5 agosto 2014
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Biografia di Cesare Terranova
Petralia Soprana (Palermo) 15 agosto 1921 – Palermo 25 settembre 1979. Magistrato. Esperto di «Cose corleonesi». Già procuratore d’accusa al processo contro la cosca di Corleone (1969). Procuratore della Repubblica a Marsala. Ha seguito i processi più importanti degli anni 60 (Tommaso Natale, la famiglia Rimi, i fratelli La Barbera, la strage di viale Lazio, Michele Vinci etc.) ma è noto soprattutto per aver condannato all’ergastolo Luciano Ligio, la Primula rossa. Per due legislature è stato componente della commissione antimafia. Eletto nelle liste del Pci.
• All’età di 25 anni, vinto il concorso, entrò in magistratura. Le prime funzioni giudiziarie gli furono conferite il 30 aprile del 1946. Dopo 11 anni, nel 1964, fu nominato magistrato di corte d’appello. Durante la sua carriera fu anche pretore a Messina, Rometta, fu giudice nel tribunale di Patti (Messina) e quindi a Palermo. [Sta.Se 25/9/1979; Sta. 26/9/1979]
• Nel 1969 portò alla sbarra 111 corleonesi nel primo vero processo alla mafia tenutosi a Bari. Ma poi furono quasi tutti assolti ma molti di loro furono uccisi poco dopo la sentenza.
• «Fu il primo magistrato a mettere per iscritto nella sentenza istruttoria per la strage di viale Lazio del 10 dicembre 1969, che gli amministratori comunali di allora rappresentavano in centro propulsore della nuova mafia» (Saverio Lodato). La strage aveva visto morire il capomafia Michele Cavataio trafitto da 200 colpi di pistola (nel 2009 Riina e Provenzano verranno condannati all’ergastolo per la strage di viale Lazio).
• Nel 1971 è procuratore della Repubblica a Marsala. Per i suoi meriti, ma anche perché a Palermo rischia troppo la vita. Dal 1963 il ministero gli ha assegnato un autista che poi è una guardia del corpo per proteggerlo, il brigadiere cosentino Lenin Mancuso. «Mancuso, avremo finalmente un po’ di pace» dice al devoto brigadiere appena insediato a Marsala. Quattro mesi così, di tranquillità. Poi, il delitto di Marsala, quello in cui erano state rapite tre bambine. Luciano Currino sulla Stampa: «In quelle tre settimane di indagini non gli riuscì di dormire più di tre, quattro ore per notte. Fumava molte sigarette accendendole con fiammiferi da cucina, e la cosa ci colpiva perché l’uomo era elegante, perfino raffinato. Ma colpiva soprattutto la sua calma e sicurezza. Per tre settimane, ogni mattina, andavamo da lui, al Palazzo di Giustizia, per avere notizie. Ci diceva: “Non mettiamo un limite al tempo, l’assassino lo prenderemo. Ma lo vogliamo prendere senza compiere la più piccola illegalità... Alla parete dietro la sua scrivania erano appesi ricordini mortuari di capimafia; un allucinante quadro dipinto da un ergastolano; una truculenta copertina di Der Spiegel; un fantasma nero che incombe sulla Sicilia, l’orlo del suo tabarro diventa tentacoli di piovra che stringono l’Isola. Continueremo finché la partita non sarà chiusa”. E la chiuse» [Sta 26/9/1079].
• È stato il principale accusatore di Luciano Liggio (che già era sfuggito alla prigione proprio nel processo di Bari e nel 1975, dopo il suo arresto a Milano, riuscì a condannarlo all’ergastolo per l’omicidio di Michele Navarra.
• Commissario antimafia per sette anni a Roma, tornò a Palermo nel settembre del 1979 e fece domanda per dirigere l’ufficio istruzione: «Lo so, mi possono ammazzare. Liggio ce l’ha con me: è una vecchia storia, risale al tempo in cui lo feci arrestare. Lui mi ritiene il responsabile della sua fine e non mela perdona» (così era solito ripetere il giudice Terranova).
• Alle 8.35 di martedì 25 settembre 1979 Cesare Terranova, giudice ed ex deputato indipendente Pci, e il suo autista e guardia del corpo, il maresciallo di Pubblica sicurezza Lenin Mancuso (lo segue dl 1963, ) vengono uccisi per mano della mafia. Cinque minuti prima il giudice, sceso da casa, si era messo al volante di una Fiat 131 ma alla prima curva gli si sono parati davanti tre giovani sui 25/30 anni, due armati di una calibro 38 e l’altro di un’arma lunga (probabilmente una mitraglietta). Il primo ad essere colpito è il Maresciallo Mancuso, Terranova tenta una disperata manovra per mettersi in salvo: con la marcia indietro ingranata pigia a fondo l’acceleratore e gira il volante come per imboccare via de Amicis ma i proiettili gli piovono addosso, cinque lo feriscono, poi i tre giovani lo finiscono con un colpo a bruciapelo alla nuca e scappano su una Peugeot 304 rossa e probabilmente con una seconda automobile non identificata. Alle 9.15 il duplice omicidio è stato rivendicato dall’organizzazione fascista Ordine nuovo, con una telefonata anonima a un quotidiano romano ma gli inquirenti restano tuttavia convinti che si tratti di un’azione di stampo mafioso [Sta.Se 25/9/1979; Sta. 26/9/1979]. Cesare Terranova è il nono magistrato ucciso in un agguato dal 1970 e il secondo a Palermo. Liggio verrà accusato di essere il del delitto ma poi sarà assolto per insufficienza di prove.
•«Sì, questa è una realtà siciliana, ma io sono siciliano e amo questa terra» (Cesare Terranova).
• Sandro Pertini: «Cesare Terranova fu uomo di alto sentire e di grande cultura: amava profondamente la sua Sicilia e viveva con angoscia la fase di trapasso che l’isola attraversava, dall’economia del feudo e rurale all’economia industriale e collegata con le grandi correnti di traffico europeo e mediterraneo. Ma egli era anche animato, oltre che da un virile coraggio, anche da infinita speranza, che scaturiva dalla sua profonda bontà d’animo: speranza nel futuro dell’Italia e della Sicilia migliori, per le quali il sacrificio della sua vita, fervida, integra ed operosa non è stato vano. Ancora una volta così la violenza omicida della delinquenza organizzata ha colpito uno degli uomini migliori, uno dei figli più degni della terra di Sicilia.
• Era un uomo colto, elegante, raffinato, ottimista, calmo e sicuro. Porta lenti scure e spesso indossa cravatte a righe. Fumava molte sigarette. Giocava a bridge e ogni tanto andava a pesca subacquea.
• Sposato con Giovanna Giaconia, direttrice di una galleria d’arte, non hanno mai avuto figli.