6 agosto 2014
Tags : Mario Vaudano
Biografia di Mario Vaudano
• Torino 15 novembre 1945. Magistrato. In pensione dal 2011, è membro (gratuitamente), del Consiglio di Amministrazione dell’ Ogc (Observatoire géopolitique des criminalités, con sede a Parigi), di Medel (Magistrati europei per la Libertà e Democrazia), e dell’I.r.p.i. (associazione di giornalisti d’investigazione europea).
• Vive in Francia. Sposato, in seconde nozze con Anne Grenier, magistrato francese. Tre figli: Alberto (42 anni), avvocato internazionale, Giorgio (40 anni), coltivatore diretto biologico, Elena (13 anni), adottata in Russia. È iscritto da sempre a Magistratura Democratica.
• Entrato in magistratura nel 1971 ha svolto le funzioni giudicanti a Torino fino al 1989, quando ha assunto l’incarico di Procuratore della Repubblica della Pretura di Aosta. Magistrato fuori ruolo dal 1994 al 1995 (come Direttore Ufficio Estradizioni ed Assistenza Giudiziaria penale internazionale presso il Ministero della Giustizia), è stato assegnato all’Ufficio Studi del CSM dal 95 al 97. Ultimi due incarichi come magistrato in Italia: Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Torino (1997-2001), consigliere della Corte Cassazione (2001-2002). Nel 2002 inizia la sua collaborazione con l’OLAF (Ufficio Antifrode ed anticorruzione della Commissione Europea), prima come “amministratore principale”, poi come esperto giuridico presso la direzione Operazioni ed investigazioni, infine come consigliere giuridico presso l’Unità C1 (ex Unità Magistrati).
• Scandalo dei petroli Impegnato, dal 75, come giudice istruttore specializzato in diritto penale del lavoro, partendo dall’infortunio di un lavoratore in un deposito di petroli del torinese, scopre frodi fiscali ed episodi di corruzione che danno inizio a Torino al c.d. “Scandalo dei petroli”. L’inchiesta coinvolgerà diverse sedi giudiziarie del Nord Italia e ha ad oggetto il contrabbando del petrolio, compiuto frodando il fisco per evadere l’imposta di fabbricazione sui suoi derivati. All’esito dell’inchiesta viene calcolato che, dal 1973 al 1979, in tutta Italia l’imposta è stata evasa sul 20 per cento dei derivati del petrolio, per una evasione totale stimata prudentemente nell’ordine di duemila miliardi di lire (somma pagata dai consumatori, ma sottratta alla casse dello Stato). Lo scandalo scoppia perché si scopre che si tratta di un fenomeno elevato a sistema, e che, per assicurare l’impunità, è stata garantita la copertura da parte di apparati istituzionali a livello capillare: politici e loro segretari particolari, generali e colonnelli della Guardia di Finanza, funzionari del Ministero della Finanza, e perfino prelati di alto rango. A Torino Vaudano istruisce i processi c.d. “Giudice 1” e “Giudice 2”, per un totale di circa mille imputati rinviati a giudizio tra l’82 e l’85. I processi prendono il nome di uno degli imputati, Raffaele Giudice, Comandante Generale della Guardia di Finanza. Tra gli imputati anche Donato Lo Prete (capo di Stato Maggiore della Finanza, appena un grado sotto Giudice). Di entrambi viene provata l’iscrizione alla Loggia Propaganda Due di Licio Gelli. Nella ricostruzione dei giudici istruttori torinesi (oltre a Mario Vaudano anche Piergiorgio Gosso), Giulio Andreotti – in un primo momento sentito come teste – e Mario Tanassi, rispettivamente Ministro della Difesa e Ministro delle Finanze al tempo della nomina di Raffaele Giudice quale Comandante generale della Guardia di Finanza, hanno scelto lui (anziché il generale Giovanni Bonzani, munito di maggiori titoli), in cambio del versamento di centinaia di milioni ai loro partiti (Dc e Psi, ma anche a Pli e Psd). Finanziatori delle tangenti, i petrolieri, che con Giudice vogliono garantirsi la copertura di vertice al contrabbando petrolifero. A rivestire il ruolo di primo piano nella regia che porta alla nomina di Giudice, Donato Lo Prete, che Tina Anselmi, presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia Massonica P2, definisce, in un appunto privato, «il vero padrone della Guardia di Finanza». I due magistrati trasmettono gli atti alla Commissione Inquirente del Parlamento, che nell’84 boccia la messa in stato d’accusa. Tuttavia la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, riconoscerà il ruolo della Loggia nella nomina di Raffaele Giudice: «Gelli si interessa alla nomina di Giudice, che figura tra gli iscritti alla loggia, unitamente a Palmiotti, iscritto anch’egli alla Loggia P2 e segretario dell’onorevole Mario Tanassi, all’epoca ministro delle Finanze, titolare della competenza per la sua nomina». Vaudano, come altri magistrati, ha subito a causa dell’inchiesta, numerosi tentativi di delegittimazione. «Dovetti affrontare decine di ricusazioni, sette denunce penali ed un procedimento disciplinare, tutti conclusisi con pieno riconoscimento della mia correttezza totale. In particolare ricordo il procedimento disciplinare del 1983 (instaurato dal Ministro della Giustizia Mino Martinazzoli su richiesta del Presidente del Parlamento Nilde Iotti, a seguito della protesta di due parlamentari indiziati di reato e per cui era stata disposta l’apertura di cassette di sicurezza bancarie). Fu in questo stesso periodo che mi trovai a scoprire l’esistenza di una loggia P2 molto significativa a Torino e l’appartenenza ad essa di periti del tribunale oltre che di altissimi ufficiali della finanza. Su tutto ciò fui ascoltato nel 1984 anche dalla Commissione Parlamentare di inchiesta della P2, presieduta da Tina Anselmi».
• Psi Nel 1987 è ancora giudice istruttore a Torino, quando collabora con Ilda Boccassini in un’inchiesta finanziaria in Svizzera sul riciclaggio: «Scoprii una lettera autografa di Craxi, inviata ad Andrée Ruth Shammah (regista teatrale, n.d.r.), figlia del noto finanziere milanese rifugiato in Svizzera, Albert, legatissima al PSI. In questa lettera chiedeva di liberare lo Shammah, perché perseguitato dai giudici istruttori di Torino e Milano. Era un affidavit da consegnare all’avvocato svizzero perché l’allegasse alla domanda di liberare il padre e negare l’estradizione. La cosa produsse effetto data la firma di Craxi. Un anno dopo, di fronte alle mie insistenze per capire l’atteggiamento dell’ufficio estradizioni svizzero, alla fine mi consegnarono copia della lettera aggiungendo la frase “per giustificare i ritardi ed esitazioni nell’assistenza giudiziaria”. Denunciai la cosa alle procure generali di Torino e Milano (dove c’era Bianchi d’Espinosa, legatissimo al PSI), e l’unico risultato fu un’inchiesta paradisclipinare su di me e Ilda... per fuga di notizie! Ho ancora copia della lettera» (Alberto Shammah, nel 1991, fu prosciolto).
• A capo della Procura presso la Pretura di Aosta, raggiunge la prova delle solide infiltrazioni della mafia calabrese in Valle. «Nello stesso periodo si accertarono fenomeni corruttivi diffusi, che portarono alla condanna di due Presidenti regionali, del Questore, del Comandante dei Vigili Urbani, fino alla denuncia avanti alla magistratura competente di Milano del Procuratore della Repubblica del Tribunale che aveva omesso di perseguire i fatti a lui noti».
• Estradizioni In un solo anno, il 1994, lascia il segno anche all’Ufficio estradizioni. «Grazie alla mia passata esperienza e la fiducia accordatami dalle autorità straniere ed in specie svizzere, in pochi mesi riuscimmo in collaborazione con le Procure di Milano, Palermo e Roma, a far arrivare documenti bancari e giudiziari essenziali che determinarono poi la condanna di persone di alto livello, tra cui il Ministro della difesa Cesare Previti ed alcuni intermediari finanziari tra cui l’avvocato Giovanni Acampora, che già era stato implicato ed arrestato nel corso del processo dei petroli e successivamente era diventato avvocato d’affari per il gruppo Fininvest. Ugualmente importante fu l’accettazione della estradizione dall’Argentina in collaborazione con la Procura Militare di Roma del criminale di guerra Erich Priebke, nonostante feroci opposizioni e importanti problematiche giuridiche.
Nel giungo 94 mi fu richiesto dal nuovo Ministro della Giustizia Alfredo Biondi di rassegnare le dimissioni, perché “non allineato”. Rifiutai, chiedendo per iscritto che mi fossero indicate le mie eventuali mancanze come Direttore dell’Ufficio estradizioni. Non ci fu risposta e continuai nel mio lavoro. Ma a settembre fui convocato dal Direttore degli affari Penali Vittorio Mele. Mi informò che il Ministro aveva iniziato un procedimento disciplinare contro di me, lui “non sapeva per quale motivo”, ma mi consigliava le dimissioni facendo intendere che in questo modo forse l’azione disciplinare non sarebbe stata coltivata. Dopo poco tempo fui materialmente estromesso dall’ufficio, e messo in un ufficio che si occupava del disciplinare degli uscieri giudiziari, in pratica non mi fu dato nulla da fare. Dopo due o tre mesi il capo di Gabinetto mi convocò e mi disse che “se stavo tranquillo” mi sarebbe stato affidato un altro incarico direttivo, ma non il precedente ufficio a cui era già destinato un magistrato “gradito” e cioè Nitto Palma. Io rifiutati ogni altro incarico e feci il concorso per un posto all’Ufficio Studi del CSM, che vinsi prendendo le funzioni nel giugno 1995. Il procedimento disciplinare si era concluso intanto in un’assoluzione già in fase istruttoria. Dopo un certo tempo si accertò che il procedimento disciplinare era stato “costruito” dal Procuratore Generale di Torino Silvio Pieri su sollecitazione “privata” del Ministro Biondi con cui era in rapporti di amicizia, al solo scopo di rimuovermi dall’Ufficio Estradizioni. Fu lo stesso Pieri ad ammetterlo, nel corso di un’audizione davanti al Csm nel 1996». In realtà, nel 94, subentrava nella direzione dell’Ufficio estradizioni Eugenio Selvaggi, mentre Nitto Palma (vedi), il 6 dicembre 1994 veniva nominato vicecapo di gabinetto del ministero e nel 1995 direttore dell’Ufficio Relazioni Internazionali (con funzioni di coordinamento con il Ministero degli Esteri per l’elaborazione dei testi di accordi internazionali)
• OLAF Nel giugno 2001, con decisione unanime del Csm, assume le funzioni di consigliere giuridico dell’ Ufficio europeo per la Lotta antifrode. «Ma a settembre, il nuovo Ministro della Giustizia Roberto Castelli bloccò la procedura amministrativa per la mia messa fuori ruolo, richiedendo al CSM di revocare la delibera favorevole nei miei confronti. Le motivazioni apparenti erano risibili oltre che illegittime (come fu poi riconosciuto due anni dopo dal Tar e dal Consiglio di Stato), ma vigorosamente sostenute, con accuse anche in sede parlamentare di ogni genere (particolarmente accanito fu l’onorevole Nitto Palma). A questo punto, visto che il Csm aveva nel frattempo confermato la sua delibera, decisi di prendere ugualmente possesso delle funzioni all’Olaf (dandone immediata comunicazione al Csm e al Ministro della Giustizia, oltre che alla tesoreria per l’immediata interruzione della corresponsione del mio stipendio). Successe “l’ira di Dio”: l’ambasciatore italiano all’Ue, Umberto Vattani (poi condannato per peculato) chiese al Direttore Olaf di allontanarmi immediatamente dall’Olaf, con richiesta ufficiale del Presidente del Consiglio italiano (Berlusconi). Una campagna di stampa si scatenò su tutti giornali favorevoli al governo, preannunciando azioni disciplinari che puntualmente si concretizzarono (tra l’altro notificando i capi d’incolpazione al domicilio di mia madre di 86 anni, che subì un forte shock). A questo punto io decisi di non ripresentarmi in servizio in Italia e di lasciarmi decadere, anche per non pregiudicare l’adozione di Elena che era da poco avvenuta, nell’ottobre 2001. Il Csm ne prese atto, e dopo un anno dichiarò estinta ogni azione disciplinare. Rimasi quindi all’Olaf fino al dicembre 2001, occupandomi di investigazioni e assistenza giuridica agli investigatori, particolarmente per le frodi in Italia, Belgio e Francia. Purtroppo, a partire dal 2006, le pressioni di funzionari italiani legati al governo italiano in carica ed ai servizi, e francesi, che avevano assunto la direzione delle investigazioni (approfittando anche della grave malattia del direttore, deceduto poi all’inizio del 2010), iniziò anche qui una guerra continua contro ogni attività che – in collaborazione con magistratura italiana e francese – coinvolgesse i rispettivi governi Berlusconi e Sarkozy.
Mi fu offerto di andare in pensione anticipatamente. Rifiutai e con l’aiuto di un gruppo di investigatori di più paesi che si opponevano a questo tipo di gestione, nel 2010 presentai un lungo esposto al segretario generale della Commissione, molto documentato, sulle attività irregolari della direzione in carica.
Questo permise, contro l’aspettativa di Germania e Francia – che avevano già individuato il loro candidato in uno dei personaggi scorretti che era nel frattempo divenuto direttore delle investigazioni -, una decisione del Parlamento europeo in sede di audizione dei candidati (che partecipavano al posto di direttore generale lasciato vuoto dal direttore nel frattempo deceduto), che bocciò i candidati “interni” e portò poi, con l’accordo di commissione e consiglio, alla nomina del nuovo attuale direttore, Giovanni Kessler. Io decisi tuttavia, nonostante le richieste di Kessler, di andare in pensione a 65 anni, per ragioni familiari e perché non desideravo dare l’impressione di essere “premiato” per le mie azioni di denuncia». Era capitato che sinistra e destra avevano presentato due mozioni opposte. Da una parte Luciano Violante, il 21 gennaio 2002, dall’altra Fabrizio Cicchitto, tre giorni dopo. La mozione Violante (che impegnava il Governo a rilasciare l’autorizzazione a Vaudano), veniva ritirata, la mozione Cicchitto veniva votata e approvata dalla Camera. Cicchitto impegnava, invece, il Governo a negare l’autorizzazione perché
l’Olaf è diretta espressione della Commissione europea e quindi del Governo dell’Unione europea: «Per questo motivo è da ritenersi inopportuno che magistrati italiani, la cui indipendenza è nel nostro sistema garantita a livello costituzionale, possano essere autorizzati a prestare attività lavorativa in un organismo direttamente dipendente da un organo politico». Vero che Nitto Palma interveniva in aula dopo l’accettazione dell’incarico da parte di Vaudano, chiedendo la promozione del procedimento disciplinare per violazione di una legge del 62 (che imponeva l’autorizzazione del Presidente del Consiglio all’assunzione di incarichi presso organismi internazionale da parte degli impiegati civili), e per violazione del deliberato della Camera (che approvando la mozione di Cicchitto aveva negato l’autorizzazione). Egli lamentava anche il fatto che il concorso per la nomina era stato riservato solo ai magistrati (e solo ad alcune categorie), e denunciava Vaudano perché aveva assunto servizio mentre si trovava in congedo parentale: «E allora credo di non essere deviato dalla mia pregressa esperienza di pubblico ministero, nel pensare che in questo caso il congedo parentale sia stato lo strumento utile per assumere servizio presso l’Olaf e che comunque, quando si è assunto servizio presso l’Olaf, non esistevano le ragioni che avevano indotto il dottor Vaudano a richiedere, e l’amministrazione a dare, il congedo parentale.
Mi chiedo allora, signor rappresentante del Governo, se questo comportamento non assuma rilievo, oltre che sotto il profilo disciplinare, sotto altri aspetti, essendo evidentemente conseguente al congedo parentale, la persistenza di una retribuzione» (ravvisava, in definitiva, l’ipotesi di truffa). A sua volta evidenziava anche che per la nomina di Vaudano si era prodigata troppo la sinistra: «Vi è stato, in ordine a questo concorso e a queste nomine, un eccessivo entusiastico agire da parte di organi politici importanti - penso al ministro Fassino, penso all’interessamento del Presidente Prodi».
• L’8 luglio 2007 il Corsera pubblicava la notizia che Vaudano e sua moglie erano nell’elenco delle «toghe» spiate dal funzionario del Sismi Pio Pompa. Una sua lettera privata era stata sequestrata insieme ai documenti che riguardano l’Olaf, «che il collaboratore dell’ex direttore Nicolò Pollari, aveva inserito nell’elenco degli organismi investigativi pericolosi per il governo Berlusconi». «Nel report veniva sottolineato come l’Olaf potesse “enfatizzare iniziative aggressive già in corso o promuoverne altre nei confronti di alte personalità di governo e/o del governo stesso” e per questo si avvertiva sulla necessità di “scongiurare l’eventualità che taluni soggetti deputati a operare negativamente vengano ad essere addirittura designati dalla stessa compagine governativa che potrebbe risultare poi vittima della loro iniziativa”» (Fiorenza Sarzanini).
• Ascendenti Il nonno paterno, ufficiale degli alpini, era collaboratore e amico personale di Gabriele D’Annunzio, con cui partecipò all’impresa di Fiume nel 1919. Un bisavolo, del ramo paterno, partecipò alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Il padre, ingegnere aeronautico, era ufficiale superiore dell’aeronautica italiana.
• È membro di Libertà e Giustizia e di Libera France. (a cura di Paola Bellone).