La Stampa, 13 ottobre 2014
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Come Grillo ha cambiato il punto di vista sul M5S, facendo credere di aver fatto cose che non sono mai state fatte
A Beppe Grillo è bastata la suprema arte retorica per ribaltare e riprendersi tutto. Gli è bastato uno sguardo dall’alto, anzi dall’altissimo di una gru, il colpo di genio suggestivo dell’omino appeso in cielo - e nero in controsole - per cancellare il piccolo brulicare di idee e aspirazioni che si muoveva lì sotto. Il geniale affabulatore ha preferito ritornare a sé, e i motivi della tre giorni grillina al Circo Massimo sono stati cancellati in un crescendo di comizi e in un capolavoro anestetico. Non se ne è accorto quasi nessuno. Si trattava di far vedere che il Movimento stava diventando grande, di misurare il passaggio locale da forza di opposizione a forza di governo (affinché un giorno lo sia a livello nazionale), di raffrontare i rimedi e i progetti, di salire sulla cassetta della frutta per spiegare agli elettori - siccome l’informazione mascalzona non lo fa - quali splendide e solitarie battaglie si combattono da un anno e mezzo dentro al Parlamento: che non si pensi sia soltanto ostruzionismo. Niente di tutto questo è successo, o almeno niente è stato santificato da Grillo.
Primo: nessun confronto. Non con altri partiti, si sa che opinione ne hanno, e ce ne si fa una ragione. Ma nemmeno confronto interno: era in programma un dibattito fra i sindaci e - forse perché i sindaci governano, e conoscono la differenza fra propaganda e comando, conoscono il problema di lavorare con le opposizioni, conoscono la necessità di un’organizzazione - l’incontro non c’è mai stato. Problemi logistici, si dice. Sarà vero, però il capofila di questa razza grillina, il sindaco parmense Federico Pizzarotti, ieri era dispiaciuto: «Non sono mica tante le occasioni come questa, peccato. Volevamo soltanto contribuire alla crescita e al miglioramento del M5S a cui tutti teniamo tanto». E intorno al gazebo di Parma i suoi collaboratori si chiedevano chi avesse deciso il referendum sull’addio all’euro o la strategia di uscita dal Parlamento per fare proselitismo nei bar e negli uffici. Ecco, il secondo punto è quello eterno: chi decide? Il grande equivoco è stato chiarito? E il terzo riguarda deputati e senatori, per ore sotto i trenta gradi romani a raccontare con giri di violino l’eccezionalità della loro fatica, e poi Grillo è saltato su a dire che in Parlamento si conclude poco, è un trappola per topi: fuori di lì. Con quei farabutti non si parla, ha detto riferendosi al resto del mondo. Ecco, finito tutto. Come scrivevamo ieri, è finito tutto nel momento in cui Grillo si è issato sull’Olimpo del Circo Massimo, a guardare di sotto l’orizzontalità esibita e rivendicata, e di cui lui costituisce l’eccezione. Dunque il Movimento rimane com’è, non ci si organizza, una vale uno. Non ci si confronta col nemico. Non si va in tv. Il Parlamento è fuffa. Chi non la pensa così si levi di torno. Rimane la piazza, l’urlo, la sceneggiata dell’indignazione irrimediabile che nell’interpretazione di Grillo è ancora la forza bruta del Movimento, ma una forza sterile, che non matura, condannata a bearsi nella sua marginalità.