua» ha mandato in tilt mezza Capitale. «Le uniche criticità esistono sotto il profilo urbanistico, laddove ci sono costruzioni dissennate o manca una rete di smaltimento adeguata» assicura Tommaso Profeta a capo della Protezione civile locale. «Il piano d’emergenza c’è, è di 400 pagine, e prevede cosa fare in ogni fase dell’emergenza, dalla preallerta in poi, anche dal punto di vista dell’informazione. Noi attiviamo il Coc, centro operativo comunale, presieduto dal sindaco Alemanno, che riunisce tutti gli uffici e le strutture operative e fornisce le notizie attraverso il sito internet del Comune e comunicati stampa diffusi ai mass media. Ma i cittadini vengono avvertiti anche attraverso i municipi e le associazioni di volontariato che sono sul territorio. In casi di situazioni locali critiche procediamo anche, tramite la polizia municipale, con il «porta a porta».
Non scaricare la colpa sui cittadini
Graziano Delrio, primo cittadino di Reggio Emilia, e presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), nell’esprimere solidarietà al sindaco e alla popolazione genovese, va oltre: «A livello nazionale c’è una situazione a macchia di leopardo, ma in generale i sindaci sono in grado di avvertire in tempo reale la cittadinanza. Quello che manca sono piani di protezione civile che possano prevenire le tragedie. Noi come Anci abbiamo chiesto un piano di spesa con fondi dedicati per procedere di anno in anno con opere che risolvano i punti critici. Altrimenti ci troveremo sempre ad inseguire una tragedia annunciata».
Intanto i cittadini devono affidarsi al «fai da te»? «La collaborazione dei cittadini — ammette Delrio — è indispensabile perché se annuncio che c’è una nevicata eccezionale e la gente va a fare shopping alle 5 del pomeriggio non va bene. Ma a Genova il fiume si è ingrossato di tre metri nell’arco di 14 minuti. Non si può scaricare la colpa sui cittadini».