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 2014  agosto 28 Giovedì calendario

Dell’Arti: «Tutti suonano la tromba di Rodotà» (articolo del 9/8/2014)

ItaliaOggi, sabato 9 agosto 2014
Col suo Catalogo dei viventi, edito da Marsilio, Giorgio Dell’Arti, catanese, classe 1945, giornalista e scrittore, censisce gli Italiani «notevoli». Se l’edizione 2008 ne aveva contati 7.247, cresceranno ulteriormente l’anno prossimo, quando uscirà quella del 2015.
Intanto tutte le biografie vengono aggiornate su www.cinquantamila.it, delizioso portale cronologico, dall’Unità d’Italia in avanti, con cui Dell’Arti si diverte molto. Lo stesso gli accade facendo il Foglio rosa, quello antologico del lunedì, e scrivendo editoriali sull’attualità non sportiva per la Gazzetta dello Sport. Dal 15 settembre, poi, tornerà su RadioUno, alle 7,30, con RadioUno in corpo 9: «Commentiamo i giornali con due ospiti in studio, fino alle nove. Poi, quando rientra Fiorello, gli daremo la linea alle 8,30».

Per la verità lei, caro Dell’Arti, si diverte anche a fare l’editore, essendo diventato socio di maggioranza di Clichy, una piccola ed agguerrita casa editrice fiorentina.
«Alt, la fermo subito. Sono diventato azionista, di maggioranza, è vero, con la mia compagna Lauretta Colonnelli, e abbiamo anche fatto, recentemente, un aumento di capitale. Ma non faccio l’editore, sono già bravissimi da soli».
E quindi lei che cosa fa a Clichy?
«Io pubblico tutti i mie libri con loro. Farà eccezione il Catalogo dell’anno prossimo, per il quale avevo già un impegno con Marsilio».
Quindi per avere il Catalogo dei viventi con Clichy bisognerà aspettare.
«Figuriamoci, se ne parlerà per il 2021, c’è da augurarsi di esserlo. Vivente (ride, ndr)».
Lei non farà l’editore ma si capisce che questa esperienza le piace...
«Certo, perché sono un gruppo di giovani appassionati e competenti. Poi, cosa rara, parlano, ma sanno anche ascoltare».
Ci dica il titolo in uscita che le piace di più...
«Ripubblicano un libro di un economista del 1919, Ettore Lolini, sulla burocrazia. Un’analisi spietata e disperata che dimostra come i mali del pubblico impiego fossero già tutti là, allora, con soli 400mila dipendenti contro i 3,5 milioni attuali. E dimostra come il Paese sia fatto in un certo modo, non c’è verso. L’Italia ha qualcosa che la baca, e non c’è classe politica che tenga. La verità è che il Paese è profondamente corrotto».
Giudizio amaro...
«Ma è così. La classe politica è quello che è, inutile rifare il piagnisteo. Ma gli Italiani non sono innocenti, nemmeno adesso».
Spieghiamolo bene...
«Partiamo dal dato negativo del Pil, il -0,2%. A parte penso che abbia ragione Matteo Renzi e che se fosse stato +1,5 la percezione degli italiani sarebbe stata identica e tutte queste geremiadi sui giornali mi paiono solo patetiche».
In effetti che il dato fosse negativo era nell’aria...
«Era prevedibile. Prendiamo atto che Silvio Berlusconi se n’è andato nel novembre 2011 e ha lasciato certi numeri, pessimi; Mario Monti, che è venuto dopo, e ne ha lasciati di peggiori, e con Enrico Letta i numeri sono ancora peggiorati. Non sappiamo Renzi cosa lascerà alla fine, anche perché è bello saldo e mi auguro che resista. Ma anche i suoi numeri, per adesso, hanno avuto il segno meno».
Che cosa dimostra questa serie di percentuali sul Pil?
«Che non è solo questione di personale politico. Stiamo parlando di persone molto diverse e possiamo dire di averle provate tutte, se si eccettua un Nichi Vendola, ma sono convinto che i conti non migliorerebbero neanche con lui».
Perché?
«Perché c’è qualcosa nel profondo del Paese: un tumore inoperabile, che continua a tormentarci. Insomma, ci sono 800 decreti attuativi non ancora emanati, relativi a leggi preparate dai precedenti governi, per rilanciare l’economia, per semplificare, per migliorare. E non hanno neanche cominciato a scriverli».
Colpa della burocrazia, come si diceva?
«Non solo. Le faccio un altro esempio: Marco Pantani. Ora, lei mi dirà: “Mo’ che c’entra”».
No, si figuri...
«Ma chi ha fatto quelle indagini? Perché tutti gli elementi che saltano fuori adesso non sono stati valutati dieci anni fa? Non dico solo i magistrati ma anche i giornalisti? Tiriamo fuori nomi e cognomi. Chi ha sbagliato, pagasse almeno il fio. Vuole un altro esempio?».
Facciamolo.
«Lo scambio embrioni dell’Ospedale Pertini di Roma, un caso mondiale, in cui due coppie innocenti sono state precipitate nella tragedia, in un problema più grande di loro. Ci volete dire i nomi e cognomi di questi medici, dei componenti del loro staff? Perché non li cacciano? Sa quel è il cancro di questo Paese? La mancanza di severità, l’indifferenza ai doveri».
C’entra il ’68, a cui lei ha dedicato un libro?
«Il ’68 fu qualcosa di complesso e poi ci sono stati i cinquanta anni successivi, in cui tanti sono passati. Insomma tutti hanno soffiato la tromba di Stefano Rodotà, dell’esaltazione dei diritti e la totale dimenticanza dei doveri. Una volta, in un’intervista, glielo ho pure chiesto: “Tu parli solo di diritti, ma i doveri dove stanno?”».
E lui che cosa le rispose?
«Che, ovviamente, i doveri andavano intesi correlativamente: a ogni diritto, corrispondeva un dovere. Ma non è così che va, non è così che funziona. Lo vediamo dai genitori che menano i professori dei figli, ma anche da tutte le deroghe alla legge Fornero sulle pensioni. E anche Renzi rischia da questo punto di vista».
In che senso?
«Coi 4mila insegnanti di quota 96, pensionati senza copertura...».
Pare che sia stato un blitz di Francesco Boccia in commissione bilancio alla Camera, però...
«Beh, appunto, come fa Renzi a fidarsi di uno come Boccia, che è il fratello gemello di Enrico Letta?».
Ora ce l’hanno tutti col premier sull’economia, perché si attarda sulle riforme...
«Non penso che Renzi abbia sbagliato a voler partire dalle riforme istituzionali, lo dimostra la difficoltà paralizzante delle decisioni, che è sotto gli occhi di tutti e personalmente il Senato l’avrei abolito del tutto. C’è poi la legge elettorale, e va bene, e pure l’abolizione delle province ci voleva. Ci vorranno, credo, anche nuovi regolamenti parlamentari per snellire l’iter di approvazione delle leggi anche se tutti mi dicono che, quando si vuole, si riesce a fare presto. Io capisco che riformare la giustizia richieda il tempo di un paio di generazioni ma, insomma, la legge sul condominio ha richiesto undici anni! U-n-di-i-c-i».
Il premier ha sbagliato con gli 80 euro, come molti sostengono ora, dicendo che la mossa non ha prodotto effetti a livello di consumi?
«No, secondo me non ha sbagliato. Non capisco perché dargli addosso per quelli. Li ha dati a chi ne aveva bisogno. E a chi li doveva dare? Certo, in tre mesi non è accaduto nulla, non sono corsi subito a spenderli e che dovevano fare? Comprarsi le sigarette?».
Quindi i gufi, evocati dal presidente del consiglio, esistono davvero?
«È una cosa un po’ diversa. Le faccio, un altro esempio, quello di Carlo Tavecchio».
Il candidato alla presidenza alla Figc?
«Lui. Non m’intendo in modo particolare di calcio, ma so che è un mondo malatissimo, marcio. Non ho notizie particolari nemmeno su Tavecchio, capisco solo che il sistema ha deciso di dargli contro a prescindere. La battuta sulle banane, infelice quanto si vuole, però è una cazzata, scusi, ci si aggrappa a quella per distruggerlo, per farne un caso planetario? Ci si sono attaccati perché vogliono il commissariamento. Ma questa non è la democrazia, questa è camarilla, è gioco delle parti, scontro di mafie. Se lo eleggeranno, è chiaro che ogni giorno Tavecchio sarà massacrato finché non se ne andrà. È la stessa cosa con Ignazio Marino».
Il sindaco?
«Gli danno tutti addosso, e quando partono le campagne generalizzate contro qualcuno io mi schiero d’istinto con questo qualcuno. Non sarà così inviso a tutti perché non obbedisce ai costruttori romani?».
Anche Renzi...
«C’è tutto un movimento contro Renzi, sia di natura politica sia di natura fortemente conservativa perché qualche orto l’ha effettivamente scombinato. Siamo arrivati all’esagerazione di Eugenio Scalfari, secondo il quale sarebbe meglio avere in casa la Troika invece di Renzi. Scalfari avrebbe la ricette per risolvere la situazione? Scalfari sa come si dovrebbe fare? Ma mi facciano il piacere...».
Perché Scalfari è così duro?
«Perché hanno perso gli amici suoi, Pier Luigi Bersani e compagnia. Anche se ancora non capisco perché siano amici, visto che Eugenio è un signore che s’è messo in tasca 100 miliardi di lire, vendendo la libertà di Repubblica».
Ma lei fu l’inventore de Il Venerdì con Scalfari direttore...
«Sono in debito con Eugenio, ho potuto fare Il Venerdì grazie a lui, è un grande giornalista, ma su questo lo critico duramente: la troika meglio di Renzi... È ancora una volta il gioco delle parti, il sistema che si muove secondo le logiche dell’appartenenza».
Non è che questo antirenzismo abbia a che fare con l’antiberlusconismo ben noto?
«B. non era nel giro Mediobanca, cioè era fuori dal giro di Enrico Cuccia e questo l’ha messo subito in una posizione storta. Prima del suo ingresso in politica non c’era sul suo conto neanche un’inchiesta. Appena sceso in campo s’è beccato 26 indagini della magistratura. Poi lui ci ha messo del suo, ovviamente, la magistratura se l’è chiamata in casa. Non vorrei passare per il difensore di B. anche se rivendico d’essere stato uno dei primi, sulla Gazzetta, a dire che il processo di Ruby non stava in piedi».
Renzi invece?
«Renzi ha un appoggio che B. non ha avuto: il Colle. E non credo che il vento gli giri male».
Tutti hanno enfatizzato il ruolo dei media a favore del premier. Ora tutta questa buona stampa non si vede...
«All’inizio un po’ tutta la stampa gli ha voluto bene, oggi a sostenerlo senza se e senza ma sono rimasti sono Repubblica e il Foglio, e qualche firma qua e là, come Marcello Sorgi su La Stampa. Lui ha stretto questo accordo con B. e ha fatto bene ma la via più facile, per Renzi, rimarrebbe il voto. Ha un consenso alto, 43-44%, forse farebbe bene a capitalizzarlo».
C’è qualcuno che si sta attrezzando ad affrontare Renzi. Per esempio, Corrado Passera.
«Mi pare inesistente, politicamente. Conosce qualcuno disposto a votarlo? Anche come ministro, non ha combinato granché, mi pare, non ha lasciato un segno».
E Beppe Grillo?
«Grillo ha creduto di guidare una pattuglia di 150 persone, che avevano un bisogno tremendo di leadership, standosene nella sua villa di Genova e scendendo a Roma solo ogni tanto, per distribuire qualche sberla. Totale ignoranza delle tecniche di management e di leadership».
E pure Gianroberto Casaleggio sta a casa sua, a Milano. C’è però qualche nuovo come Luigi Di Maio. Ha la stoffa del “notevole”?
«Ha tirato fuori il capino dal gruppo, senz’altro. L’uomo che mi pare davvero notevole, da quelle parti, è Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma. Sono pieno di ammirazione per lui: ha lavorato duramente, ha ereditato debiti e corruzione, ce la sta facendo. Che cosa si vuole di più da un sindaco?».
Goffredo Pistelli