Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 05 Martedì calendario

Biografia di Rocco Chinnici

Misilmeri (Palermo), 19 gennaio 1925 – Palermo, 29 luglio 1983. Magistrato. Capo ufficio istruzione di Palermo. Padre del pool antimafia.
• «Picciriddi, in Sicilia, terra di mafia, si può morire in tanti modi, oltre che nel proprio letto. Freddati dai colpi di pistola o crivellati da una kalashnikov. Incaprettati nel protabagli di un’auto o stroncati da un’overdose. Talvolta, spariti nel nulla, vittime della lupara bianca. Ma prima che ammazzino me, ne stendo un paio io» (Rocco Chinnici ai suoi figli)
• Nel 1952 entra in magistratura, al Tribunale di Trapani. Pretore a Partanna per 12 anni, giudice istruttore a Palermo dal 1966 fino al 1979 quando viene promosso Consigliere Istruttore.
• «Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia”, e più oltre aggiunge: “La mafia … nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”» (Così nella sua relazione sulla mafia presentata il 3 luglio 1978 in un incontro organizzato dal Csm).
• Chinnici ritiene fondamentale il lavoro di gruppo perché quando un magistrato antimafia viene assassinato le sue conoscenze e il suo lavoro si perdono con la sua morte. Crea gruppi di lavoro. Accanto a sé ha due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. A Falcone affida il processo Rosario Spatola e lo autorizza a svolgere indagini bancarie. Per questo viene spesso minacciato anche da colleghi.
• «C’è bisogno di cittadini responsabili. Il rimedio alla mafia è la mobilitazione delle coscienze».
• Per anni ha richiesto un’incriminazione ad hoc per il solo fatto di far parte di un’associazione mafiosa (quella che poi divenne la legge Rognoni-La Torre approvata dopo l’omicidio di Dalla Chiesa): «L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per latri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali». [altrodiritto.unifi.it/]
• «Indaga sui delitti politici, da Pio La Torre a Mattarella, dal giornalista Mauro Francese all’omicidio Dalla Chiesa. Vuole unificare tutte queste indagini, è convinto che la sia la stessa, e sarà la stessa, confida ad un amico, che ordinerà il suo eventuale assassinio. Tiene un diario dove annota riflessioni, giudizi, episodi. Non si fida di alcuni colleghi del Palazzo di giustizia di Palermo, in modo particolare dei vertici giudiziari. È convinto che le pressioni mafiose trovano appoggi nel Palazzo di Giustizia di Palermo. Già quando collaborava con Gaetano Costa sul traffico di droga con le famiglie americane aveva l’abitudine di confrontarsi col collega di nascosto, nell’ascensore di servizio. È stato il primo magistrato a considerare Peppino Impastato vittima della mafia, tanto che riapre le indagini conclusesi troppo sbrigativamente già il 9 maggio del 1978 quando i carabinieri giungono subito alla conclusione che il militante di Democrazia Proletaria è un terrorista morto mentre sta preparando un attentato dinamitardo sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani.» (Fernando Scarlata).
• «Una mia eventuale condanna a morte scaturirà dallo stesso cervello criminale che ha già ucciso Terranova, Mattarella, Costa e La Torre».
• «La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».
• Il 9 luglio 1983 autorizza Giovanni Falcone a spiccare 14 mandati d’arresto per l’omicidio del Generale Dalla Chiesa. Tra loro Riina, Provenzano, i fratelli Greco, Santapaola. Venti giorni dopo viene ucciso. Si dice che stesse preparando altri venti mandati di cattura con le cosche mafiose e che la sua intenzione era quella di arrestare i finanzieri Nino e Ignazio Salvo.
• Il 29 luglio 1983, poco alle 8.05 Rocco Chinnici e due carabinieri di scorta sono rimasti uccisi dall’esplosione di un’auto parcheggiata davanti all’abitazione del magistrato, al 59 di via Federico Pipitone. L’attentato è stato compiuto con una 126 carica di tritolo. L’utilitaria è saltata in aria non appena Chinnici, con la sua scorta hanno varcato la soglia del portone, mentre il magistrato stava scambiando una battuta con il portiere Stefano Sacchi, di 56 anni, sposato e senza figli, morto anche lui assieme al maresciallo Trapassi e all’appuntato Salvatore Bartolotta. Si è salvato invece Giovanni Paparcuri, 27 anni, autista della macchina blindata a bordo della quale Chinnici doveva essere accompagnato, come tutte le mattine, al palazzo di giustizia. Sono rimasti feriti il brigadiere Lo Nigro, il brigadiere Pecoraro, l’appuntato Calvo e il carabiniere Amato.
• La Stampa: «Calvo, Amato, Trapassi e Bartolotta facevano parte della scorta del magistrato. Il brigadiere Lo Nigro e il brigadiere Pecoraro si trovavano a bordo di una macchina del gruppo radiomobile, che aveva il compito di bloccare il traffico nel momento in cui il dottor Chinnici doveva salire sull’auto blindata» [Sta. Se 29/7/1983].
• I sicari avevano parcheggiato una Cinquecento stracolma di esplosivo proprio davanti al 63 di via Pipitone costringendo così agli uomini della scorta di posteggiare in seconda fila, proprio accanto all’autobomba. Lodato: «Personalmente ricordo pietosi lenzuoli bianchi distesi fra via Pipitone e via Prati. Mi colpì il fatto che un’esplosione potesse strappare via i vestiti, mi serrò lo stomaco la vista di una gamba adagiata su un marciapiede
• Chinnici lascia la moglie Tina Passalacqua (sposata nel 1952), insegnante di scienze, che al momento dell’esplosione si trovava a Trapani dove presiedeva la commissione d’esami all’istituto magistrale e tre figli: Caterina, giudice del lavoro a Caltanissetta, Elvira, laureanda in medicina e Giovanni iscritto al primo anno di giurisprudenza. [Sta. Se 29/7/1983]: «Io ed Elvira eravamo ancora in pigiama. Sentimmo un boato, un’esplosione. Sembrava la fine del mondo. Era successo qualcosa di tremendo a papà. Lo capimmo subito, senza neanche affacciarci al balcone. Scendemmo precipitosamente, dal terzo piano, giù per le scale. C’era fumo, fumo dappertutto. Vedemmo prima il corpo del portiere, a terra, il povero Stefano, ma non riuscivamo a trovare papà. Girammo attorno, con l’angoscia nel cuore. Lo scoprii io. Gridai a Elvira: “Guarda, è lì”. Non auguro a nessun figlio, anzi proprio a nessuno, di vedere con i propri occhi uno strazio simile. Ci chinammo, urlammo di disperazione, ci abbracciammo. Poi rimanemmo ammutoliti».
• «La sera del 29 luglio 1983 si brindò nei quartieri popolari, nel rione del "Capo", il cuore del centro storico di Palermo. Fu necessaria un’ordinanza pubblica, addirittura, per vietare festeggiamenti, schiamazzi, ai quali idealmente si unironoi detenuti del carcere dell’Ucciardone» [De Pasquele, Iannelli, Così non si può vivere, Castelvecchi 2013].
• Paolo Borsellino: «La mafia ha capito tutto. Avrebbero potuto colpire me o Falcone, ma avrebbero solo reciso la diramazione di un corpo articolato. Uccidere Chinnici, il consigliere istruttore che ha impresso una svolta epocale nelle indagini antimafia, significa troncare la testa di quel corpo, la mente di un ufficio» [Lucentini 2003].
• Amava cucinare («i rigatoni col sugo di carne erano la sua specialità»), ballare il valzer con la moglie, curare le piante del balcone e giocare con Billy, il cane. Da giovane aveva il pallino per la lotta greco-romana e per i lavori di campagna.
• Il processo per l’omicidio ha individuato come mandanti i fratelli Nino e Ignazio Salvo, e si è concluso con 12 condanne all’ergastolo e quattro condanne a 18 anni di reclusione per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa Nostra.