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 2014  agosto 04 Lunedì calendario

Brusca: «Ho ucciso Giovanni Falcone»

Corriere della Sera, venerdì 6 settembre 1996
Messo alle strette davanti a una mole impressionante di prove già acquisite da tempo, il boss avrebbe detto: «Sì, sono stato io ad azionare il telecomando della strage di Capaci». Una conferma importante ma non sconvolgente, quella di Giovanni Brusca, che diventa indiscrezione al termine di sei ore di interrogatorio tutte incentrate sulla fase esecutiva dell’attentato del 23 maggio del ’92: quello in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. Il capomandamento di San Giuseppe Jato avrebbe poi fornito piccoli particolari inediti sulla preparazione militare dell’agguato dell’autostrada, fornendo pure la sua ricostruzione dell’incontro con Totò Riina (il brindisi già raccontato dal pentito Santino Di Matteo) e della successiva fuga in un rifugio di Altofonte. Detto questo, l’aspirante pentito si prepara ora agli esami ben più difficili in programma per mercoledì prossimo sempre a Rebibbia: quando i magistrati di Palermo, Caltanissetta e Firenze potrebbero insistere anche sulla fase logistica delle stragi del ’93 per poi aprire il capitolo ben più spinoso delle possibili complicità esterne a Cosa nostra. Il “dichiarante” Brusca parlerà anche di questo? «Brusca sta rispondendo in modo esauriente a tutte le domande sui fatti di cui è imputato», risponde l’avvocato Luigi Li Gotti che comunque non conferma e non smentisce l’ammissione di responsabilità fatta dal suo cliente sulla strage di Capaci. Li Gotti, però, trasmette una specie di sfida che il boss ha lanciato ai magistrati: «Lui ritiene giusto che le tre procure verifichino le sue dichiarazioni». Per il resto silenzio assoluto: «Rivelare il contenuto degli interrogatori. prosegue il legale. oltre che essere dannoso è pure un illecito. Anche se poi circolano le indiscrezioni...». Già, le indiscrezioni che hanno avvelenato abbondantemente il pentimento rebus. Ora si ha l’impressione che Brusca avesse ammesso già alcuni giorni fa di essere stato il boia di Falcone: ma poi la conferma ha preso corpo soltanto ieri sera. E pensare che, sempre ieri, il procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo Forte ha detto chiaro e tondo che ci vorrà ancora molto tempo per verificare fino in fondo l’attendibilità del «dichiarante»: «Dateci un mese di tempo perché prima non si potrà esprimere qualsiasi giudizio sugli interrogatori. Perché Brusca ha trascorso almeno 20 anni in Cosa nostra, commettendo delitti, apprendendo notizie: e quindi conosce molti fatti... come per esempio Gaspare Mutolo che abbiamo interrogato per mesi, 4 giorni la settimana, riempendo centinaia di pagine di verbali: un lavoro che non è ancora finito». Ha concluso Lo Forte: «Auspichiamo che per almeno un mese non si parli di Brusca, della sua presunta condizione di dichiarante, collaborante o che altro». In altre parole, dalla procura di Palermo è partito l’ennesimo invito alla prudenza. Perché di certo non basta che Brusca ammetta le sue responsabilità arcinote per conquistarsi la fiducia dei magistrati. Un mese di silenzio ha dunque chiesto Lo Forte ai cronisti. Ma poi, nelle stesse ore, sono uscite le anticipazioni di un’intervista forse intempestivamente rilasciata dal questore di Palermo che ora racconta la “resa del boss”: «Il primo cedimento. dichiara Arnaldo La Barbera. Brusca lo ha avuto il giorno dopo l’arresto, al momento di lasciare la questura... quando ha salutato il figlio Davide che ha solo quattro anni...». E a proposito del figlio e della sua compagna Rosaria Cristiano, il boss avrebbe già avanzato le sue richieste: vorrebbe vivere con loro, una volta risolto il rebus del suo pentimento.



Martirano Dino