L’Espresso, 14 agosto 2014, 17 agosto 2014
Tags : Livia Pomodoro
La passione di Livia Pomodoro per il teatro
L’Espresso, 14 agosto 2014
GIUDICE, IN SCENA [Colloquio con Livia Pomodoro] –
Esercitare la giustizia è pura drammaturgia, dice Livia Pomodoro, proponendo una sintesi della sua attuale doppia vita: magistrato di giorno, organizzatrice teatrale, e talvolta attrice, di sera. Ma trovando così anche un modo elegante per sfilarsi dalla vicenda che ha scosso il prestigio della procura più famosa d’Italia con il conflitto tra il suo capo, Edmondo Bruti Liberati, e il sostituto procuratore Alfredo Robledo. Lei, che del Tribunale di Milano è presidente, non vuole dare giudizi su quel pubblico dramma: «Tra pochi mesi sarò in pensione, guarderò le cose da lontano e ne parlerò», promette più a se stessa che a chi le fa domande.
Va bene, allora parliamo di teatro, di questa passione travolgente che l’ha invasa da quando, nel 2008, la sua gemella Teresa, attrice e autrice teatrale, è morta, lasciandole il suo piccolo teatro milanese, il Na’hma, parola greca che allude all’unione tra ragione e sentimento. Da quel momento Pomodoro si sdoppia, resta giurista e si immerge nell’ambiente dello spettacolo, rilancia il teatro con l’aiuto di amici intellettuali, si prepara a una stagione speciale in occasione dell’Expo 2015.
Presidente, dica la verità, ha scoperto che il palcoscenico è il suo luogo naturale.
«Non esageriamo, non sono un’attrice né voglio diventarlo. Però...»
Però?
«Ormai sto a mio agio sulla scena. Un mese fa, al teatro Argentina di Roma, in una serata dedicata all’Europa, ho recitato alla presenza del presidente della Repubblica. Prima e dopo di me sono saliti sul palco Giorgio Albertazzi, Valentina Cortese, Maddalena Crippa, attori veri e grandi».
Che cosa ha recitato?
«L’incontro immaginario fra Melina Mercouri e Angela Merkel. Si conclude con queste parole: “Però, signora Merkel, quando redarguisce, giustamente, i greci, quando pretende che rispettino gli impegni, quando ci chiede soldi... per cortesia si alzi in piedi”. L’ha scritto Alberto Meomartini».
Meomartini? Il manager milanese attuale vicepresidente della Camera di commercio?
«Proprio lui. È un autore eccellente. Di suo avevo già recitato un bellissimo testo sul fordismo. Per il mio teatro ho chiamato a raccolta il mondo intellettuale milanese. Viviamo di finanziamenti pubblici e privati, con serate sempre gratuite che fanno il tutto esaurito».
Certo è curioso vederla calcare la scena, lei sempre in prima linea sui vari fronti della giustizia.
«Non si meravigli, mia cara. Nel processo penale c’è la vita, c’è la patologia e lo sforzo di giudicare quella patologia. Nel teatro ci sono le storie più terribili e lo sforzo del riscatto. In entrambi è necessaria molta introspezione, anche se nel processo c’è il feroce dolore del giudizio. Giudicare altri uomini è il compito più ingrato che possa capitare».
Allora perché l’ha scelto?
«Vuole sapere la verità? Io non ho scelto di fare il giudice: sono stata scelta. Volevo fare l’ambasciatore e forse anche il veterinario, tanto è vero che quando ero già alla Corte d’Appello mi sono iscritta all’università e ho anche fatto quattro esami, ma poi ho capito che non avrei avuto il tempo per le esercitazioni cliniche».
Sta dicendo che la sua è stata una carriera controvoglia?
«No, l’ho poi fatta con passione. Ma, appena laureata, come si fa al Sud, ho partecipato contemporaneamente a tre concorsi e li ho vinti tutti e tre. Avrei potuto essere un avvocato, un insegnante di diritto o un magistrato. Forse ho optato per la magistratura perché avevo antenati notai, uno zio in Cassazione... chissà».
Aveva però anche due cugini che sarebbero diventati artisti importanti.
«Già, Arnaldo e Giò Pomodoro, due grandi scultori. Ma nella mia famiglia la vena artistica era stata tutta assorbita da mia sorella Teresa».
Si stenta a credere che foste tanto diverse. Che ne è della simbiosi tra gemelli?
«Mah, forse la simbiosi l’ho avuta solo io. Teresa mi ha sempre stimolato a pensare che eravamo due persone diverse. Quello che ci univa, più del Dna, era l’educazione all’arte e alla bellezza respirate in famiglia. Poi abbiamo avuto destini diversi, ma entrambe con successo nei nostri campi».
Lei ha sempre descritto sua sorella come carismatica e bellissima. Le ha mai invidiato questa bellezza?
«Non sono capace di invidia. E, del resto, anch’io non ero malino».
Oggi si sente anche lei un’artista?
«Non ci sono paragoni. Teresa era una straordinaria attrice e un’autrice profonda. Io sento fortissimo l’amore per questo teatro, che è davvero speciale, perché è aperto al mondo e include gli ultimi, ma non sarò mai come lei. Semmai cercherò di espandere di più il nostro messaggio, renderlo internazionale. La prossima Expo sarà una grande occasione anche perché sarò già in pensione e avrò tutto il mio tempo».
Già, la pensione. Deve essere dura dopo cinquant’anni e tanto potere. Come si sta preparando?
«Pensando che ogni cosa deve avere una fine. Forse l’unico ufficio dal quale è stato faticoso distaccarmi è stato quello del Tribunale per i minorenni. Mi sono occupata di bambini e ragazzi per 14 anni. Mi chiamano ancora “la mamma d’Italia”».
Sente la mancanza di un figlio suo?
«Le rispondo con un titolo che mi fu dedicato anni fa, “Sono tutti miei figli”. Li ho difesi stando lontana da una qualsiasi simulazione di maternage, sono miei figli in quanto rappresentano l’umanità».
A scadenze fisse, lei è stata considerata candidata a ogni tipo di carica, ministro della Giustizia, sindaco di Milano, addirittura presidente della Repubblica. Mai niente è andato in porto. Ne è delusa?
«Ho sempre risposto che sono un servitore dello Stato. Ma, per come stanno le cose oggi, direi che è un bene starne fuori. Io sono troppo anomala per il potere costituito».
Fra pochi mesi avrà 75 anni. Ha paura della vecchiaia?
«No, e neanche della morte. Sono stata una combattente in tempi molto pericolosi, ho rischiato parecchio senza preoccuparmene. Ciò che mi fa veramente paura è la malattia, perché non è governabile con la ragione. Comunque il punto è trovare ogni giorno un motivo di più per vivere e vivere bene».
Non è poco. Lei ha una ricetta?
«Più che altro un’aspirazione legata all’arte e alla cultura. Mia sorella diceva che se il mondo fosse governato dalla bellezza, dall’eleganza e dalla raffinatezza non ci sarebbero più delitti, perché il delitto non è elegante».
Un po’ snob come definizione.
«Ma, scusi, uno stupro non ha in sé qualcosa di sporco, di laido, di non elegante? Comunque è un modo per ironizzare sulla società. Niente di quello che io dico è assoluto, cara signora, e vorrei che lei lo mettesse in evidenza.
Mi sta dicendo che non dobbiamo credere a quanto ci ha detto finora?
«No, ma sto suggerendo che di tutto quello che ho detto potrei sostenere nello stesso modo e con la stessa credibilità esattamente il contrario. Perché nessuno possiede la verità. Neanche io, naturalmente».
GIUDICE, IN SCENA [Colloquio con Livia Pomodoro] –
Esercitare la giustizia è pura drammaturgia, dice Livia Pomodoro, proponendo una sintesi della sua attuale doppia vita: magistrato di giorno, organizzatrice teatrale, e talvolta attrice, di sera. Ma trovando così anche un modo elegante per sfilarsi dalla vicenda che ha scosso il prestigio della procura più famosa d’Italia con il conflitto tra il suo capo, Edmondo Bruti Liberati, e il sostituto procuratore Alfredo Robledo. Lei, che del Tribunale di Milano è presidente, non vuole dare giudizi su quel pubblico dramma: «Tra pochi mesi sarò in pensione, guarderò le cose da lontano e ne parlerò», promette più a se stessa che a chi le fa domande.
Va bene, allora parliamo di teatro, di questa passione travolgente che l’ha invasa da quando, nel 2008, la sua gemella Teresa, attrice e autrice teatrale, è morta, lasciandole il suo piccolo teatro milanese, il Na’hma, parola greca che allude all’unione tra ragione e sentimento. Da quel momento Pomodoro si sdoppia, resta giurista e si immerge nell’ambiente dello spettacolo, rilancia il teatro con l’aiuto di amici intellettuali, si prepara a una stagione speciale in occasione dell’Expo 2015.
Presidente, dica la verità, ha scoperto che il palcoscenico è il suo luogo naturale.
«Non esageriamo, non sono un’attrice né voglio diventarlo. Però...»
Però?
«Ormai sto a mio agio sulla scena. Un mese fa, al teatro Argentina di Roma, in una serata dedicata all’Europa, ho recitato alla presenza del presidente della Repubblica. Prima e dopo di me sono saliti sul palco Giorgio Albertazzi, Valentina Cortese, Maddalena Crippa, attori veri e grandi».
Che cosa ha recitato?
«L’incontro immaginario fra Melina Mercouri e Angela Merkel. Si conclude con queste parole: “Però, signora Merkel, quando redarguisce, giustamente, i greci, quando pretende che rispettino gli impegni, quando ci chiede soldi... per cortesia si alzi in piedi”. L’ha scritto Alberto Meomartini».
Meomartini? Il manager milanese attuale vicepresidente della Camera di commercio?
«Proprio lui. È un autore eccellente. Di suo avevo già recitato un bellissimo testo sul fordismo. Per il mio teatro ho chiamato a raccolta il mondo intellettuale milanese. Viviamo di finanziamenti pubblici e privati, con serate sempre gratuite che fanno il tutto esaurito».
Certo è curioso vederla calcare la scena, lei sempre in prima linea sui vari fronti della giustizia.
«Non si meravigli, mia cara. Nel processo penale c’è la vita, c’è la patologia e lo sforzo di giudicare quella patologia. Nel teatro ci sono le storie più terribili e lo sforzo del riscatto. In entrambi è necessaria molta introspezione, anche se nel processo c’è il feroce dolore del giudizio. Giudicare altri uomini è il compito più ingrato che possa capitare».
Allora perché l’ha scelto?
«Vuole sapere la verità? Io non ho scelto di fare il giudice: sono stata scelta. Volevo fare l’ambasciatore e forse anche il veterinario, tanto è vero che quando ero già alla Corte d’Appello mi sono iscritta all’università e ho anche fatto quattro esami, ma poi ho capito che non avrei avuto il tempo per le esercitazioni cliniche».
Sta dicendo che la sua è stata una carriera controvoglia?
«No, l’ho poi fatta con passione. Ma, appena laureata, come si fa al Sud, ho partecipato contemporaneamente a tre concorsi e li ho vinti tutti e tre. Avrei potuto essere un avvocato, un insegnante di diritto o un magistrato. Forse ho optato per la magistratura perché avevo antenati notai, uno zio in Cassazione... chissà».
Aveva però anche due cugini che sarebbero diventati artisti importanti.
«Già, Arnaldo e Giò Pomodoro, due grandi scultori. Ma nella mia famiglia la vena artistica era stata tutta assorbita da mia sorella Teresa».
Si stenta a credere che foste tanto diverse. Che ne è della simbiosi tra gemelli?
«Mah, forse la simbiosi l’ho avuta solo io. Teresa mi ha sempre stimolato a pensare che eravamo due persone diverse. Quello che ci univa, più del Dna, era l’educazione all’arte e alla bellezza respirate in famiglia. Poi abbiamo avuto destini diversi, ma entrambe con successo nei nostri campi».
Lei ha sempre descritto sua sorella come carismatica e bellissima. Le ha mai invidiato questa bellezza?
«Non sono capace di invidia. E, del resto, anch’io non ero malino».
Oggi si sente anche lei un’artista?
«Non ci sono paragoni. Teresa era una straordinaria attrice e un’autrice profonda. Io sento fortissimo l’amore per questo teatro, che è davvero speciale, perché è aperto al mondo e include gli ultimi, ma non sarò mai come lei. Semmai cercherò di espandere di più il nostro messaggio, renderlo internazionale. La prossima Expo sarà una grande occasione anche perché sarò già in pensione e avrò tutto il mio tempo».
Già, la pensione. Deve essere dura dopo cinquant’anni e tanto potere. Come si sta preparando?
«Pensando che ogni cosa deve avere una fine. Forse l’unico ufficio dal quale è stato faticoso distaccarmi è stato quello del Tribunale per i minorenni. Mi sono occupata di bambini e ragazzi per 14 anni. Mi chiamano ancora “la mamma d’Italia”».
Sente la mancanza di un figlio suo?
«Le rispondo con un titolo che mi fu dedicato anni fa, “Sono tutti miei figli”. Li ho difesi stando lontana da una qualsiasi simulazione di maternage, sono miei figli in quanto rappresentano l’umanità».
A scadenze fisse, lei è stata considerata candidata a ogni tipo di carica, ministro della Giustizia, sindaco di Milano, addirittura presidente della Repubblica. Mai niente è andato in porto. Ne è delusa?
«Ho sempre risposto che sono un servitore dello Stato. Ma, per come stanno le cose oggi, direi che è un bene starne fuori. Io sono troppo anomala per il potere costituito».
Fra pochi mesi avrà 75 anni. Ha paura della vecchiaia?
«No, e neanche della morte. Sono stata una combattente in tempi molto pericolosi, ho rischiato parecchio senza preoccuparmene. Ciò che mi fa veramente paura è la malattia, perché non è governabile con la ragione. Comunque il punto è trovare ogni giorno un motivo di più per vivere e vivere bene».
Non è poco. Lei ha una ricetta?
«Più che altro un’aspirazione legata all’arte e alla cultura. Mia sorella diceva che se il mondo fosse governato dalla bellezza, dall’eleganza e dalla raffinatezza non ci sarebbero più delitti, perché il delitto non è elegante».
Un po’ snob come definizione.
«Ma, scusi, uno stupro non ha in sé qualcosa di sporco, di laido, di non elegante? Comunque è un modo per ironizzare sulla società. Niente di quello che io dico è assoluto, cara signora, e vorrei che lei lo mettesse in evidenza.
Mi sta dicendo che non dobbiamo credere a quanto ci ha detto finora?
«No, ma sto suggerendo che di tutto quello che ho detto potrei sostenere nello stesso modo e con la stessa credibilità esattamente il contrario. Perché nessuno possiede la verità. Neanche io, naturalmente».
Stefania Rossini