2 settembre 2014
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Biografia di Arnaldo Bagnasco
• Varazze (Savona) 1939. Sociologo. Ha insegnato Sociologia nelle Università di Napoli, Firenze e Torino. Accademico dei Lincei, è noto a livello internazionale soprattutto per i suoi studi di sociologia economica e per le sue ricerche sullo sviluppo regionale e urbano. A lui si deve la teorizzazione, alla fine degli anni Settanta, di Tre Italie (titolo di un suo libro del 1977 per Il Mulino), economicamente distinte, rappresentate dal triangolo industriale del Nord ovest, dal Mezzogiorno arretrato e dall’Italia del Nord est e delle regioni centrali (la terza Italia, appunto). Ad ognuna di esse si associava una diversa struttura sociale: era la mappa industriale del nostro Paese.
• Da alcuni anni dirige un programma di ricerca del Consiglio italiano per le Scienze sociali dedicato alla questione del ceto medio (Ceto medio. Perché e come occuparsene, Il Mulino 2008). «Fino a cinque o sei anni fa il 60 per cento degli italiani si sentiva ceto medio, oggi risponde “mi sento di ceto medio” solo il 50 per cento» (a Marco Ferrante) [Rif 3/4/2009].
• Diffida del concetto di ceto medio riflessivo: «Rischia di concedere patenti di capacità riflessiva a chi non le ha e, viceversa, negare capacità riflessiva a chi ne è invece portatore, in modo più o meno esplicito e consapevole» [da un’intervista di Andrea Bellini, in SocietàMutamentoPolitica n.7, 2013, p.259].
• Del 2012 è Taccuino sociologico (Laterza), dove vengono individuati alcuni cruciali passaggi d’epoca, alcune «scene del cambiamento» dove oggi si giocano le possibilità di nuovi equilibri sociali. Un esempio è dato dalla crescita della classe media in paesi emergenti, attratta dal modello cinese (chinese dream) che riecheggia e rincorre l’american dream, l’idea che ha sostenuto la crescita dei paesi industrializzati: «Da noi (in Italia) finora c’è stata tenuta sociale perché siamo capaci di galleggiare, ci sono ammortizzatori che hanno funzionato, compresa la famiglia. Per ora hanno retto, vedremo nei prossimi mesi» (a Ferrante cit.).
• A suo dire nel nostro Paese starebbe venendo meno «il modo “giusto” di diventare adulti, cioè la sequenza ordinata e “normale” di ingresso nella vita adulta, così definita: conclusione degli studi, inizio attività lavorativa, soluzione del problema della casa, matrimonio, nascita dei figli. Per sociologi e antropologi si trattava di un grande rituale collettivo, che come tale costituiva un forte, latente ingrediente di integrazione sociale» (a Bellini cit.).