11 agosto 2014
Tags : 01. Vita e opere di Jack Lemmon • Jack Lemmon
Biografia di Jack Lemmon
• Boston (Stati Uniti) 8 febbraio 1925 – Los Angeles (Stati Uniti) 28 giugno 2001. Attore.
• «Per cinquant’anni e altrettanti film il volto dell’uomo qualunque e decente di Hollywood in cui tutti possono riconoscersi (...) Nel 1955 conquistò il suo primo Oscar, con Mr. Roberts. Da allora si è imposto in ruoli drammatici, ma diventando popolare soprattutto grazie alla collaborazione con Billy Wilder e con Walter Matthau, strana coppia in più di dieci film e, nella vita reale, migliori amici. (...) Si sposò due volte ed ebbe due figli. La prima volta nel 1950 fu con l’attrice Cynthia Stone che nel 1954 gli diede un figlio, Chris. Due anni dopo, però, i due divorziarono. Il secondo matrimonio avvenne sei anni dopo, nel 1962. Anche questa volta con un’attrice: Felicia Farr. Da questa unione ebbe una figlia, Courtney, nata nel 1966 (...) Era nato in un ascensore, i suoi genitori erano proprietari di una fabbrica di dolci. Nel cinema esordisce come spalla di Judy Holliday, ma già nel 1955 viene consacrato fra le star, conquistando il premio Oscar per l’interpretazione del guardiamarina Ensign Pulver ne La nave matta di Mister Roberts, film di guerra firmato da John Ford. Da allora Hollywood tende a riservargli ruoli da commedia brillante, interpretazioni alle quali sa sempre aggiungere sottili e personalissime sfumature: tic comici, espressioni buffe, atteggiamenti estremi che ne fanno un personaggio unico. Il primo regista che lo impone come “commediante” è Richard Quine con Off Limits, 1957 e Una strega in paradiso, 1958. Le sue prove acquistano a poco a poco spessore e, con L’appartamento di Billy Wilder, del 1960, la sua recitazione si sposta su un piano semi-drammatico, confermandone la versatilità. Connubio formidabile quello con il regista Wilder che diventa una delle tre persone più rilevanti per la sua vita professionale insieme a Walter Matthau e a Blake Edwards. (...) Per Wilder recita anche in Irma la dolce, nel 1963, ancora una volta a fianco di Shirley MacLaine dando una prova di comicità quasi pirotecnica. La sua caratteristica era proprio la destrezza nei cambi di registro: era capace di passare da un momento di forte ironia a una scena struggente utilizzando solo lievi espressioni del viso e incisivi gesti del corpo. Per questo la sua grandezza emergeva con dirompenza anche quando interpretava ruoli al fianco di altri grandi come in Sindrome Cinese, del 1979 e in A qualcuno piace caldo, con Marilyn Monroe e Tony Curtis. Di questo film resta famosa nella storia del cinema la battuta finale che il miliardario Osgood rivolge a Jack, calato negli abiti femminili di Daphnee, intento a spiegare al corteggiatore di non poterlo sposare essendo anche lui un uomo: “Nessuno è perfetto”, è la sconcertante risposta. Correva l’anno 1959 e la vicenda raccontata nel film acquista anche una valenza socio-culturale importante: nell’America puritana i travestiti avevano qualche problema in più rispetto ad oggi. La commedia venne definita “perfetta” e, da oltre 40 anni, risulta perennemente in testa al gradimento della critica in ogni sondaggio. Lemmon recita quindi al fianco di grandi e grandissimi attori, ma il sodalizio personale e professionale più forte è senza dubbio quello con Walter Matthau, l’altra figura determinante nella sua non lunga esistenza. Con lui interpreta più di dieci film: “Ho lavorato per la prima volta con Walter in una commedia di Wilder – raccontò un giorno l’attore – Billy gli spiegava come fare una scena e lui alla fine gli disse: ‘Certo che parli proprio buffo. Cos’è, sei della periferia?’. Poi si gira verso di me e chiede: ‘Lo sai come si fa la circoncisione giapponese?’ ‘No’, rispondo. Allora lui mi salta addosso col braccio teso urlando come un ossesso. Ecco, la nostra amicizia è nata così. Walter è matto, viene dalla Luna”. Il secondo Oscar lo vince nel 1973, con Salvate la Tigre di J.G. Avildsen in cui veste i panni di una persona onesta che, trovatasi in difficoltà, non esita a ricorrere a soluzioni poco pulite. Da allora, una serie di successi sul grande schermo: da Airport 77, del 1977 a Missing del 1982, a Maccheroni, del 1985, al fianco di Marcello Mastroianni per la regia del nostro Ettore Scola: una commovente storia ambientata a Napoli dove il pragmatico dirigente americano interpretato da Lemmon ritrovava l’amico italiano Antonio Jasiello, conosciuto in guerra. Franco Committeri, produttore di quello e di tutti i film di Scola, ricorda con grande affetto l’attore scomparso e cita qualche aneddoto relativo alle riprese di quel film: “Lemmon era un professionista, nulla a che vedere con i nostri attori di quella generazione. Puntuale, preciso, rigoroso, attento. Ma umilissimo, come persona. Per sottoscrivere il contratto di Maccheroni gli bastò leggere la sceneggiatura che Scola gli portò a Los Angeles. Firmò subito, senza farci passare attraverso agenti e cose varie. Venne a Napoli assieme alla moglie. Un giorno lo portammo a Capri sperando di poter pranzare con lui all’Hotel Quisisana e fare un figurone. Facemmo la traversata in traghetto come se fosse un turista qualunque. E arrivati là il Quisisana era chiuso, così ci toccò andare a mangiare in un ristorantino sconosciuto. Ebbene, lui fu entusiasta di quella giornata”. Lemmon si innamora dell’Italia, e Wilder pure. Cadono entrambi preda della magia di questo Paese nel 1972 quando sbarcano per la prima volta al largo delle coste campane, a Ischia, per girarvi Cosa è successo fra tuo padre e mia madre?. Mastroianni non è quindi l’unico attore italiano con il quale lavora: nell’elenco figurano Franco Acampora, Gianfranco Barra e Pippo Franco con lui nel film girato a Ischia, Sophia Loren che lo affianca in That’s Amore, Daria Nicolodi e Virna Lisi, protagonista assieme a lui di Come uccidere vostra moglie del 1964. “Una persona gradevolissima – ha dichiarato l’attrice ieri a Torino sul set di una fiction Rai –. Nei miei ricordi di attrice c’è un personaggio detestabile di cui non faccio il nome e uno meraviglioso che si chiama Jack Lemmon”. Il terzo personaggio fondamentale nella carriera di Jack Lemmon è Blake Edwards che lo dirige ne La grande corsa (1965) e ne I giorni del vino e delle rose (1963) in cui l’attore incarna il fallimento del sogno americano, essendo un alcolista (parte che recita con passione, avendo personalmente vissuto in più occasioni problemi di dipendenza dall’alcol), protagonista di un melodramma. La svolta tragica dei suoi ruoli prosegue e Lemmon ne è orgoglioso: “Fino a un certo punto della mia vita i miei film erano commedia. Ma un giorno ho passato la frontiera tra comico e serio e questa non è una cosa facile a Hollywood” aveva detto. Nel 1995 il Festival di Berlino gli conferisce un Orso d’Oro alla carriera. Il 23 gennaio 2000 si aggiudica il Golden Globe come miglior attore di film tv, per Inherit the Wind. Nel marzo dello stesso anno vince la sesta edizione dell’Annual Screen Actors Guild Awards. “Solo un camion o un critico riusciranno a fermarmi”: era una delle battute che più ripeteva nelle interviste» [Lorenzo Soria, Sta 29/6/2001].
• «“Felicità è lavorare con Jack Lemmon”, diceva Billy Wilder. Jack Lemmon è stato uno dei pochi a sconfiggere il cliché di Hollywood che confina gli attori brillanti al cinema comico e disdegna il passaggio al drammatico. “Regala l’impressione di mettere un pezzetto di se stesso in ogni suo personaggio, una di quelle poche persone che vale la pena di conoscere”, come diceva Mastroianni, coprotagonista di Maccheroni. (...) È anche uno degli ultimi simboli della cultura democratica e liberal, il sorriso onesto del cittadino perbene, attento alla realtà e non solo del suo paese, capace di gesti di coraggio, come quando nell’86 si mostrò accanto a Fidel Castro al festival di Cuba, quando Cuba e Castro non erano di moda negli Usa. “Un attore non smette di essere una persona. E se la persona è coinvolta politicamente, l’attore ne deve tenere conto. A me è capitato di fare personaggi di cui non condividevo le idee, ma erano sfide professionali che non potevo rifiutare” diceva. Non a caso, tra i suoi film preferiti citava sempre La sindrome cinese che sensibilizzava la gente sui possibili disastri ambientali e Missing “che mi ha aperto gli occhi sul ruolo dell’America nella caduta di Allende”. Anche se, aggiungeva, “un attore deve cercare una storia con un punto di vista, ma deve comunque fare cinema e non comizi. Anche il cinema come spettacolo puro. Se mi capitasse un altro A qualcuno piace caldo accetterei senza esitare”. La forza delle idee e l’autorevolezza del linguaggio contrastava con l’immagine affermata sullo schermo, su cui era spesso il piccolo uomo schiacciato nella realtà metropolitana, ma Jack Lemmon era abituato a stupire. Fin dagli inizi, quando il produttore Harry Cohn, che lo notò a Broadway nel ’53 e lo fece debuttare nel cinema, venne a sapere che quel ragazzo allampanato aveva alle spalle una famiglia molto agiata (il padre, bostoniano, aveva un’industria alimentare specializzata in ciambelle dolci) e una laurea ad Harvard in Scienze militari. La laurea era stata solo per obbedienza alla famiglia, alla quale rimase legato, anche se scherzava sulla distrazione di sua madre “che aveva dimenticato di essere incinta, stava giocando a bridge quando ebbe le doglie: mi ha fatto nascere in un ascensore”. E nel suo modo di camminare sempre un po’ impacciato e curvo c’era il segno dell’infanzia malaticcia: a 13 anni aveva subito una decina di operazioni alla schiena. Poi passò ore in palestra ad allenarsi, diventando un abile maratoneta, anche se, più che per lo sport, le sue prime passioni furono per la musica e il teatro, che tralasciò a 18 anni per arruolarsi in marina. Quando decise di entrare nel mondo dello spettacolo, suo padre non si oppose, lo lasciò partire da Boston con una benedizione e 300 dollari in contanti. Lemmon arrivò a New York alla fine degli anni Quaranta, il tempo dei “radio days”. “Erano i giorni meravigliosi delle soap opera, in cui sbagliavo tutti i provini e prendevo due dollari e mezzo a puntata. Poi venne la tv, c’era l’entusiasmo di inventare un nuovo mezzo con giovani come Lumet e Penn, scrittori come Paddy Chayevsky. Dal ’49 al ’53 ho fatto oltre 500 show in diretta e una serie quotidiana durate sette mesi e mezzo”, raccontava con nostalgia. La violenza e gli effetti speciali erano le cose che più detestava nel cinema di oggi: “Con quello che spendono a Hollywood per il sangue finto io potrei fare un film intero”. (...) A un certo punto, in polemica con le scelte di Hollywood, si fece produttore di Nick mano fredda, con Paul Newman, e regista di Vedovo, aitante, bisognoso affetto offresi... con l’amico di sempre, Walter Matthau» [Maria Pia Fusco, Rep 29/6/2001].