12 luglio 2014
Tags : Cent’anni di solitudine
Appunti
«Chi ha vissuto cent’anni di solitudine non avrà un’altra occasione nella vita». (Gabo)
L’agente letterario di Gabo è Carmen Balcells, la più famosa del mondo. Sta con Gabo dal 1961 e fu lei a imporre Cent’anni di solitudine, alla casa editrice Seix Barral di Barcellona, un cui funzionario l’aveva rifiutato.
Xavi Ayén, La Stampa 29/1/2006 (comprato da La Vanguardia Magazine)
Da fan di Cent’anni di solitudine sono stato ad Aracataca, dove García Márquez ha ambientato Macondo. Ho scoperto che non ha inventato niente. Ha descritto. È un giornalista, come lo era Fellini. La fantasia è vedere davvero la realtà».
Da fan di Cent’anni di solitudine sono stato ad Aracataca, dove García Márquez ha ambientato Macondo. Ho scoperto che non ha inventato niente. Ha descritto. È un giornalista, come lo era Fellini. La fantasia è vedere davvero la realtà».
Jovanotti a Massimo Gramellini, La Stampa 1/9/2014
Motivo per cui Gabriel García Márquez chiamò Macondo il villaggio di Cent’anni di solitudine: «Ancora bambino ero in viaggio con mio nonno, quando il treno si fermò in una stazione senza villaggio e poco dopo passò davanti all’unica tenuta bananiera che aveva scritto il nome sul portone: Macondo... Non l’avevo mai sentita prima, non l’avevo mai ascoltata da nessuno, e neppure mi domandai cosa significasse».
Motivo per cui Gabriel García Márquez chiamò Macondo il villaggio di Cent’anni di solitudine: «Ancora bambino ero in viaggio con mio nonno, quando il treno si fermò in una stazione senza villaggio e poco dopo passò davanti all’unica tenuta bananiera che aveva scritto il nome sul portone: Macondo... Non l’avevo mai sentita prima, non l’avevo mai ascoltata da nessuno, e neppure mi domandai cosa significasse».
Roberto Cotroneo, L’espresso, 17/10/2002
Ho letto che la Real Academia di Madrid ha festeggiato il congresso di Cartagena con la pubblicazione straordinaria (un milione di copie) di Cento anni di solitudine, e che del capolavoro di Gabriel García Márquez esisterebbero nel mondo cento milioni di copie: 50 legali e 50 illegali pubblicate da pirati dell’editoria.
Ho letto che la Real Academia di Madrid ha festeggiato il congresso di Cartagena con la pubblicazione straordinaria (un milione di copie) di Cento anni di solitudine, e che del capolavoro di Gabriel García Márquez esisterebbero nel mondo cento milioni di copie: 50 legali e 50 illegali pubblicate da pirati dell’editoria.
Sergio Romano, Corriere della Sera 26/5/2007
García Márquez è stato molto intelligente a non cedere mai i diritti di Cent´anni di solitudine. In un romanzo in cui tutto funziona come un orologio è rischiosissimo smontare questa unità, affidarsi a dei personaggi che il cinema rischia di normalizzare. Ed è molto rischioso portare sullo schermo questo tipo di storie anche perché le rattrappisci, mentre ci vorrebbe un tempo infinito.
García Márquez è stato molto intelligente a non cedere mai i diritti di Cent´anni di solitudine. In un romanzo in cui tutto funziona come un orologio è rischiosissimo smontare questa unità, affidarsi a dei personaggi che il cinema rischia di normalizzare. Ed è molto rischioso portare sullo schermo questo tipo di storie anche perché le rattrappisci, mentre ci vorrebbe un tempo infinito.
Antonio Skarmeta a Irene Bignardi, la Repubblica 30/10/2003
«Di Tobino ho l’opera omnia, libro dopo libro. Ma più viva in me è la letteratura latinoamericana. In vetta Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. L’ho conosciuto in Colombia, ne ho apprezzato l’affabilità. Il suo capolavoro depista e disarma lo sguardo rapinoso dell’Europa sul Nuovo Mondo: esistiamo e non esistiamo, sappiamo sognare e, quindi, non saremo, infine, mai umiliati».
«Di Tobino ho l’opera omnia, libro dopo libro. Ma più viva in me è la letteratura latinoamericana. In vetta Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. L’ho conosciuto in Colombia, ne ho apprezzato l’affabilità. Il suo capolavoro depista e disarma lo sguardo rapinoso dell’Europa sul Nuovo Mondo: esistiamo e non esistiamo, sappiamo sognare e, quindi, non saremo, infine, mai umiliati».
Arturo Paoli ossia Fratel Arturo a Bruno Quaranta, Tuttolibri - La Stampa 23/12/2010
Mi aveva poi conquistato Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez che ho ripreso in mano di recente e ho trovato di una noia mortale.
Mi aveva poi conquistato Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez che ho ripreso in mano di recente e ho trovato di una noia mortale.
Massimo Carlotto a Mirella Serri, Tuttolibri-La Stampa 9/4/2011
Realismo magico, è chiamato in letteratura. A definirlo per primo fu nel 1949 il cubano Alejo Carpentier, a farne bestseller fu nel 1967 il colombiano Gabriel García Márquez, con Cent’anni di solitudine, ma a inventarlo era stato appunto nel 1930 Miguel Angel Asturias, con il linguaggio barocco delle sue Leggende del Guatemala.
Realismo magico, è chiamato in letteratura. A definirlo per primo fu nel 1949 il cubano Alejo Carpentier, a farne bestseller fu nel 1967 il colombiano Gabriel García Márquez, con Cent’anni di solitudine, ma a inventarlo era stato appunto nel 1930 Miguel Angel Asturias, con il linguaggio barocco delle sue Leggende del Guatemala.
Maurizio Stefanini, il Foglio 4/8/2012
Cosa rappresentò per noi la scoperta di un autore come Gabriel García Márquez?
«A dire il vero Cent’anni di solitudine uscì quasi in contemporanea al Tamburo di latta di Günter Grass. E si pensò che due tendenze fossero nate. In realtà, Grass è rimasto un fenomeno abbastanza isolato mentre invece dall’America Latina hanno continuato ad arrivare autori importantissimi».
E questa proliferazione è dipesa dal caso?
«Non dal caso, ma dal fatto che sono popoli nuovi e non vecchi come siamo noi. Molto si sposa a una vitalità che noi non abbiamo più. I nostri best-seller, come le dicevo, raccontano di coppie in crisi, di intellettuali in crisi, di manager in crisi. Paragonata al loro vitalismo sfrenato e sopra le righe, la nostra narrativa di successo descrive la malattia del papà, le turbe del nonno, la piccina traumatizzata. Due stanze con tinello annesso».
Cent’anni di solitudine è solo vitalità?
«È vitalità ma anche stile e capacità di rendere universale un microcosmo. Da noi nessuno ha preso, che so?, il Risorgimento per fare qualcosa di simile. Al massimo ci ha provato Salvator Gotta. Ci occupiamo del divano letto, dei piccoli sintomi della malattia, o dell’interessato scrittore».
Eccesso di autobiografismo?
«Sì, ma in un senso minuscolo. Non vedo nessun Ippolito Nievo in giro».
Il vitalismo si può associare al populismo?
«Perché no. Tanto il populismo è lì un fatto naturale quanto da noi risulta essere un po’ finto».
Cosa rappresentò per noi la scoperta di un autore come Gabriel García Márquez?
«A dire il vero Cent’anni di solitudine uscì quasi in contemporanea al Tamburo di latta di Günter Grass. E si pensò che due tendenze fossero nate. In realtà, Grass è rimasto un fenomeno abbastanza isolato mentre invece dall’America Latina hanno continuato ad arrivare autori importantissimi».
E questa proliferazione è dipesa dal caso?
«Non dal caso, ma dal fatto che sono popoli nuovi e non vecchi come siamo noi. Molto si sposa a una vitalità che noi non abbiamo più. I nostri best-seller, come le dicevo, raccontano di coppie in crisi, di intellettuali in crisi, di manager in crisi. Paragonata al loro vitalismo sfrenato e sopra le righe, la nostra narrativa di successo descrive la malattia del papà, le turbe del nonno, la piccina traumatizzata. Due stanze con tinello annesso».
Cent’anni di solitudine è solo vitalità?
«È vitalità ma anche stile e capacità di rendere universale un microcosmo. Da noi nessuno ha preso, che so?, il Risorgimento per fare qualcosa di simile. Al massimo ci ha provato Salvator Gotta. Ci occupiamo del divano letto, dei piccoli sintomi della malattia, o dell’interessato scrittore».
Eccesso di autobiografismo?
«Sì, ma in un senso minuscolo. Non vedo nessun Ippolito Nievo in giro».
Il vitalismo si può associare al populismo?
«Perché no. Tanto il populismo è lì un fatto naturale quanto da noi risulta essere un po’ finto».
Alberto Arbasino ad Antonio Gnoli, la Repubblica 29/8/2012
Attorno al più celebre villaggio della letteratura sudamericana, Macondo, si sa, si agitano figure e storie che evocano le vicende della Colombia di García Márquez, guerra civile compresa. Ispirata allo scrittore dal nome di una piantagione del luogo che incrociava spesso nei suoi viaggi in treno da bambino, l’invenzione letteraria sarebbe arrivata, nel 2005, a sostituire il vero toponimo del paese in cui nacque l’autore di Cent’anni di solitudine, Aracataca: omaggio al capolavoro, ma anche alla trovata geniale di un nome dal valore e dal suono fortemente poetico.
Attorno al più celebre villaggio della letteratura sudamericana, Macondo, si sa, si agitano figure e storie che evocano le vicende della Colombia di García Márquez, guerra civile compresa. Ispirata allo scrittore dal nome di una piantagione del luogo che incrociava spesso nei suoi viaggi in treno da bambino, l’invenzione letteraria sarebbe arrivata, nel 2005, a sostituire il vero toponimo del paese in cui nacque l’autore di Cent’anni di solitudine, Aracataca: omaggio al capolavoro, ma anche alla trovata geniale di un nome dal valore e dal suono fortemente poetico.
Paolo Di Stefano, la Lettura (Corriere della Sera) 31/03/2013