20 agosto 2014
Tags : La morte di Robin Williams
Morte di un comico triste
Robin Williams, nato a Chicago (Illinois) il 21 luglio 1952, morto a Tiburon (California) l’11 agosto 2014. Attore. «Per anni ho pensato di suicidarmi: è stata l’unica cosa che mi ha tenuto in vita».
Si è impiccato nella camera da letto della sua casa di Tiburon, alle porte di San Francisco. È stato trovato vestito, in una posizione sospesa, con la cintura attorno al collo e l’altra estremità fissata alla porta di un armadio a muro. Aveva alcuni tagli a un polso e poco più in là c’era un coltello insanguinato. Nessun biglietto d’addio [1].
«L’uomo con troppe qualità, che aveva gli occhi troppo azzurri, il talento troppo grande. Che aveva la paura di vivere troppo profonda perché potesse sopravviverle, che aveva “il cervello di Einstein e il carattere di Paperino” come scrisse di lui il critico Roger Ebert. Ecco, è come che se nella casa di Tiburon fosse morto Paperino, quando tutti i bambini sanno che Paperino non può morire» (Vittorio Zucconi) [2].
Williams lascia la terza moglie, Susan Schneider (le altre due erano state Valerie Velardi e Marsha Garces), tre figli (Zachary, Cody e Zelda Rae), e due figliastri.
Silvia Bizio: «I due divorzi pare gli siano costati più di 30 milioni di dollari. Nonostante nel 2012 Williams valesse circa 130 milioni di dollari, sembra infatti fosse sull’orlo della bancarotta e in procinto di vendere la sua tenuta di 35 milioni di dollari e parte delle sue 50 biciclette da corsa» [3].
«E poi mi chiedete perché faccio dei film orrendi, per i soldi, man, per i soldi» [2].
Williams era ricaduto in depressione negli ultimi mesi e aveva cercato e ricevuto cure mediche, come confermato mercoledì scorso dal medico legale. Sofferente di depressione cronica sin da giovane, Williams era soffocato da recenti problemi professionali e finanziari. Non solo aveva sofferto per il fallimento del suo programma tv, The Crazy Ones, che doveva segnare il grande ritorno in video, ma era rimasto ferito dal flop del suo ultimo film, The angriest man in Brooklyn [4].
Intanto Zelda, la 25enne figlia di Williams, ha abbandonato a tempo indeterminato i social media, cancellando i suoi account su Twitter e Instagram dopo essere stata bersagliata con accuse e insulti da utenti indispettiti perché non aveva messo in rete le immagini intime di Robin in famiglia, coi suoi cari [5].
«Ho cominciato questo lavoro appena nato, ho fatto ridere mia madre quando ho protestato perché mi spruzzava il latte dal seno direttamente negli occhi e ho detto “basta, mamma”. Ho continuato al liceo e poi al college imitando i professori. Tra gli insegnanti avevo Kissinger, non ha gradito quando gli ho parlato con la sua voce» [6].
«Sono stato un ragazzo solitario. Da Chicago a Detroit a San Francisco, cambiai sette scuole: ero figlio unico, mio padre aveva cinquant’anni quando nacqui, figlio di due divorziati sempre pronti a trasferirsi. I ragazzi dei loro due precedenti matrimoni vivevano lontani, la mia immaginazione era la sola amica» [7].
Bis-bis-bisnipote del senatore e governatore del Mississippi Ansel J. McLaurin — il suo nome intero è infatti Robin McLaurin Williams — abbandona gli studi di scienze politiche per iscriversi alla Juilliard School di New York (quella di Saranno famosi). Mimo, stand-up comic nei cabaret di Manhattan, interpreta l’alieno Mork in un episodio di Happy Days e da lì diventa l’applaudito protagonista dello spin-off Mork & Mindy, che gli fa vincere il primo dei suoi sei Golden Globe (oltre ad altrettante nomination) [8].
Premio Oscar come miglior attore non protagonista per Will Hunting – Genio Ribelle (di Gus Van Sant, 1997). È stato tra l’altro il dj Adrian Cronauer di Good Morning, Vietnam (Barry Levinson, 1987), il professor John Keating dell’Attimo fuggente (Peter Weir, 1989); un padre/tata in Mrs Doubtfire (Chris Columbus, 1993), un dottore in Risvegli (Penny Marshall, 1990) e in Patch Adams (Tom Shadyac, 1998), un robot nell’Uomo bicentenario (Chris Columbus, 1999), il presidente Theodore Roosevelt in Una notte al museo (Shawn Levy, 2007) e Dwight Eisenhower in The Butler (Lee Daniels, 2013). Da ultimo ha girato The Angriest Man in Brooklyn (Phil Alden Robinson, 2014), Boulevard (Dito Montiel, 2014) e Una notte al museo 3 - Il segreto del faraone (Shawn Levy, 2014).
«Due pieghe profonde sopra le labbra che neanche gli abilissimi truccatori di Hollywood sono mai riusciti a cancellare. Coperte dal cerone di Mrs Doubtfire erano anche più visibili» (Giuseppe Videtti) [9].
Amico di John Belushi, era con lui quando l’attore e cantante morì per overdose. Francesco Borgonovo: «“Hey, John, se dovessi mai rialzarti dal letto, fammi uno squillo”. È la notte del 4 marzo 1982, e Williams sta salutando il suo amico Belushi prima di uscire dalla sua stanza all’hotel Chateau Marmont di Hollywood. Sono entrambi giovani (Williams è del ’51, Belushi del ’49) e famosi. Il problema è che John non si rialzerà più, lo troverà il suo personal trainer la mattina dopo, con il cuore spappolato da un’iniezione di speedball, una colazione dei campioni a base di varie sostanze tra cui eroina e cocaina (…) In quella notte del 1982, dentro Robin Williams qualcosa si muove. Forse si spaventa. Forse prova una stretta al cuore che tempo dopo gli farà partorire una celebre battuta: “La cocaina è il modo che ha Dio per farti capire che stai facendo troppi soldi”» [10].
«Quella notte tragica ha cambiato per sempre anche il destino di Robin Williams. Probabilmente perché, in fondo, conosceva quel sentimento che poi avrebbero chiamato depressione, che aveva spinto l’amico verso zone sempre più nere, verso un’inesorabile autodistruzione. Williams come Belushi sapeva cosa significasse essere adorato dal pubblico per i sorrisi regalati. E forse già allora sapeva cosa significava ritrovarsi in privato senza riuscire a trovare il motivo per farne uno» (Chiara Maffioletti) [11].
Ha poi raccontato: «Avevo un piccolissimo problema di droga, insomma, mica tanto piccolo, tiravo cocaina. Ho cominciato in un periodo in cui la mia carriera andava male, pensavo, sbagliando, che la droga potesse essermi d’aiuto. D’altra parte basta andare a Hollywood e guardare il modo in cui si vive per capire come mai tanta gente cada nella stessa trappola. Sono tutti superagitati, non si fermano mai, e spesso la loro esistenza dipende dagli incassi dell’ultimo film girato. Se sono bassi, può capitare anche che nessuno ti rivolga più la parola...» [12].
A segnarlo nuovamente sarà il’incidente di Christopher Reeve, l’attore di Superman, «altro grande amico di anni sgangherati. La persona che gli resterà a fianco, umanamente e a suon di milioni di dollari per l’assistenza medica, è ancora Williams» (Emiliano Liuzzi [13].
Dopo gli abusi degli Anni Ottanta era riuscito a venirne fuori, riconquistando la sobrietà e riuscendo a mantenerla per vent’anni. «Poi nel 2004 ha ricominciato a bere, complice la solitudine di un viaggio in Alaska, dove era per un film. “Un goccio, soltanto un goccio per scaldarmi” si disse. “Dal freddo?”, gli chiese l’intervistatrice del “Guardian”, “Dalla solitudine”, rispose lui» (Vittorio Zucconi) [2].
Paolo Mereghetti: «Difficile trovare una sintesi tra i mille volti (e le mille voci) cui aveva dato vita in quarant’anni di carriera. Ma difficile anche far coincidere quell’immagine survoltata e irrefrenabile con la dichiarazione del suo press agent, che di fronte al corpo senza vita trovato lunedì dalla polizia di Marin County si è affrettato a dichiarare che l’attore soffriva di “depressione”. Come se bastasse quella parolina a spiegare tutto» [8].
«Erano anni che non era più credibile al cinema, come fosse l’ombra del grande attore e del grande commediante che era stato, una specie di presenza imbarazzante perché ormai troppo consumato, distrutto inoltre, assieme alle cause maggiori di coca e alcool, anche dalla massa di film inutili che aveva girato dove era obbligato a quella eterna faccetta allegra e sorridente, penso solo ai terribili L’uomo bicentenario o Patch Adams o Al di là dei sogni, tutti film che, misteriosamente aveva a che fare con la morte e a come superarla» (Marco Giusti) [14].
Si definiva un «cattolico light: stessi rituali, ma la metà del senso di colpa» [15].
In un’intervista a Giovanna Grassi nel 2006 disse: «Capita nella vita, e a me accade più spesso sullo schermo, di essere bravi insegnanti, ma di non saper scegliere per se stessi la strada giusta» [16].
Nel settembre scorso era tornato al David Letterman Show. Andrea Scanzi: «Sembrava allegro: sembrava, appunto. Sin troppo su di giri. Pareva un uomo che si imponeva di ridere, per reiterare l’illusione. Stimolato da Letterman, ammise: “I monologhi comici? È meno costoso che andare in analisi. Per me era un modo di raccontare la mia vita. Evito di parlare troppo della mia vita personale, ma durante quegli spettacoli ho toccato temi interessanti: mi riferisco alle ricadute con l’alcol e al fatto che ho scelto una clinica per alcolisti nella regione dei vini. Nel caso avessi cambiato idea”» [17].
(a cura di Luca D’Ammando)
Note: [1] Lorenzo Soria, La Stampa 13/8; [2] Vittorio Zucconi, la Repubblica 13/8; [3] Silvia Bizio, la Repubblica 13/8; [4] Anna Guaita, Il Messaggero 14/8; [5] Massimo Gaggi, Corriere della Sera 14/8; [6] Maria Pia Fusco, la Repubblica 22/7/2002; [7] Giovanna Grassi, Corriere della Sera 22/4/2004; [8] Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 13/8; [9] Giuseppe Videtti, la Repubblica 6/11/2005; [10] Francesco Borgonovo, Libero 13/8; [11] Chiara Maffioletti, Corriere della Sera 13/8; [12] Fulvia Caprara, La Stampa 13/8; [13] Emiliano Liuzzi, il Fatto Quotidiano 13/8; [14] Marco Giusti, Dagospia 12/8; [15] Federico Cella, Corriere della Sera 24/11/2011; [16] Giovanna Grassi, Corriere della Sera 28/10/2006; [17] Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 13/8.