La Stampa, 15 luglio 2014, 16 luglio 2014
Tags : Costa Concordia, il relitto si rialza
14. Nick e i suoi venti bravi ragazzi (15 luglio)
La Stampa, 15 luglio 2014
Il nuovo ponte di comando della Costa Concordia ferita a morte è un casotto di vetro e acciaio sistemato in alto a poppa. Sul tetto il vento fa ondeggiare un tendone verde. È lì che opera il dream team del consorzio Titan Micoperi guidato da Nick Sloane, cinquant’anni portati con baldanza, una vita passata in giro per il mondo partendo dall’amato Sudafrica, a occuparsi di recupero di relitti. L’uomo delle «mission impossible», il risolutore. Con lui quelli che il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, chiama con ammirazione «i dodici uomini d’oro». Gli uomini e la donna, Inken Fruhling, trentenne architetto navale di Amburgo, che a settembre scorso furono i protagonisti della spettacolare rotazione della nave. In realtà la «sporca dozzina» è diventata un team di 19 persone, anzi 20, divisi su due turni, diurno e notturno: 2 sudafricani, 2 tedeschi, 2 inglesi, 4 americani, 1 belga, 1 indiano e 7 italiani, ai quali va aggiunto l’ammiraglio Stefano Tortora che funge da collegamento tra il privato responsabile dell’operazione e la parte pubblica (la struttura commissariale guidata da Gabrielli) cui spetta il controllo del rispetto delle leggi e della salvaguardia ambientale.
La più ricercata, ma anche la più schiva, è naturalmente la donna, Inken Fruhling. «Non siamo eccezionali», ha detto in una delle sue rare interviste. Siamo solo persone che schiacciano bottoni, siamo come le altre centinaia che lavorano a questo progetto». Architetto navale, si sente una predestinata. «Da bambina facevo i corsi di barca a vela e già pensavo: da grande voglio costruirle».
Quella di ieri è stata una giornata decisiva per il dream team. L’ennesima, non l’ultima. Intorno alle 11, due anni e mezzo dopo il naufragio, la nave è tornata a galleggiare. Entusiasmo contenuto, nessun applauso, ha raccontato l’ingegnere italiano Paolo Cremonini, uno dei direttori tecnici presenti nella stanza dei bottoni, la Roc, «remote operations center». «Quello lo faremo alla fine. Siamo rimasti molto concentrati, abbiamo ancora davanti molto lavoro». Se nella Roc, sulla Concordia, è sistemato il braccio, nell’albergo di fronte al relitto, il Demo’s, c’è la mente. È lì che vengono fatti i calcoli e studiate le operazioni. Come ogni giorno, domenica il gruppo di Sloane si è riunito per fare il punto della situazione. C’era anche Sergio Girotto, il project manager della Micoperi. «Al countdown per l’avvio delle operazioni - ha raccontato - visto che eravamo alla vigilia, per darci la carica qualcuno ha detto: “È venuto il momento del clap”. Ed è partito il classico “give me five”, “dammi cinque”, fra i presenti. Nick compreso». Ieri l’ingegner Sloane ha trascorso quasi 14 ore sul relitto. Ma quando è uscito non si è sottratto all’assalto di telecamere e cronisti. Sorridente, ha raccontato la giornata a modo suo, sgranando gli occhioni, senza tanti fronzoli. «La nave si è staccata dalle piattaforme ed è un buon inizio. Tutto è filato liscio come l’olio».
Il nuovo ponte di comando della Costa Concordia ferita a morte è un casotto di vetro e acciaio sistemato in alto a poppa. Sul tetto il vento fa ondeggiare un tendone verde. È lì che opera il dream team del consorzio Titan Micoperi guidato da Nick Sloane, cinquant’anni portati con baldanza, una vita passata in giro per il mondo partendo dall’amato Sudafrica, a occuparsi di recupero di relitti. L’uomo delle «mission impossible», il risolutore. Con lui quelli che il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, chiama con ammirazione «i dodici uomini d’oro». Gli uomini e la donna, Inken Fruhling, trentenne architetto navale di Amburgo, che a settembre scorso furono i protagonisti della spettacolare rotazione della nave. In realtà la «sporca dozzina» è diventata un team di 19 persone, anzi 20, divisi su due turni, diurno e notturno: 2 sudafricani, 2 tedeschi, 2 inglesi, 4 americani, 1 belga, 1 indiano e 7 italiani, ai quali va aggiunto l’ammiraglio Stefano Tortora che funge da collegamento tra il privato responsabile dell’operazione e la parte pubblica (la struttura commissariale guidata da Gabrielli) cui spetta il controllo del rispetto delle leggi e della salvaguardia ambientale.
La più ricercata, ma anche la più schiva, è naturalmente la donna, Inken Fruhling. «Non siamo eccezionali», ha detto in una delle sue rare interviste. Siamo solo persone che schiacciano bottoni, siamo come le altre centinaia che lavorano a questo progetto». Architetto navale, si sente una predestinata. «Da bambina facevo i corsi di barca a vela e già pensavo: da grande voglio costruirle».
Quella di ieri è stata una giornata decisiva per il dream team. L’ennesima, non l’ultima. Intorno alle 11, due anni e mezzo dopo il naufragio, la nave è tornata a galleggiare. Entusiasmo contenuto, nessun applauso, ha raccontato l’ingegnere italiano Paolo Cremonini, uno dei direttori tecnici presenti nella stanza dei bottoni, la Roc, «remote operations center». «Quello lo faremo alla fine. Siamo rimasti molto concentrati, abbiamo ancora davanti molto lavoro». Se nella Roc, sulla Concordia, è sistemato il braccio, nell’albergo di fronte al relitto, il Demo’s, c’è la mente. È lì che vengono fatti i calcoli e studiate le operazioni. Come ogni giorno, domenica il gruppo di Sloane si è riunito per fare il punto della situazione. C’era anche Sergio Girotto, il project manager della Micoperi. «Al countdown per l’avvio delle operazioni - ha raccontato - visto che eravamo alla vigilia, per darci la carica qualcuno ha detto: “È venuto il momento del clap”. Ed è partito il classico “give me five”, “dammi cinque”, fra i presenti. Nick compreso». Ieri l’ingegner Sloane ha trascorso quasi 14 ore sul relitto. Ma quando è uscito non si è sottratto all’assalto di telecamere e cronisti. Sorridente, ha raccontato la giornata a modo suo, sgranando gli occhioni, senza tanti fronzoli. «La nave si è staccata dalle piattaforme ed è un buon inizio. Tutto è filato liscio come l’olio».
Teodoro Chiarelli