19 agosto 2014
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Biografia di Salvatore Buscemi
• Palermo 28 maggio 1938. Mafioso. Capo del mandamento di Boccadifalco (o Passo di Rigano). Scarcerato nel 2009 dal Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia, per gravi motivi di salute (era detenuto al 41 bis).
• Per la strage di Capaci assolto in primo grado e condannato in appello, per la strage di via D’Amelio, assolto in primo e secondo grado. Condannato, in via definitiva il 18 settembre 2008, per concorso in entrambi i delitti (gli stralci dei due processi, a seguito di annullamento delle sentenze nei confronti di alcuni imputati, erano stati riuniti).
I giudici, a inizio motivazione, precisavano che Buscemi era stato agli arresti domiciliari dall’88 fino al 22 ottobre 1991, quando veniva sottoposto a misura cautelare in carcere in virtù della Legge Martelli, che vietava i domiciliari ai mafiosi. Da detenuto era sostituito alla guida del mandamento dal cugino Michelangelo La Barbera (vedi), che era socio nella società Calcestruzzi della famiglia Buscemi. Nei rapporti coi politici, negli affari e negli appalti pubblici lo rappresentava il fratello Nino Buscemi.
• «Per Buscemi, che era un grosso imprenditore legato alla politica ed agli affari, il giudice Falcone, che pareva in quel momento designato alla Direzione Investigativa Antimafia, costituiva un grosso pericolo, anche se non aveva ricevuto personalmente grossi danni dall’esito del maxiprocesso, per cui aveva un interesse anche personale alla sua eliminazione affinché non indagasse sugli affari dei Buscemi, oltre al generale interesse a ripristinare il prestigio mafioso; ed anche Lima era stato d’altronde ormai abbandonato fin dal 1987, allorché cosa nostra aveva assicurato il suo appoggio elettorale al PSI ed istituito il c.d. “tavolino”, intorno al quale sedevano insieme mafia, politica ed imprenditoria, fior all’occhiello di cosa nostra, pur essendosi nutrita fino all’ultimo una flebile speranza che potesse fare qualche cosa per “aggiustare” in cassazione il maxiprocesso». Secondo i giudici era Buscemi il soggetto deputato a tenere «i rapporti anche affaristici con i politici, tramite il fratello Nino (attraverso l’istituto c.d. del tavolino)». Lo difendeva l’avvocato Paola Severino.
• Tavolino Secondo i giudici intorno al tavolino c’era seduta perfino Calcestruzzi s.p.a., società del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. Lorenzo Panzavolta, l’amministratore delegato della Calcestruzzi, condannato in via definitiva nel 2012 per concorso esterno in associazione mafiosa, per avere contribuito a rafforzare l’organizzazione criminale Cosa Nostra, agevolandone l’inserimento nel settore degli appalti pubblici nella regione Sicilia. Infatti Riina aveva deciso di passare dalla fase parassitaria alla fase «simbiotica» con la grande imprenditoria edilizia, spinto da Pino Lipari (vedi).
Secondo le regole del «tavolino», Filippo Salamone (imprenditore agrigentino subentrato ad Angelo Siino – vedi –, nei rapporti tra mafia ed imprenditoria di alto livello), l’ingegnere Giovanni Bini della Calcestruzzi, facente capo al gruppo ravennate guidato da Lorenzo Panzavolta, e Nino Buscemi (fratello di Salvatore), distribuivano gli appalti superiori ai 5 miliardi tra le imprese, che corrispondevano a monte una tassa dello 0,80 per cento sull’importo dei lavori, destinata a Riina (Angelo Siino restava fiduciario per gli appalti non superiori ai 5 miliardi). Ogni impresa regolava poi a valle i rapporti con le famiglie locali mediante il pagamento del pizzo.
• «Falcone attraverso le sue investigazioni era riuscito a comprendere tale strategia tanto che proprio all’indomani dell’ingresso della Ferruzzi nel mercato azionario dichiarò pubblicamente che “la mafia era entrata in borsa”.
Cosa Nostra prestava molta attenzione alle dichiarazioni dei due magistrati, soprattutto quando concernevano quel settore; Lipari e Buscemi, infatti, riferendosi alle conclusioni del magistrato esclamarono: “Questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare”». (Anna Petrozzi, “Antimafia Duemila”).
• Riciclaggio «Quando negli ultimi giorni del giugno 1992 Leonardo Messina accettò di collaborare con il pm Paolo Borsellino, primo mafioso a pentirsi dopo la strage di Capaci, Raul Gardini era ancora il timoniere del Moro di Venezia: l’imprenditore di successo che aveva tenuto gli italiani incollati davanti al televisore per le dirette notturne della Coppa America, trasmesse dalla “sua” tv. Ma in quell’interrogatorio Messina, piccolo boss dalle rivelazioni sconvolgenti sulla rete planetaria di Cosa nostra, disse senza mezzi termini: “Totò Riina i suoi soldi li tiene nella calcestruzzi”. All’inizio venne verbalizzato con la “c” minuscola, come se si trattasse di una qualunque fabbrica di cemento, ma l’uomo d’onore precisò subito: “Intendo dire la Calcestruzzi spa”. (…) Borsellino rimase colpito da quelle parole: all’indomani dell’uccisione di Giovanni Falcone aveva riaperto il dossier del Ros sul monopolio degli appalti. Una radiografia dell’intreccio tra cave e cantieri che costituisce il polmone di Cosa nostra: permette di costruire relazioni con i politici e con la borghesia dei professionisti, di creare posti di lavoro e marcare il dominio del territorio. E guadagnare somme sempre più grandi. “Ma se ci sono tante persone che possono riciclare qualche miliardo di lire”, dichiarò Borsellino all’indomani dell’interrogatorio di Messina, “quando bisogna investire centinaia di miliardi ci sono pochi disposti a farlo. Imprenditori importanti, di cui i mafiosi non si fidano ma non possono nemmeno fare a meno. È uno dei fronti su cui stiamo lavorando”. Il magistrato siciliano non ebbe il tempo di andare avanti: 19 giorni dopo fu spazzato via dall’autobomba di via d’Amelio. Un anno più tardi, anche Gardini uscì di scena» (Giuseppe Lo Bianco, Piero Messina) [Esp 10/8/2006).
• Pm: «Lei sa quali attività imprenditoriali svolgevano Antonino e Salvatore Buscemi?». Giovanni Brusca: «Si interessavano di appalti, poi acquistarono una cava, la Calcestruzzi Palermo che poi hanno venduto, secondo me fittiziamente, alla Calcestruzzi spa» (interrogatorio del 23 gennaio 1999).
• «Dall’inchiesta che ha visto condannati manager della holding ravennate, in concorso con affiliati di Cosa Nostra, è stato appurato che “i rapporti fra il gruppo di Ravenna ed i Buscemi (per quanto attiene, la Calcestruzzi Palermo spa) hanno inizio nel 1982 allorché la Calcestruzzi di Ravenna, amministrata da Panzavolta Lorenzo, acquista da Buscemi Antonino il 40% del capitale sociale della Cava Occhio con sede in Palermo” (Gip di Palermo, Renato Grillo,
2 ottobre 1997 ). (…) “Che si sia trattato di una vendita simulata avente il solo scopo di evitare il sequestro e la conseguente confisca di alcuni terreni intestati alla Calcestruzzi Palermo spa è però, innanzitutto, desumibile da una relazione dell’amministratore giudiziario dei beni di Buscemi Antonino nell’ambito di procedimento di prevenzione a carico di quest’ultimo instaurato nei primi anni 90”. (…) Ma gli affari tra il gruppo Ferruzzi e la famiglia Buscemi, a cavallo tra gli 80 e i 90 furono almeno tre: quello riguardante le modalità di costituzione della F.I.N.S.AV.I. srl e della Generale Impianti spa; quella degli investimenti occulti dei Buscemi-Bonura in Toscana per il tramite della Calcestruzzi spa di Ravenna ed, infine, l’operazione Pizzo Sella. (…) Queste operazioni affermano i giudici “appaiono rientrare in una più complessa operazione di reimpiego di capitali nella disponibilità dei Buscemi cui l’oramai scomparso Raoul Gardini, Panzavolta Lorenzo presidente del Consiglio di Amministrazione della Calcestruzzi spa (società capofila del gruppo Ferruzzi) ed i collaboratori di quest’ultimo si sono prestati nell’ambito di una complessa vicenda che, per circa un decennio, ha visto uno dei principali gruppi imprenditoriali del nostro paese divenire il socio occulto di una delle più potenti famiglie mafiose di Cosa Nostra. (…) Attraverso la Calcestruzzi di Ravenna, il gruppo mafioso imprenditoriale di Buscemi nel 1984 riuscì a comprare una serie di cave di marmo e ditte di materiali per l’edilizia nella zona di Massa Carrara, schermando il riciclaggio di denaro con una società che nominalmente era della Ferruzzi ma che, in pratica, aveva il 50 per cento di capitale dei Buscemi e alcuni dei uomini del boss-imprenditore al proprio interno. In ordine di tempo, questa operazione risulta essere quella che per prima viene scoperta dagli inquirenti, nel 1991, ma solo tre anni più tardi diventerà un’ipotesi investigativa su cui lavorare, quando in un informativa dello Sco del febbraio del ’94 si affermava che “in alcuni casi la Calcestruzzi s.p.a. ha rilevato beni di notevole entità e valore da soggetti mafiosi che, molto spesso, sono riusciti, attraverso contratti societari, a mantenere la gestione, pur non figurando, dal punto di vista giuridico, quali unici proprietari, e ciò al fine di evitare l’applicazione delle specifiche disposizioni di legge vigenti nei confronti dei soggetti ritenuti appartenere ad organizzazioni di tipo mafioso». (Nicola Biondo, Narcomafie, 1/10/2006).
• Tra i mafiosi che nel 2000 si fecero venire l’idea di dissociarsi da Cosa Nostra come un tempo i terroristi (vedi Anfonso Sabella).
• Condannato per la strage di via Pipitone (in cui morirono Rocco Chinnici, la scorta e il portiere dello stabile – Palermo, 29 luglio 1983). Assolto nei processi per l’omicidio di Salvatore Lima e di Antonino Scopelliti. (a cura di Paola Bellone).