la Repubblica, mercoledì 6 gennaio 2010, 5 agosto 2014
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Bernardo Mattarella ricorda il 6 gennaio 1980
la Repubblica, mercoledì 6 gennaio 2010
«La domenica era l' unica giornata che trascorrevamo tutti insieme. Quella mattina stavamo andando a messa a Santa Lucia. Io ero al cancello per agevolare le manovre di uscita della macchina dal garage. Stavo per chiudere quando alle mie spalle ho sentito una forte deflagrazione, ho intuito che si trattava di uno sparo. Per un attimo sono rimasto paralizzato e quando ho pensato di avvicinarmi mi sono reso conto che l' altro killer, che era in macchina, aveva un pistola puntata su di me». Bernardo Mattarella, deputato del Pd all' Ars, aveva 20 anni, la stessa età che hanno oggi i suoi tre figli, Piersanti di 23 anni e i gemelli Giorgio e Andrea, di 19. Era studente di Giurisprudenza e voleva fare l' avvocato. Quando trent' anni fa hanno ucciso suo padre, il presidente della Regione Piersanti Mattarella, in quel momento dimissionario e in trattative per il suo terzo governo, aveva anche la barba, che a quei tempi portavano solo i giovani di sinistra. Ma lui non lo era. «Mio padre era un modello e io mi identificavo totalmente con lui, anche politicamente. Con lui ci toglievamo 24 anni, lo seguivo ai suoi comizi, nei paesi, ho fatto per lui anche il galoppino. Dopo il funerale mi tolsi per sempre la barba. Era il segno che la nostra adolescenza, quella mia e di mia sorella Maria, che aveva 18 anni, era stata troncata. Mi sentivo proiettato verso un ruolo di responsabilità». Bernardo ha il tempo di vedere il killer proteso verso il padre, dal finestrino rotto, ricorda con rabbia quel braccio armato che continua a sparare, prima dal lato guida e poi dal lato dove stava la madre Irma, che cercava di proteggere con le mani il volto del marito. «Quando i killer sono andati via mi sono avvicinato e mi sono reso conto che le condizioni di papà erano gravissime. Mamma e Maria erano in preda alla disperazione. Mi sono precipitato al bar, ho telefonato al 113 e ho chiamato mio zio Sergio, gli ho detto di scendere subito. Non c' è stato bisogno di spiegargli il perché. Mio padre è stato portato a Villa Sofia con una volante e lo hanno accompagnato Sergio e Orietto Giuffrè, un medico amico di famiglia. Capimmo subito che non c' era niente da fare. Anche perché il killer aveva avuto il tempo di esplodere tutti i colpi e non lasciargli scampo». Anche il figlio Bernardo rende la sua testimonianza al sostituto di turno, Piero Grasso. Raccontò di avere visto il killer di profilo, sia pur a distanza. «Era giovane, dalla carnagione chiara, con un particolare rossore sulle guance. E ricordo di avere detto che mi sembrava non siciliano». È Giovanni Falcone, al culmine della sua azione investigativa, a sottoporre alla vedova Irma Chiazzese il ritratto di Fioravanti. «Mia madre mi raccontò che Falcone era sobbalzato sulla sedia quando lei gli descrisse che il killer aveva un' andatura a orso, con le spalle un po' curve. Falcone individuò nella descrizione una delle caratteristiche fisiche di Giusva Fioravanti. Non è affatto campata in aria l' ipotesi, smentita dai pentiti, di un collegamento con l' estremista di destra. Anche la nostra donna di servizio, che aveva assistito al delitto dal balcone al secondo piano, scoppiò a piangere quando vide le immagini di Fioravanti sui giornali, convinta che fosse lui il killer. Perfino Giusva Fioravanti puntò il dito sul fratello, che in quei giorni era in Sicilia». Tra le tante rivendicazioni dell' omicidio, Bernardo Mattarella ne ricorda una, che ai tempi venne ignorata. «Una rivendicazione collegò l' omicidio alla strage neofascista di Acca Larentia, in Lazio, avvenuta un anno prima, il 7 gennaio del 1979. Di questo fatto in Sicilia nessuno seppe mai niente e la rivendicazione per troppo tempo venne sottovalutata». Sull' utenza di casa Mattarella, il giorno del sequestro di Aldo Moro, una voce disse: «E ora tocca a voi». Bernardo ricorda quel giorno: «Presi io la telefonata. Ma mio padre non commentò. Non fu l' unica: altre arrivarono alla presidenza della Regione. Dopo l' omicidio di Aldo Moro, che era il suo maestro e il suo riferimento politico, mio padre passò un periodo di grande sofferenza. Capì che gli era venuto meno il sostegno per un disegno politico, quello del dialogo col Pci, che era lo stesso per il quale Moro era impegnato a livello nazionale. Un' altra fase che lo intristì fu la fine dell' estate del ' 79. Dopo gli omicidi Reina, Giuliano, Terranova e Mancuso, avvertì su di sé un' ombra sinistra, segnali di minacce di cui con noi non faceva menzione. A casa diventò meno loquace, meno allegro, alternava lunghe pause e silenzi ed era più guardingo del solito quando usciva». Ma fino all' ultimo Piersanti Mattarella non volle mai mancare all' appuntamento serale con la famiglia riunita a cena. «Nessuno di noi intendeva rinunciare a quest' appuntamento, anche se da presidente della Regione papà non aveva orari, e si cenava quando lui tornava. Ci sentivamo coinvolti nella sua esperienza». Per la famiglia Mattarella rimane oggi la grande amarezza per il buco nero che avvolge ancora l' omicidio. Solo la "cupola" è stata condannata, all' ergastolo, nel ' 95. Assolti i due killer neri Fioravanti e Gilberto Cavallini, rimangono senza volto i due sicari. «Sappiamo bene che verità e giustizia non ci restituiranno l' affetto sottratto. Ma penso sia nell' interesse generale fare luce su un delitto tra i più gravi avvenuti in Sicilia. La sensazione è che quello di Piersanti Mattarella sia un omicidio dimenticato. Per un certo periodo l' unica fonte di prova sono stati i pentiti, che non hanno dato un contributo all' accertamento della verità. Per l' individuazione dei mandanti è insufficiente fermarsi alla commissione di Cosa Nostra. Non sono state esplorate le responsabilità parallele alla mafia. Papà aveva denunciato le infiltrazioni mafiose in politica. Il delitto ha una evidente matrice politica, che però non è mai stata approfondita. La figura di papà aveva allora dimensione nazionale e il suo progetto di apertura al Pci, che coincideva con quello di Moro, può essere stato uno dei motivi che hanno ispirato il disegno criminoso nei suoi confronti. Insomma, ancora non si è fatta piena luce». Tre anni dopo la morte di Piersanti, inizia a Roma nella Dc la carriera politica del fratello Sergio, di sei anni più piccolo, che nell' 86 si candida alla Camera. Bernardo Mattarella continua intanto a fare l' avvocato civilista e raccoglie l' eredità politica del padre solo pochi anni fa. «Ho sempre pensato che l' eredità politica, morale, culturale di mio padre fosse patrimonio di tutti i siciliani e che non fossimo dunque noi gli eredi necessari della sua azione. Ho preferito per questo che ci fosse un lasso di tempo largo, per evitare di fare una scelta emotiva. E ho deciso poi di iniziare dalla gavetta, con l' elezione a consigliere provinciale. Una volta mio padre, intervistato, disse: "Non consiglio a mio figlio di fare il politico ma non glielo impedirei". Ai miei figli io invece dico: vi sconsiglio di fare i politici ma non ve lo impedirò».
«La domenica era l' unica giornata che trascorrevamo tutti insieme. Quella mattina stavamo andando a messa a Santa Lucia. Io ero al cancello per agevolare le manovre di uscita della macchina dal garage. Stavo per chiudere quando alle mie spalle ho sentito una forte deflagrazione, ho intuito che si trattava di uno sparo. Per un attimo sono rimasto paralizzato e quando ho pensato di avvicinarmi mi sono reso conto che l' altro killer, che era in macchina, aveva un pistola puntata su di me». Bernardo Mattarella, deputato del Pd all' Ars, aveva 20 anni, la stessa età che hanno oggi i suoi tre figli, Piersanti di 23 anni e i gemelli Giorgio e Andrea, di 19. Era studente di Giurisprudenza e voleva fare l' avvocato. Quando trent' anni fa hanno ucciso suo padre, il presidente della Regione Piersanti Mattarella, in quel momento dimissionario e in trattative per il suo terzo governo, aveva anche la barba, che a quei tempi portavano solo i giovani di sinistra. Ma lui non lo era. «Mio padre era un modello e io mi identificavo totalmente con lui, anche politicamente. Con lui ci toglievamo 24 anni, lo seguivo ai suoi comizi, nei paesi, ho fatto per lui anche il galoppino. Dopo il funerale mi tolsi per sempre la barba. Era il segno che la nostra adolescenza, quella mia e di mia sorella Maria, che aveva 18 anni, era stata troncata. Mi sentivo proiettato verso un ruolo di responsabilità». Bernardo ha il tempo di vedere il killer proteso verso il padre, dal finestrino rotto, ricorda con rabbia quel braccio armato che continua a sparare, prima dal lato guida e poi dal lato dove stava la madre Irma, che cercava di proteggere con le mani il volto del marito. «Quando i killer sono andati via mi sono avvicinato e mi sono reso conto che le condizioni di papà erano gravissime. Mamma e Maria erano in preda alla disperazione. Mi sono precipitato al bar, ho telefonato al 113 e ho chiamato mio zio Sergio, gli ho detto di scendere subito. Non c' è stato bisogno di spiegargli il perché. Mio padre è stato portato a Villa Sofia con una volante e lo hanno accompagnato Sergio e Orietto Giuffrè, un medico amico di famiglia. Capimmo subito che non c' era niente da fare. Anche perché il killer aveva avuto il tempo di esplodere tutti i colpi e non lasciargli scampo». Anche il figlio Bernardo rende la sua testimonianza al sostituto di turno, Piero Grasso. Raccontò di avere visto il killer di profilo, sia pur a distanza. «Era giovane, dalla carnagione chiara, con un particolare rossore sulle guance. E ricordo di avere detto che mi sembrava non siciliano». È Giovanni Falcone, al culmine della sua azione investigativa, a sottoporre alla vedova Irma Chiazzese il ritratto di Fioravanti. «Mia madre mi raccontò che Falcone era sobbalzato sulla sedia quando lei gli descrisse che il killer aveva un' andatura a orso, con le spalle un po' curve. Falcone individuò nella descrizione una delle caratteristiche fisiche di Giusva Fioravanti. Non è affatto campata in aria l' ipotesi, smentita dai pentiti, di un collegamento con l' estremista di destra. Anche la nostra donna di servizio, che aveva assistito al delitto dal balcone al secondo piano, scoppiò a piangere quando vide le immagini di Fioravanti sui giornali, convinta che fosse lui il killer. Perfino Giusva Fioravanti puntò il dito sul fratello, che in quei giorni era in Sicilia». Tra le tante rivendicazioni dell' omicidio, Bernardo Mattarella ne ricorda una, che ai tempi venne ignorata. «Una rivendicazione collegò l' omicidio alla strage neofascista di Acca Larentia, in Lazio, avvenuta un anno prima, il 7 gennaio del 1979. Di questo fatto in Sicilia nessuno seppe mai niente e la rivendicazione per troppo tempo venne sottovalutata». Sull' utenza di casa Mattarella, il giorno del sequestro di Aldo Moro, una voce disse: «E ora tocca a voi». Bernardo ricorda quel giorno: «Presi io la telefonata. Ma mio padre non commentò. Non fu l' unica: altre arrivarono alla presidenza della Regione. Dopo l' omicidio di Aldo Moro, che era il suo maestro e il suo riferimento politico, mio padre passò un periodo di grande sofferenza. Capì che gli era venuto meno il sostegno per un disegno politico, quello del dialogo col Pci, che era lo stesso per il quale Moro era impegnato a livello nazionale. Un' altra fase che lo intristì fu la fine dell' estate del ' 79. Dopo gli omicidi Reina, Giuliano, Terranova e Mancuso, avvertì su di sé un' ombra sinistra, segnali di minacce di cui con noi non faceva menzione. A casa diventò meno loquace, meno allegro, alternava lunghe pause e silenzi ed era più guardingo del solito quando usciva». Ma fino all' ultimo Piersanti Mattarella non volle mai mancare all' appuntamento serale con la famiglia riunita a cena. «Nessuno di noi intendeva rinunciare a quest' appuntamento, anche se da presidente della Regione papà non aveva orari, e si cenava quando lui tornava. Ci sentivamo coinvolti nella sua esperienza». Per la famiglia Mattarella rimane oggi la grande amarezza per il buco nero che avvolge ancora l' omicidio. Solo la "cupola" è stata condannata, all' ergastolo, nel ' 95. Assolti i due killer neri Fioravanti e Gilberto Cavallini, rimangono senza volto i due sicari. «Sappiamo bene che verità e giustizia non ci restituiranno l' affetto sottratto. Ma penso sia nell' interesse generale fare luce su un delitto tra i più gravi avvenuti in Sicilia. La sensazione è che quello di Piersanti Mattarella sia un omicidio dimenticato. Per un certo periodo l' unica fonte di prova sono stati i pentiti, che non hanno dato un contributo all' accertamento della verità. Per l' individuazione dei mandanti è insufficiente fermarsi alla commissione di Cosa Nostra. Non sono state esplorate le responsabilità parallele alla mafia. Papà aveva denunciato le infiltrazioni mafiose in politica. Il delitto ha una evidente matrice politica, che però non è mai stata approfondita. La figura di papà aveva allora dimensione nazionale e il suo progetto di apertura al Pci, che coincideva con quello di Moro, può essere stato uno dei motivi che hanno ispirato il disegno criminoso nei suoi confronti. Insomma, ancora non si è fatta piena luce». Tre anni dopo la morte di Piersanti, inizia a Roma nella Dc la carriera politica del fratello Sergio, di sei anni più piccolo, che nell' 86 si candida alla Camera. Bernardo Mattarella continua intanto a fare l' avvocato civilista e raccoglie l' eredità politica del padre solo pochi anni fa. «Ho sempre pensato che l' eredità politica, morale, culturale di mio padre fosse patrimonio di tutti i siciliani e che non fossimo dunque noi gli eredi necessari della sua azione. Ho preferito per questo che ci fosse un lasso di tempo largo, per evitare di fare una scelta emotiva. E ho deciso poi di iniziare dalla gavetta, con l' elezione a consigliere provinciale. Una volta mio padre, intervistato, disse: "Non consiglio a mio figlio di fare il politico ma non glielo impedirei". Ai miei figli io invece dico: vi sconsiglio di fare i politici ma non ve lo impedirò».
Antonella Romano