5 agosto 2014
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Biografia di Piersanti Mattarella
Castellammare del Golfo (Trapani) 24 maggio 1935 – Palermo, 6 gennaio 1980. Presidente della Regione Sicilia. Democristiano, «allievo di Aldo Moro, era l’uomo che voleva tagliare alla radice i rapporti tra mafia e amministrazione in Sicilia». Fratello di Sergio Mattarella, ex docente universitario, ex parlamentare ed ex giudice Costituzionale, eletto presidente della Repubblica italiana il 31 gennaio 2015.
• «Piersanti Mattarella fu soprattutto un politico perbene, un uomo di fede. Addirittura un "martire", come suggerisce Andrea Riccardi nella prefazione della prima biografia completa del presidente della Regione Sicilia, scritta da Giovanni Grasso, giornalista parlamentare e storico, e pubblicata dalle edizioni San Paolo. Un martire politico, per l’esattezza» (Rep. 13/6/2014).
• Figlio maggiore di Bernardo Mattarella, ministro nei governi centristi degli Anni 50. Di suo padre, politico discusso, indicato da Danilo Dolci come il mandante della strage di Portella delle Ginestre. Piersanti però ne sempre aveva difeso l’immagine, ed era deciso a rivalutarla a ogni costo.
• Nato a Castellammare, infanzia a Palermo, scuola al Gonzaga. Presto la famiglia si trasferì a Roma e Piersanti e Sergio frequentarono il Leone Magno, tra lezioni di violino e Azione cattolica.
• A Roma i fratelli Piersanti e Sergio – che avrebbero sposato due sorelle, Irma e Marisa Chiazzese – figlie del romanista Lauro – giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro, e qualche volta il padre invitava a cena un monsignore che avrebbe fatto strada: Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI [Messina, Rep 30/1].
• Insegnò diritto civile all’università.
• Cresciuto politicamente con Aldo Moro, nel 1967 deputato regionale, nel 1971 assessore al bilancio nella giunta di centrosinistra guidata dal Mario Fasino, poi il 20 marzo 1978 viene eletto Presidente della Regione Sicilia dopo le dimissioni di Bonfiglio e la conseguente lunga crisi di governo. Mattarella prese con 77 voti: il risultato più alto nella storia dell’Assemblea siciliana, grazie ai voti dei deputati di Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli e (altro primato storico) Pci. Nel 1979 dopo una breve crisi politica, formò un secondo governo.
• Si distinse immediatamente nello sforzo di moralizzazione anche quando costrinse Rosario Cardillo, assessore ai Lavori pubblici, alle dimissioni dopo aver scoperto che dava soldi sempre alle stesse imprese e agli stessi personaggi, alcuni legati alla mafia. Come lui anche ex capo dell’amministrazione provinciale Gaspare Giganti ex assessore comunale Castro sono stati indagati per appalti sospetto. Nel 1979 Zaccagnini gli aveva inutilmente proposto di candidarsi alle elezioni politiche nazionali avendo identificato, insieme a molti altri dirigenti della Dc, in lui il successore di Aldo Moro (Mattarella era a Roma il 9 maggio del 1978 e fu tra i primi a accorrere in via Caetani) di cui era stato devoto discepolo, ma lui ritenne che in quel momento il suo dovere fosse quello di stare in Sicilia a continuare il lavoro intrapreso.
• Mattarella impone controlli severi sugli appalti. Manda ispezioni. E insiste sulla trasparenza. Fa anche un patto segreto con un giovane cronista de L’Ora che indaga sull’appalto sospetto per la nuova aerostazione di Punta Raisi, a Palermo, e sulle manovre dell’assessore regionale ai Lavori pubblici del tempo: «Lei mi porti le prove delle irregolarità, io le chiarirò il contesto e prenderò provvedimenti». Per mesi, presidente e giornalista si incontrano al mattino presto, in un ufficio riservato di Palazzo d’Orléans, lontani da occhi indiscreti. Leggono documenti, perizie, delibere, ricorsi. L’appalto è annullato. E l’assessore costretto alle dimissioni. Un passo avanti nella moralizzazione. Ma anche la conferma, agli occhi dei boss e degli imprenditori complici, della pericolosità di quel presidente. Un pericolo anche per gli equilibri di potere all’interno della De. Perché nel 1979 Mattarella va dal segretario nazionale democristiano Benigno Zaccagnini, “L’onesto Zac”, per chiedergli di commissariare il partito a Palermo: si perdono i legami con gli ambienti migliori del retroterra cattolico, ritorna con forza l’influenza di Vito Ciancimino e Salvo Lima, si consolidano i "rapporti con ambienti mafiosi". Ma il rinnovamento, partito con serietà d’intenti, si spegne tra le velleità della propaganda.
• «Mattarella incarnava nell’isola la politica morotea. Da tre anni tentava, in questo laboratorio di anticipazioni, di raggiungere un accordo di governo con il partito comunista. Era disposto ad arrivarci nel "minor tempo possibile» [Rep.].
• Nell’ottobre del 1979 salì su un aereo per andare a Roma a parlare col ministro Rognoni: «Piersanti Mattarella venne a parlarmi di un quadro politico, non di un’emergenza criminale. Ero un collega di partito che per ventura si trovava a fare il ministro dell’Interno; lui era moroteo io della corrente di Base, avevamo posizioni vicine. Mi illustrò una situazione interna alla Dc siciliana, ed era allarmato non per sé ma per il segretario regionale Rosario Nicoletti (morto suicida nel 1984, ndr ), che aveva anche manifestato l’ipotesi di abbandonare l’attività politica. Non mi chiese aiuto né manifestò timori particolari per la sua persona, e io sinceramente non avvertii una situazione di pericolo per lui. Di Ciancimino tutti a Palermo sapevano che era un personaggio contiguo alla mafia, anche gli inquirenti e gli investigatori, ma evidentemente non c’erano gli strumenti sufficienti per fermarlo. Le accuse concrete nei suoi confronti arrivarono solo dopo. In ogni caso Piersanti Mattarella mi illustrò un quadro politico, non altro» (a Giovanni Bianconi). Di ritorno a Paermo confidò al capo di gabinetto Maria Grazia Trizzino: «A questo incontro è da ricollegare quanto di grave mi potrà accadere». [Cds 2/2/2015].
• Il 6 gennaio 1980, giorno dell’epifania, Piersanti Mattarella viene ucciso dalla mafia mentre usciva di casa, in via della Libertà, per andare a messa con la moglie, Irma Chiazzese e i figli Bernardo e Pia, di 19 e 17 anni, quando un killer si avvicinò al finestrino della sua 132 e iniziò a sparare. Non aveva la scorta. Il presidente la rifiutava sempre nei giorni festivi [Lodato 2012]: «Ho visto il killer che si avvicinava alla nostra macchina. Ho subito capito che stava per sparare e istintivamente ho messo tutte e due le mani sulla testa di Santi, cercando di proteggerlo, e il mio gesto ha bloccato l’assassino ma solo per un attimo che a me è sembrato lungo come un’ora. Ci siamo fissati negli occhi ed io ho colto l’esitazione di quell’uomo che, forse, stava per uccidere anche me; ma questo non era nel conto. Poi, passata l’indecisione, il killer ha cominciato a sparare» (Irma Chiassese).
• «Accorre il fratello, Sergio (allora professore universitario, ndr) si fermano i passanti, si cerca convulsamente d’organizzare i soccorsi, verso il più vicino ospedale. Sono lì, per caso, due fotografi del quotidiano L’Ora, Letizia Battaglia e Franco Zecchin, capiscono subito la portata dell’assassinio, cominciano a scattare, sgomenti, turbati, lucidissimi, come sa fare chi ha già visto, per mestiere, altre tragedie, altre morti. E sulle loro pellicole rimangono impressi il volto dolente di quell’uomo ferito, il suo impermeabile chiaro macchiato di sangue, le facce stravolte dei soccorritori». Morì mezz’ora all’ospedale tra le braccia del fratello Sergio [Leggi qui il ricordo di Bernardo Mattarella]
• Tre i messaggi a rivendicare il delitto: i fascisti del Nar, Prima linea e le Brigate rosse.
• Il Presidente della Repubblica, Pertini, inviò alla moglie della vittima questo messaggio: «Il vile criminale agguato mi getta nel più profondo dolore e suscita nel mio animo incontenibile sdegno. Piango con lei l’uomo giusto e coraggioso di cui ho conosciuto ed apprezzato durante la mia visita in Sicilia l’ingegno e le grandi qualità umane, civili e politiche» [Sta. 7/1/1980].
• Mattarella ricevette minacce solo in due occasioni: all’indomani dell’uccisione di Moro e poche ore dopo quella di Michele Reina.
• Due mesi prima della sua morte, con la visita del Capo dello Stato nell’isola, Santi Mattarella era stato l’unico siciliano a non essere fischiato dalla folla. Tentava di rimettere insieme una giunta per prepararsi al governo degli Anni 80.
• Il primo a prendere in mano le indagini fu l’allora sostituto procuratore di Palermo Pietro Grasso.
• Giusva Fioravanti – che tra l’altro fu riconosciuto in aula da Irma Chiazzese come l’assassino – e Gilberto Cavallini sono ritenuti per anni gli esecutori materiali del delitto ma il 6 aprile 1993 la confessione di Tommaso Buscetta fa ricadere i sospetti sulla mafia.
• Al termine di una lunga vicenda giudiziaria il 26 luglio 1999 la Cassazione conferma l’assoluzione di Fioranvanti e Cavallini: i giudici condanneranno all’ergastolo come mandanti dell’esecuzione i boss della commissione di Cosa nostra Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L’inchiesta non riuscirà a identificare i sicari. Bernardo il figlio di Piersanti Mattarella: «A mia madre è stato preferito il pentito che dice di non aver mai sentito il nome di Fioranvanti. Il mancato ricordo dei pentiti porta a scagionare l’imputato. È l’aberrazione del diritto».
• Si è poi stabilito che Mattarella fu ucciso perché si era impegnato a combattere le collusioni tra Cosa nostra e i pubblici poteri.