ItaliaOggi, 14 agosto 2014, 15 agosto 2014
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Federica Guidi in mezzo ai bersaniani del Ministero dello Sviluppo Economico
ItaliaOggi, 14 agosto 2014
Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico, ha una caratteristica positiva. In un governo di ministre che si fanno ritrarre in ogni possibile posa da Vanity Fair o da Chi, che raccontano di folgorazioni a Medjugorje del tutto inutili per il ruolo che ricoprono, che hanno sempre l’irresistibile tentazione di rilasciare interviste su tutto e per non dire quasi mai nulla di rilevante come la responsabile della Farnesina, la Guidi non parla e lavora. Certo, le è capitato in sorte il ministero meno facile dell’esecutivo Renzi, quello dove i bersaniani sono annidati da anni nei gangli chiave dell’amministrazione. Il vecchio segretario del Pd aveva una passione maniacale per il ministero nel quale per ben due volte è stato responsabile, tanto che perfino durante il governo Monti ha fatto valere tutto il suo peso per aiutare i suoi storici collaboratori. Poi con Zanonato se lo è ripreso. Inevitabile che oggi i bersaniani non si facciano in quattro per aiutare l’esecutivo guidato proprio da quel Matteo Renzi che è, agli occhi di Bersani, un usurpatore.
Nel mezzo di questa silenziosa contesa, una vera guerra fredda dentro il Pd, c’è finita, suo malgrado e senza avere alcuna colpa, la Guidi. La signora emiliana non pare comunque intimorita della situazione e, giustamente, tira dritto per la sua strada. Del resto non ha tempo da perdere. Ha la responsabilità della gestione di uno dei dicasteri ircocervo meno facili della Repubblica che per sua missione deve avere al centro della sua attività lo sviluppo economico. In un paese con il pil incatenato allo 0% all’anno, quando va tutto per il verso giusto, occuparsi di crescita è mestiere tutt’altro che agevole. La Guidi, comunque, raccoglie giudizi migliori di quelli che hanno accompagnato il suo predecessore, Corrado Passera, e di gran lunga più positivi di quelli assegnati all’ex comunista e bersaniano doc, Flavio Zanonato. Senza ricercare il palcoscenico e la vetrina, come è normale per un ministro serio in tutti i paesi dell’Eurozona e del G8, la Guidi lavora ai dossier e prova a imporre un sano senso del perseguimento del risultato e la necessità di considerare il tempo come una variabile chiave di ogni processo economico nel modo di lavorare del Mise. Lavorare sulla cultura della burocrazia per stanarla dalla scusa che ha sempre pronta per rinviare ogni decisione: serve un parere; occorre una concertazione; è necessario fare un comitato. Il ciclo economico non l’aiuta e non aiuta l’Italia. Una ragione in più per «frustare» la burocrazia, Renzi direbbe per violentarla, e farla marciare a piena velocità. Con Berlusconi già, di fatto, con un piede dentro all’esecutivo sottovalutare la Guidi non è consigliato. Se riuscisse rapidamente a incassare qualche risultato il cerchio magico diventerebbe meno gigliato.
Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico, ha una caratteristica positiva. In un governo di ministre che si fanno ritrarre in ogni possibile posa da Vanity Fair o da Chi, che raccontano di folgorazioni a Medjugorje del tutto inutili per il ruolo che ricoprono, che hanno sempre l’irresistibile tentazione di rilasciare interviste su tutto e per non dire quasi mai nulla di rilevante come la responsabile della Farnesina, la Guidi non parla e lavora. Certo, le è capitato in sorte il ministero meno facile dell’esecutivo Renzi, quello dove i bersaniani sono annidati da anni nei gangli chiave dell’amministrazione. Il vecchio segretario del Pd aveva una passione maniacale per il ministero nel quale per ben due volte è stato responsabile, tanto che perfino durante il governo Monti ha fatto valere tutto il suo peso per aiutare i suoi storici collaboratori. Poi con Zanonato se lo è ripreso. Inevitabile che oggi i bersaniani non si facciano in quattro per aiutare l’esecutivo guidato proprio da quel Matteo Renzi che è, agli occhi di Bersani, un usurpatore.
Nel mezzo di questa silenziosa contesa, una vera guerra fredda dentro il Pd, c’è finita, suo malgrado e senza avere alcuna colpa, la Guidi. La signora emiliana non pare comunque intimorita della situazione e, giustamente, tira dritto per la sua strada. Del resto non ha tempo da perdere. Ha la responsabilità della gestione di uno dei dicasteri ircocervo meno facili della Repubblica che per sua missione deve avere al centro della sua attività lo sviluppo economico. In un paese con il pil incatenato allo 0% all’anno, quando va tutto per il verso giusto, occuparsi di crescita è mestiere tutt’altro che agevole. La Guidi, comunque, raccoglie giudizi migliori di quelli che hanno accompagnato il suo predecessore, Corrado Passera, e di gran lunga più positivi di quelli assegnati all’ex comunista e bersaniano doc, Flavio Zanonato. Senza ricercare il palcoscenico e la vetrina, come è normale per un ministro serio in tutti i paesi dell’Eurozona e del G8, la Guidi lavora ai dossier e prova a imporre un sano senso del perseguimento del risultato e la necessità di considerare il tempo come una variabile chiave di ogni processo economico nel modo di lavorare del Mise. Lavorare sulla cultura della burocrazia per stanarla dalla scusa che ha sempre pronta per rinviare ogni decisione: serve un parere; occorre una concertazione; è necessario fare un comitato. Il ciclo economico non l’aiuta e non aiuta l’Italia. Una ragione in più per «frustare» la burocrazia, Renzi direbbe per violentarla, e farla marciare a piena velocità. Con Berlusconi già, di fatto, con un piede dentro all’esecutivo sottovalutare la Guidi non è consigliato. Se riuscisse rapidamente a incassare qualche risultato il cerchio magico diventerebbe meno gigliato.
Edoatdo Narduzzi