17 settembre 2014
Tags : Antonello Venditti
Biografia di Antonello Venditti
• (Antonio) Roma 8 marzo 1949. Cantante. Autore. Più di 30 milioni di dischi in 40 anni di carriera. Ultimo album: Tortuga (2015). «A conoscere bene l’Italia siamo rimasti noi artisti, gli autotrasportatori e alcuni esponenti della criminalità organizzata».
Vita Figlio di Wanda, insegnante di latino e greco morta nel 2007, e di Vincenzo Italo, vicequestore di Roma morto nel 1998. «Papà era un anarchico libertario. Veniva da Campolieto, un posto pieno di neve in Molise. Era l’ultimo di nove figli. C’era il fascismo, ma lui nel 1936 decise di partire per la Spagna, dove c’era la guerra civile, a combattere contro Franco. Mio zio Vincenzo Italo riuscì poi a convincerlo ad andare in Africa. Fu l’unico sopravvissuto di una compagnia che fu sterminata, attraversò da solo il fiume ed entrò nelle file degli inglesi. Gli spararono in pancia ma la fibbia della cintura da sottufficiale deviò il proiettile che gli si conficcò in gola. Per questo ho scritto Mio padre ha un buco in gola, tutto vero, compresa la medaglia d’argento. Trascorse in Africa sei anni di prigionia. Poi tornò nell’Italia liberata, incontrò mia madre e così passò da una prigionia all’altra. Eccomi qui, sono la prova vivente che mio padre e mia madre hanno fatto almeno una volta all’amore».
• «Sono nato di otto mesi, pesavo un chilo e quattro. Nel 1949 non esisteva l’incubatrice: quelli come me li buttavano via. Mi salvò un sogno. A mia madre apparve Francesco Saverio, un santo. Le disse solo: “Wanda, lui vivrà” e così si ritrovò tra le mani questo sgorbio. Sono figlio unico e sono vissuto per essere seviziato da mia madre».
• «Sono piccolo. Mia madre discute con mio padre. Origlio. La sento dire: “Vincenzo, ma questo è cretino”. La parola cretino mi è girata per la testa a lungo, nonostante l’avesse pronunciata senza antipatia. Non ero cretino e tutto sommato andavo bene a scuola. Ma ero il figlio della professoressa Sicardi Venditti, studiavo al Giulio Cesare, dove lei insegnava, e avevo l’obbligo di essere il primo: dovevo dimostrare di essere bravo due volte. Avevo una grande responsabilità. Ho sentito questa pressione sin da piccolo».
• «Mia nonna era cattolicissima, la domenica mi obbligava a seguire la messa mattutina. Tornavamo per colazione, poi chiaramente a mezzogiorno tutta la famiglia doveva andare alla messa borghese. Mia nonna tornava anche lei. Poi, a sera, sempre la nonna mi accompagnava alla messa vespertina. Ricordo una domenica, a 14 anni, che avevo la febbre e non potevo muovermi dal letto, la nonna mi chiamò dal salotto: “Vieni a vedere la messa in televisione”. Ecco perché io poi ho scritto Buona domenica: me ne intendo di domeniche, io».
• «Da ragazzino ero grasso come un maiale, pesavo 94 chili, mi chiamavano “cicciabomba” e per uno che chiamano così è finita, sei quello che non inviteranno mai alle feste».
• «Suonavo il pianoforte di casa quando i miei uscivano: si sono accorti che componevo canzoni solo molti anni dopo. La prima fu Sora Rosa, e credo che sia ancora la più bella canzone che ho scritto. Mia madre mi voleva dottore, sognava per me dei pranzetti alle due del pomeriggio, una vita da impiegato. A 15 anni mi sono innamorato e ho perso drasticamente chili: ho sognato molto da quella stanzetta. In quegli anni ho scoperto la politica: mi sono ritrovato in una manifestazione del Msi a urlare “A chi Trieste? A noi”, non sapevo nemmeno cosa fosse. Il quartiere Trieste a Roma non era precisamente democratico. Qualcosa stonava, ero diverso da loro, e le presi da un picchiatore che si chiamava Peppe il roscio».
• Abitava in via Zara 13, «per accendere la fantasia guardava oltre le nuvole del quartiere Trieste, immaginando cupole e fontanoni da lasciare in un cassetto: “Roma Capoccia, scritta affacciandomi alla finestra e osservando il palazzo di fronte rischiò di fare quella fine. Non la riconoscevo, me ne vergognavo, la nascosi» (Malcom Pagani).
• «Mozart all’inizio lo consideravo la perfezione razionale. Poi avvicinandomi alla sua vita ho visto quanto poteva dare anche umanamente. Da ragazzo comunque, essendo pieno di problemi esistenziali, i miei riferimenti erano più romantici: Chopin, Liszt... A 8 anni, quando ho cominciato a suonare il pianoforte, ero costretto a confrontarmi con autori anche importanti. L’ho studiato con una professoressa che mi dava le bacchettate. Mi hanno talmente massacrato per farmi seguire le regole che sono diventato creativo quando ho smesso. La mia natura rivoluzionaria è partita da queste imposizioni, poi ho frequentato musicisti di tendenze avanzate. L’album Lilly che contiene Santa Brigida, canzone popolare laziale in una versione sinfonica moderna, è stato arrangiato da Nicola Samale e da Giuseppe Mazzucca. Ero anche amico del compositore Domenico Guaccero. Una volta gli dissi: ma che devo fare per imparare il pianoforte? Mi rispose: se non stai zitto ti porto dai miei allievi, così sentendo quello che ti sei inventato vedranno come si suona. Per me la loro considerazione era un onore» (da un’intervista di Alfredo Gasponi).
• «Quando suono il piano non uso mai il terzo dito. Perché? Mi viene così».
• Alla fine degli anni Sessanta frequentò il Folkstudio di Roma da cui scaturì nel 1972 l’album Theorius Campus con Francesco De Gregori (con Sora Rosa e Roma capoccia). Primo grande successo nel 1975 con l’album Lilly (con Compagno di scuola), quindi, tra l’altro, Sotto il segno dei pesci (1978, con Bomba o non bomba e Sara), Buona domenica (1979), Cuore (1983, con Ci vorrebbe un amico e Notte prima degli esami), In questo mondo di ladri (1988, con Ma che bella giornata di sole), Benvenuti in paradiso (1991), Prendilo tu questo frutto amaro (1996).
• «Ci sono stati periodi in cui avevo deciso di smettere. Fortunatamente non l’ho fatto. Uno fu nel 1979, dopo Buona domenica... Mi ero separato da mia moglie Simona Izzo, e per quanto uno non possa ammetterlo, quello che rimane è un periodo in cui lo zenith, la stella polare, non li vedi più e infatti ero talmente insicuro di me che per tranquillizzarmi facevo l’ospite, andavo dai miei amici De Gregori, Dalla, salivo sul palco e cantavo una canzone. Un altro momento del genere mi è capitato nel 1994. Di nuovo c’era una storia finita (...). Nel 1998 ero pronto a ricominciare, ma è morto mio padre. Di nuovo mi sentivo incapace a raccontare di me stesso, potevo solo cantare il ricordo... Il punto di svolta è stato il controverso concerto al Circo Massimo per lo scudetto della Roma. Ne sono uscito talmente incavolato con la gente che non aveva capito, che allora mi sono detto: “Basta, sai che c’è? Io sono Antonello...”. Mi sono rimesso al pianoforte e ho fatto 150 concerti col pianoforte».
• Tiene le ceneri del padre su un comodino, sotto al suo ritratto.
• Ritorno al successo nel 2007 con l’album di inediti Dalla pelle al cuore, cui ha fatto seguito un tour per l’Italia: «Oggi mi dicono “è tornato Antonello”. Io non sono mai partito... Certo, ho vissuto gli ultimi undici anni diversamente dal decennio precedente. Ovvero: nelle canzoni sono entrate meno le mie sofferenze private, mi sono dedicato a vivere meglio la mia vita. È stato un periodo tranquillo, con attenzione alla solidarietà, alla politica e a molto altro. Ma questo non si è tradotto in ispirazione per nuove canzoni. Ora ho nuovamente deciso di soffrire».
• Ha intitolato l’ultimo album Tortuga perché «era il nome del bar davanti al mio liceo ai tempi della scuola. Tortuga è un ritorno a cose conosciute, il riallineamento dell’Antonello di oggi all’Antonello nato a Roma in via Zara...».
• Amico di Francesco De Gregori («È un fratello), di Dalla («A Lucio volevo un bene pazzesco») e di Rino Gaetano («A lui volevamo tutti bene, era il figlio della portiera cantato da De Gregori»).
• Nel 2007 è stato querelato (ma il procedimento è stato archiviato) dalla sorella di Rino Gaetano per aver fatto riferimento all’uso di cocaina «come il vero guaio» del fratello scomparso. «Parlai di quello che sapevo e avevo visto. Dei finti amici, degli approfittatori e dei proci che lo circondarono. Rino era ingenuo, delizioso, commovente. Comprava automobili orrende e ci scherzavamo su: “Dai, ma questo è un ferrovecchio”. Lui aveva guadagnato, voleva mostrare ai genitori la sua agiatezza, ma veniva da lontano e non sapeva bene come fare» (a Malcom Pagani).
• Da Simona Izzo ha avuto il figlio Francesco Saverio, attore e doppiatore. «La sua ex moglie, Simona Izzo, ha detto che lei le ha dedicato molte canzoni a iniziare da Lilly.
“Simona è forte, è una donna che piace molto alle donne, ma a volte esagera. Come avrei potuto dedicarle Lilly con quel destino? Lilly esisteva, si chiamava Patrizia, spero solo che sia ancora viva”» (a Malcom Pagani).
• Ha tre nipoti, Alice, Tommaso e Leonardo. Sono nonno, sì, ma sono anche padre, figlio... vivo tutti i ruoli, vado avanti e indietro dall’uno all’altro. È il mio modo di amare la mia vita fortunata, nella quale ho la mia bussola, so chi sono e come vorrei il mondo, ma so anche giocare e più gioco più le cose vanno bene. Tra gli amici sono molto ricercato per risolvere i problemi degli altri, che mi interessano moltissimo: è un istinto, sono un generoso, si muove una foglia in India e io la sento» (a Lucia Bellaspiga).
Critica «Dopo i trionfi degli anni Settanta e Ottanta caratterizzati da classici della canzone leggera italiana seguì un periodo meno eclatante. Erano gli anni Novanta, in cui più famosa di Venditti probabilmente era l’imitazione che di lui faceva Corrado Guzzanti cantando l’interminabile Il grande raccordo anulare, parodia di tante canzoni vendittiane dedicate a Roma» (Roberto Incerti).
• La canzone Notte prima degli esami ha dato il titolo a due film di successo (2006 e 2007) e un suo verso, Questa notte è ancora nostra, ad un terzo (2008), tutti interpretati da Nicolas Vaporidis.
• Gino Castaldo nel 2007 dopo l’uscita dell’album Dalla pelle al cuore: «Venditti non deve offendersi. In fondo, dire che è tornato tra di noi, dopo molti anni di canzoni monumentali, stentoree e anche un po’ faciline, è un gran complimento».
Frasi «Il Sessantotto mi ha insegnato a sdegnare il potere. Di tutti i tipi, persino quello dell’autografo. Se una ti guarda con occhi lubrichi e ti chiede l’autografo, io mi tengo lontano. Si sa che la domanda che la ragazza ti rivolge non è quella formulata esplicitamente».
• «Per anni ho avuto difficoltà a riunire Antonello e Venditti, l’amico e il compagno, il privato e il sociale... finché negli anni Ottanta non ho scritto Ci vorrebbe un amico».
• «Non considero il cammino musicale una carriera e non mi puoi chiamare maestro. O mi chiami Antonello o testa di cazzo, mezze misure non ci sono. Mi piace guardare al futuro e l’unica vera differenza tra il me di oggi e il me di ieri è che ora so che per cambiare le cose ci vuole tempo» (a Malcom Pagani nel 2014).
• «Dopo il concerto del ’92 al Circo Massimo pensai: “Esco alla grande, smetto nel momento più bello della mia vita e mi dedico alla solidarietà”. Ma il sogno dell’Eritrea si è rivelato una delusione: il mio ex amico presidente, è diventato un dittatore».
• «Oggi la musica è il mezzo attraverso il quale si vendono altri prodotti, è un frullatore sfruttato da tutti e poco considerato. Paradossalmente la divulgazione vera è rimasta appannaggio dei vu cumprà, che ancora ti consigliano quando vendono le copie pirata» (a Ernesto Assante).
Politica Da sempre dichiaratamente di sinistra. «I comunisti in politica hanno un’altra estetica, non so’ capaci, ci vuole pazienza». Ha espresso apprezzamenti per Fausto Bertinotti («quando parlo con lui mi sento bene») e Veltroni («è il migliore»).
• Alle politiche del 2008 schierato con il Pd (a Napoli tenne un concerto in coda a uno dei comizi finali di Veltroni). Eppure, dopo le comunali di Roma, dichiarò al Secolo d’Italia che «Alemanno è più a sinistra di tanti del centrosinistra (...) Da compagno, dico: Gianni, tanti auguri» (Alemanno, nel ringraziarlo, gli ha proposto di entrare nella commissione per Roma capitale). Alla Comunali del 2013 appoggiò Alfio Marchini, cantando anche al comizio conclusivo della campagna elettorale.
• «Oggi i lati della questione mi sfuggono e riconosco meglio di ieri le ragioni degli altri. Ho sempre giocato di critica e autocritica, di mediazione tra le mie due anime in lotta e di ambivalenza, ma non sono manicheo. È l’Italia che a volte ti costringe a esserlo, la situazione contingente. L’antiberlusconimo per l’antiberlusconismo per esempio, non mi ha mai convinto, ma non si può negare che anche il berlusconismo al Paese abbia fatto malissimo. (…) Sono stato renziano all’inizio, non si poteva fare altrimenti, ora non so più. Da noi, in un minuto, tutto diventa tv, annuncio, promessa di domani. Non parlo più di politica neanche con Beppe Grillo. È un amico e ha avuto un’idea, ma non so se la trovata migliore sia stata fondare un movimento. Un altro partito. A volte si è più utili e si riesce a incidere davvero solo stando fuori. Parli con un parlamentare, le dirà che si sente inutile. Un tassello di un ingranaggio immobile. Nuota in un Blob indistinto in cui si può stare sia al governo che all’opposizione, sia con se stessi e contro se stessi. Seguo il dibattito statale con qualche difficoltà» [Malcom Pagani, cit.]
• «La mia musica è trasversale, interpreto canzoni aperte a tutti. Il mio impegno politico è noto, però mi fa piacere se anche Gasparri viene a vedermi in concerto».
Religione Credente. «Finalmente, grazie al Pd, sono libero di esprimermi e di condividere l’affermazione dell’uomo non in contrapposizione con quella di Dio».
Tifo È tifosissimo della Roma (per la quale ha scritto Grazie Roma e l’inno Roma Roma). «La Roma non si discute, si ama».
Ogni domenica «aspetta i soliti amici per vedere la Roma in tv. Sul divano, nel silenzio, ha una spiegazione anche l’assenza di rumore: “Roma sembra Gerusalemme perché ha questa bellezza infinita, struggente. La meraviglia del ritorno. Rimetti piede qui come se seguissi una stella polare, ma in realtà sei in un posto che non esiste e in fondo non esistono più neanche i romani. Se esistono, si sono ritirati sul Raccordo. Nei centri commerciali. Nei silos. All’Ikea. Oggi l’anima di Roma è a Ostia, dove morì Pasolini. Qui rimangono solo turisti o morti viventi”» (Malcom Pagani).
Vizi Una mania per i cappelli Panama: «Era il 1973, uno dei miei primi concerti. Prima di salire sul palco me ne stavo raggomitolato da una parte in preda al panico. Un ragazzo giovane passò di lì e mi vide: per farmi passare la paura mi regalò un cappello. Da allora non ho più smesso di portarmene dietro uno, è la mia coperta di Linus». Ancora di più per gli occhiali da sole, da quarant’anni porta lo stesso modello: «terribili e blasfemi Ray-Ban degli anni Settanta» (Fulvio Abbate).
• Accanito fumatore: «Ora fatico a scendere sotto le 60 sigarette al giorno».