La Stampa mercoledì 13/8/2014, 20 agosto 2014
Tags : 03. Articoli su Massimo Giuseppe Bossetti
Yara, le contraddizioni della signora Bossetti (articolo del 13/8/2014)
La Stampa, mercoledì 13 agosto 2014
La cella dalle pareti gialle, i santini e le immagini della Madonna appese, le preghiere, la lettura dei giornali, le visite settimanali dei famigliari, la bella moglie che rilascia interviste ai settimanali popolari. E racconta anche più di quello che finora aveva detto davanti ai magistrati. Il vestito cucito addosso ultimamente a Massimo Bossetti parla di un detenuto in attesa di giudizio per il quale la presunzione di innocenza sembra rafforzarsi di giorno in giorno. Eppure, in questo quadretto idilliaco, qualcosa stona. Ad esempio proprio alcune dichiarazioni contenute nell’intervista rilasciata recentemente dalla moglie Marita Comi al settimanale Gente, che ha raccontato più di quello che finora aveva detto agli inquirenti in due interrogatori. Due cose in particolare colpiscono. La prima riguarda la presenza in casa del marito il giorno in cui Yara scomparve. Se infatti nel primo interrogatorio la donna aveva spiegato di non essere sicura che Bossetti fosse in casa tra le 19 e le 22 del 26 novembre 2010, durante il colloquio «esclusivo» con il settimanale, sembra aver ritrovato un’incrollabile certezza: «…quella bambina è morta dopo le 19, forse dopo le 22. Ebbene, mio marito non poteva essere là fuori ad uccidere perché era a casa…Come faccio a ricordarmi? Perché ogni giorno per noi è identico all’altro, di rado restava fuori casa dopo le 19 e ogni volta mi avvertiva. Se anche quella sera ci fosse stato uno strappo alla regola lo rammenterei…». Invece, sostiene Marita, «so che non è lui, io gli credo». L’altra stranezza riguarda un punto forse ancor più delicato: i computer di casa Bossetti. Alla domanda del magistrato su chi usava i due computer ritrovati nell’abitazione di Mapello, la moglie di Bossetti stranamente, su suggerimento dell’avvocato, si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Nell’intervista invece, diventa precisa e rivendica: «L’ho voluto io, pensavo che prima o poi l’avrebbe utilizzato anche lui per fare le fatture della ditta, ma preferisce la penna. Ci navigavo io soprattutto e la pagina Facebook l’ho aperta io usando il suo nome…Si è detto che il Massi cercava con strana frequenza notizie su Yara al computer. Ripeto, la navigatrice sono io, ma è ovvio che anche lui si interessasse a Yara. Quale bergamasco non ha seguito il caso con attenzione speciale?». Tutto giusto, logico. Se non fosse però che proprio sull’uso del computer pare abbiano insistito a lungo gli inquirenti nell’ultimo interrogatorio di Bossetti, la settimana scorsa in carcere. Perché, oltre alle notizie sul caso Yara, gli investigatori avrebbero trovato anche qualche pagina più compromettente, oggetto di contestazione, su questioni che i legali hanno definito «intimissime» e che difficilmente potrebbero essere attribuite alle «navigazioni» di Marita Comi. Possibile che ogni volta che si vada a ritroso nella vita di Bossetti si trovino corrispondenze con il profilo di «Ignoto Uno» tracciato per tre anni e mezzo dagli investigatori prima di attribuire a quell’individuo l’identità del muratore di Mapello? Per non palare ovviamente di quella che continua a rimanere la prova insormontabile: il Dna. A questo proposito va notato che, da quando il muratore è in carcere, i suoi difensori non hanno ancora presentato alcuna istanza di scarcerazione né un ricorso al tribunale del riesame, ritirato all’ultimo momento «Attendiamo di avere in mano il quadro completo dell’accusa», hanno spiegato più volte. Ma ancora non hanno avanzato richiesta di un nuovo esame del Dna sul materiale organico ritrovato sui leggins e all’interno delle mutandine di Yara. Bossetti avrebbe sfidato gli inquirenti a fare pure «tutte le domande che volete», nella convinzione di poter dare una spiegazione credibile a tutto quanto sembra inchiodarlo per la sera del 26 novembre 2010, quando Yara scomparve: dalla sua presenza frequente nei luoghi vicino all’abitazione dei Gambirasio fino al passaggio di un furgone camionabile proprio simile al suo ripreso dalle telecamere di una banca la sera dell’omicidio in via Rampinelli, ovvero dove abitava la piccola ginnasta.
La cella dalle pareti gialle, i santini e le immagini della Madonna appese, le preghiere, la lettura dei giornali, le visite settimanali dei famigliari, la bella moglie che rilascia interviste ai settimanali popolari. E racconta anche più di quello che finora aveva detto davanti ai magistrati. Il vestito cucito addosso ultimamente a Massimo Bossetti parla di un detenuto in attesa di giudizio per il quale la presunzione di innocenza sembra rafforzarsi di giorno in giorno. Eppure, in questo quadretto idilliaco, qualcosa stona. Ad esempio proprio alcune dichiarazioni contenute nell’intervista rilasciata recentemente dalla moglie Marita Comi al settimanale Gente, che ha raccontato più di quello che finora aveva detto agli inquirenti in due interrogatori. Due cose in particolare colpiscono. La prima riguarda la presenza in casa del marito il giorno in cui Yara scomparve. Se infatti nel primo interrogatorio la donna aveva spiegato di non essere sicura che Bossetti fosse in casa tra le 19 e le 22 del 26 novembre 2010, durante il colloquio «esclusivo» con il settimanale, sembra aver ritrovato un’incrollabile certezza: «…quella bambina è morta dopo le 19, forse dopo le 22. Ebbene, mio marito non poteva essere là fuori ad uccidere perché era a casa…Come faccio a ricordarmi? Perché ogni giorno per noi è identico all’altro, di rado restava fuori casa dopo le 19 e ogni volta mi avvertiva. Se anche quella sera ci fosse stato uno strappo alla regola lo rammenterei…». Invece, sostiene Marita, «so che non è lui, io gli credo». L’altra stranezza riguarda un punto forse ancor più delicato: i computer di casa Bossetti. Alla domanda del magistrato su chi usava i due computer ritrovati nell’abitazione di Mapello, la moglie di Bossetti stranamente, su suggerimento dell’avvocato, si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Nell’intervista invece, diventa precisa e rivendica: «L’ho voluto io, pensavo che prima o poi l’avrebbe utilizzato anche lui per fare le fatture della ditta, ma preferisce la penna. Ci navigavo io soprattutto e la pagina Facebook l’ho aperta io usando il suo nome…Si è detto che il Massi cercava con strana frequenza notizie su Yara al computer. Ripeto, la navigatrice sono io, ma è ovvio che anche lui si interessasse a Yara. Quale bergamasco non ha seguito il caso con attenzione speciale?». Tutto giusto, logico. Se non fosse però che proprio sull’uso del computer pare abbiano insistito a lungo gli inquirenti nell’ultimo interrogatorio di Bossetti, la settimana scorsa in carcere. Perché, oltre alle notizie sul caso Yara, gli investigatori avrebbero trovato anche qualche pagina più compromettente, oggetto di contestazione, su questioni che i legali hanno definito «intimissime» e che difficilmente potrebbero essere attribuite alle «navigazioni» di Marita Comi. Possibile che ogni volta che si vada a ritroso nella vita di Bossetti si trovino corrispondenze con il profilo di «Ignoto Uno» tracciato per tre anni e mezzo dagli investigatori prima di attribuire a quell’individuo l’identità del muratore di Mapello? Per non palare ovviamente di quella che continua a rimanere la prova insormontabile: il Dna. A questo proposito va notato che, da quando il muratore è in carcere, i suoi difensori non hanno ancora presentato alcuna istanza di scarcerazione né un ricorso al tribunale del riesame, ritirato all’ultimo momento «Attendiamo di avere in mano il quadro completo dell’accusa», hanno spiegato più volte. Ma ancora non hanno avanzato richiesta di un nuovo esame del Dna sul materiale organico ritrovato sui leggins e all’interno delle mutandine di Yara. Bossetti avrebbe sfidato gli inquirenti a fare pure «tutte le domande che volete», nella convinzione di poter dare una spiegazione credibile a tutto quanto sembra inchiodarlo per la sera del 26 novembre 2010, quando Yara scomparve: dalla sua presenza frequente nei luoghi vicino all’abitazione dei Gambirasio fino al passaggio di un furgone camionabile proprio simile al suo ripreso dalle telecamere di una banca la sera dell’omicidio in via Rampinelli, ovvero dove abitava la piccola ginnasta.
Paolo Colonnello