Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 12 Martedì calendario

Biografia di Walter Matthau

• (Walter Matuschanskayasky) New York 1 ottobre 1920 – Santa Monica 1 luglio 2000. Attore.
• «La sua notorietà è legata a ruoli brillanti, cui sembrò destinato per il suo volto spesso serio e imbronciato che sapeva aprirsi in un ghigno beffardo e per la sua particolare andatura dinoccolata. Fu Billy Wilder a comprendere il potenziale comico dell'attore e a sceglierlo per The fortune cookie (Non per soldi… ma per denaro, 1966); per questa interpretazione, che lo vide al fianco di Jack Lemmon, con cui formò una delle coppie più divertenti del cinema hollywoodiano, vinse l'Oscar nel 1967 come miglior attore non protagonista» [Enciclopedia del Cinema, 2004].
• Figlio di immigrati russi, passò un’infanzia disagiata nei quartieri poveri di New York e cominciò a recitare giovanissimo in piccole parti nelle commedie musicali del teatro yiddish. Dopo aver servito nell’aviazione degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale (da cui tornò pluridecorato), nel 1948 esordì a Broadway e, dopo molti lavori televisivi, fece la sua apparizione al cinema con The Kentuckian (Il kentuckiano, 1955) di Burt Lancaster. Dai primi ruoli chiaroscurali e solo apparentemente secondari, come quelli interpretati in A face in the crowd (Un volto nella folla, 1957) di Elia Kazan, accanto a Cary Grant e Audrey Hepburn in Charade (Sciarada, 1963) di Stanley Donen, al fianco di Henry Fonda in Fail safe (A prova di errore, 1964) di Sidney Lumet, e di Tony Curtis nella commedia fantastica Goodbye Charlie (Ciao Charlie, 1964) di Vincente Minnelli, passò a ruoli da protagonista.
• «È stato campione nel lancio mondiale delle battute, prese al volo e rilanciate, nel corso del tempo cinematografico, non solo dal “fratello” in arte Jack Lemmon, che fu suo partner e complice otto volte, ma anche da altre stranissime coppie. Cantando con la Streisand in Hello, Dolly, amoreggiando con la Bergman in Fiore di cactus, litigando con Glenda Jackson in Visite a domicilio e Due sotto il divano, vittimizzando Elaine May in È ricca, la sposo e l’ammazzo e rivaleggiando in stile arteriosclerotico con George Burns, l’altro Ragazzo irresistibile dello straordinario duetto dei superstiti del vaudeville. E naturalmente un inchino per la sintonia perfetta nel Piccolo diavolo col nostro Benigni e Walter come l’esorcista americano. Non a caso. Matthau era anche lui un bislacco, una figura geometrica inventata, un tipo da cui potersi attendere di tutto e di più, un malandrino autorizzato dalla multinazionale società adorante il Dio Dollaro. È stato un self made actor, col cartellino di aviatore timbrato in guerra, e poi la lista dei mille mestieri dei poveri cristi. Tra cui gli si addiceva quello di istruttore di boxe, giacché si può dire che ogni sua interpretazione sia stato un match contro il partner (…) È Neil Simon, il più spiritoso cittadino di Broadway a scrivere per lui, che la recita magistralmente prima in teatro e poi al cinema, quel gioiello di pochade sull’amicizia virile che è La strana coppia, dove Walter boxa con l’ordinata “mogliettina” Jack Lemmon, di cinque anni più giovane. I conti tornano, ci sono le affinità elettive anche della risata: infatti è stato un altro genio, Billy Wilder, che Matthau prendeva inesorabilmente in giro per la pronuncia da yankee teutonico, ad unirlo in cine-matrimonio con Lemmon con il cinico Non per soldi ma per denaro, nel ’66, per cui vinse il suo unico Oscar da non protagonista, l’avvocato impiccione esempio dell’ossimoro dell’“etica della disonestà” piccolo borghese uguale ovunque. Quella con Lemmon è stata da subito una coppia vincente, come Stanlio e Ollio. Sono stati un cartoon, un duetto comico da commedia dell’arte, due maschere dai caratteri complementari e contrapposti: Jack il tapino, l’umiliato, nevrotico prigioniero della seconda strada, e Walter il vincente che fa la voce grossa e nasconde voglia di tenerezze. Così nel capolavoro sul giornalismo, Prima pagina, in terza edizione, dove Lemmon è il redattore e Matthau il direttore che lo frega sempre (anche qui con la scusa dell’etica). E poi in Buddy Buddy, unico titolo sfortunato e mai perdonato a Wilder, nel dittico della terza età composto da Due irresistibili brontoloni e That’s amore in cui i due si contendono, tra ripicche con plusvalore di catarro e colpi della strega, la verace e laccata vedova napoletana Sofia Loren. Poi fanno gli entertainer da crociera in Gli impenitenti, infine si occupano dei figli che si sposano nella deludente Strana coppia II. Ormai hanno l’occhio languido, umido, disperato dei vecchi attori che se si guardano a lungo si mettono o a ridere o a piangere. Nel ’71, per amicizia, Matthau aveva anche recitato, invecchiandosi da nonno, con la regia di Lemmon in un film non riuscito, Vedovo, aitante, bisognoso affetto..., ma che gli aveva dato la seconda delle sue tre nominations; così come aveva accettato per generosità una parte diretto da Gene Kelly in Una guida per l’uomo sposato» [Maurizio Porro, Cds 2/7/2000].
• «Si faceva chiamare “Il Cary Grant ucraino”, in onore del poverissimo padre – il rottamaio russo Matuschanskayasky – che in una delle tante interviste fuorvianti Matthau descrisse come “prete ortodosso della Russia zarista cacciato perché predicava l’infallibilità del Papa”. Oltre a finire in alcune enciclopedie, la bufala ha ingannato persino il sito ebraico jewhoo, che il giorno della morte la ripeteva testualmente. “Con lui bisognava fare attenzione a separare fatti e finzione – spiega il critico Robert Kitman –, apparteneva alla grande tradizione di comici ebrei che sanno ridere di tutto, sé stessi inclusi e soprattutto nei momenti di tragedia”» [Alessandra Farzas, Cds 2/7/2000].