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 2014  settembre 15 Lunedì calendario

I tagliagole a caccia di italiani. Li rapiscono perché paghiamo

Federico Motka e David Haines, ovvero una vita e una morte tremendamente parallele. Due ostaggi legati per 14 mesi alla stessa catena. Due uomini la cui liberazione e il cui destino sono dipesi, alla fine, dal passaporto e dal denaro.
Dal passaporto italiano di Federico e dai sei milioni di euro messi a disposizione dal governo Renzi per riportarlo a casa. Dal passaporto inglese di David e dal rifiuto del governo di Sua Maestà di sborsare una sola sterlina per riaverlo indietro. E così mentre il 27 maggio scorso l’allora 31enne Federico Motka sbarca a Ciampino e riabbraccia i genitori David Haines si ritrova condannato, rivenduto a quei decapitatori dell’Isis che sabato diffondono il macabro filmato della sua uccisione. Oggi Federico Motka e la sua famiglia continuano a non voler raccontare la storia di quei 14 terribili mesi. E non solo perché assieme a David è morta, probabilmente, una parte di Federico. Dietro quel silenzio «obbligato» ci sono almeno quattro ottimi motivi. E altrettanti misteri.
Il primo è l’entità del riscatto pagata dal nostro governo (...)
(...) nel più assoluto segreto. Il secondo è l’identità di alcuni carcerieri che l’ex ostaggio descrive ai magistrati – secondo quanto appreso dal Giornale – come jihadisti «di provenienza europea». Il terzo riguarda i pianificatori di un rapimento studiato, sempre stando a quanto riferito da Motka per «mettere le mani su un italiano» perché – come ripetevano i sequestratori – «il vostro governo paga sempre». La quarta, ancor più delicata, riguarda la struttura di Acted, l’organizzazione umanitaria francese per cui Federico e David lavoravano in territorio siriano. Una struttura, forse «infiltrata», da cui sarebbero uscite le indicazioni per portare a termine il sequestro.
L’inquietante storia parallela di Federico e Haines incomincia ai primi di marzo del 2013. I due, dopo aver firmato per Acted, si ritrovano nel campo profughi di Atma, un villaggio di 2.500 anime appena oltre la frontiera turca, attorno a cui sorge una tendopoli di trentamila profughi in fuga dalla guerra. Federico, giovane di ottima famiglia, discendente della dinastia dalmata dei Luxardo, cresciuto tra Trieste e la Germania ha scelto la carriera di operatore umanitario dopo gli studi alla London School of Economics di Londra. Prima di diventare il coordinatore di Acted ad Atma si è fatto le ossa tra le macerie di Haiti e l’Afghanistan. David, assunto come responsabile della sicurezza, è invece un ex tecnico dell’aeronautica militare inglese congedatosi e specializzatosi da oltre 12 anni nell’assistenza umanitaria. Ma ad Atma il lavoro dura poco. Il 12 marzo un gruppo di armati blocca la loro auto e i due si ritrovano incatenati in un covo prigione. Da quel momento inizia un’odissea comune di 14 mesi durante la quale Federico e David si ritrovano costretti a vivere legati alla stessa catena. Assistendo ai maltrattamenti inflitti ora all’uno, ora all’altro. Quel che colpisce di più Federico è l’identità dei carcerieri. Alcuni di loro, soprattutto quelli più crudeli nei loro confronti, arrivano da paesi europei dove – riferirà – sembrano avere lavorato o vissuto a lungo. Si tratta evidentemente di quei jihadisti d’importazione o di «ritorno» che da tempo preoccupano le intelligence europee.
L’altro fatto sorprendente per l’italiano è la scoperta di essere l’ostaggio prezioso, quello su cui la banda – specializzata in sequestri a scopo di riscatto - punta per intascare un ricco bottino. L’ostaggio inglese rappresenta, invece, un problema per il rifiuto di Londra di avviare qualsiasi trattativa con i mediatori. Così, mentre l’opinione pubblica italiana viene tenuta all’oscuro del rapimento, il governo Letta prima, e quello Renzi poi, affidano alla nostra intelligence una serrata trattativa condotta attraverso i propri omologhi turchi e alcuni mediatori siriani. Come sempre in questi casi i tempi sono, però, lunghissimi. L’accordo sulla somma e la consegna del riscatto arriva solo dopo 14 mesi di sevizie e almeno cinque cambi di prigione. Solo a quel punto l’intelligence turca manda i suoi emissari a recuperare Federico. Quell’epilogo segna però il destino di Haines. I sei milioni di euro consegnati dalla nostra intelligence e da quella turca ai mediatori non bastano a ottenere anche la liberazione dell’inglese. Che a quel punto viene svenduto agli unici interessati, ovvero i decapitatori dell’Isis. A Federico resteranno invece l’angoscia per la sorte del prigioniero «gemello» e il dubbio per la frase sibilatagli nell’orecchio da uno dei suoi liberatori. «Quelli che vi hanno venduto erano gli stessi per cui lavoravate».