La Stampa 27 ottobre 2008, 7 luglio 2014
Tags : John Maynard Keynes
Matrimonio con Lydia Lopokova
La Stampa, 27 ottobre 2008
«Famoso economista sposa ballerina» titolava il London Evening Standard del 4 agosto 1925 e la notizia sembrava ancor più inverosimile del matrimonio tra Marilyn Monroe e Arthur Miller. Inverosimile è stato anche il successo di quel matrimonio. E inverosimile il fatto che un adepto della «triste scienza» dell’economia fosse una «celebrità». Tanto più che il trentanovenne John Maynard Keynes era pubblicamente noto a Cambridge, e tra i suoi amici del Gruppo di Bloomsbury - Lytton Strachey, Virginia e Leonard Woolf, Vanessa Bell, Duncan Grant e tutti gli altri - come omosessuale, «sposato», quando incontrò la futura moglie Lydia Lopokova, con lo psicologo Sebastian Sprott.
Maynard Keynes aveva studiato Economia per un solo semestre. La sua tesi di dottorato era stata sulla «Probabilità», messa in relazione con la relatività di Einstein. Come più tardi, nel 1936, avrebbe presentato una Teoria Generale dell’Occupazione di cui la teoria classica era semplicemente un «caso speciale», così già nel 1908 Keynes sosteneva che «Probabilità» andava considerata «la teoria generale» della logica, della quale la logica deduttiva era il «caso speciale».
Inoltre, se per la generazione dei padri del Gruppo di Bloomsbury Darwin aveva ucciso Dio dimostrando che l’uomo era stato assente per la maggior parte della Creazione, Freud aveva dimostrato loro che l’umanità era inconsapevole del 90 per cento delle sue motivazioni. John Strachey, che aveva tradotto Freud ed era diventato il primo psicoanalista britannico, era stato l’amante di Maynard. E la relazione più importante di Maynard, prima di stupire se stesso fidanzandosi con Lydia, era stata con il cugino di Strachey, il pittore Duncan Grant. Duncan mostrò al grande sistematizzatore Keynes, la cui intelligenza incuteva rispetto a Bertrand Russell, che c’erano altri validi modi di vedere e di pensare. Nel 1925 Duncan fece da testimone di nozze a Maynard e, come c’era da aspettarsi, dimenticò l’anello; Maynard ovviamente ne aveva portato uno di riserva.
Per Keynes quindi la scimmia semi-evoluta di Darwin non era l’homo economicus dell’econometria classica, ma l’homo psychologicus alla mercé del suo Es e degli istinti gregari irrazionali - il flusso di coscienza - del mercato. «Mai comprare un titolo azionario che sembra buono, perché tutti lo faranno», era il consiglio di Keynes, che si arricchì scommettendo contro il mercato, anche se per ben due volte sfiorò il fallimento. «Fu la mancanza di pioggia per far crescere della buona erba per le corse dei cavalli che portò alle scommesse americane alla Borsa di New York. Perciò l’intera industria d’America è un mero sottoprodotto di un casinò», disse Keynes nel 1932 alla Commissione parlamentare, per dimostrare come i fattori marginali influenzino i mercati.
Fu questa serendipità a essere potenziata dal matrimonio di Maynard e Lydia, che erano opposti ma pari: qualcosa che quegli snob intellettuali e sociali del Gruppo di Bloomsbury non potevano capire. Nata nel 1891 a San Pietroburgo, Lydia aveva studiato alla Scuola Imperiale di Ballo e a 18 anni era la prima ballerina dei Ballets Russes di Diaghilev a Parigi, dove danzava con Nijinsky e Massine sulle musiche composte dal suo amante Stravinskji e davanti alle scene dipinte da Picasso. Dopo aver rotto con Diaghilev, guadagnava a New York duemila dollari alla settimana e, nel momento in cui incontrò Maynard, era reclamizzata come «la più grande ballerina del mondo».
Quel che Maynard amava in lei erano le intuizioni bizzarre, fulminanti della sua conversazione, con la sua mente che saettava tra le idee in un peculiarissimo «inglese lidiesco». Fu questo che stimolò Keynes a essere più «poetico» e sperimentale anche nella sua Economia. Così all’improvviso la cosa «sbagliata» diventa la cosa «giusta» da fare in base al contesto. Negli Anni Trenta la virtù vittoriana per eccellenza, la «parsimonia», si trasformò in vizio, mentre le mani bucate divennero la cura keynesiana. «In questo modo si crea lavoro», e lo dimostrò gettando tutti gli asciugamani dell’albergo sul pavimento del bagno. Per Keynes l’economia era il mezzo con cui, attraverso la piena occupazione, tutti avrebbero potuto godere delle possibilità culturali di cui godevano il Gruppo di Bloomsbury e i chiostri di Cambridge.
L’ispiratore di Keynes era un altro accademico di Cambridge: Isaac Newton. Non solo un fisico ma, come Master of the Mint (Mastro della Zecca, ndt) all’epoca della creazione della Banca d’Inghilterra, della Borsa e dei Lloyd’s, anche un economista creativo. Keynes riconobbe in Newton quello che era anche lui: un pensatore laterale, capace di risolvere i problemi in modo istintivo. Nel 1919 aveva proposto una obbligazione europea grazie alla quale la Germania si sarebbe sviluppata mentre pagava agli alleati i danni di guerra. Nessuno lo ascoltò. Nel 1939 dimostrò «come la guerra potrebbe pagarsi da sé». La Teoria Generale e Bretton Wood erano però contrari ai «salti nel buio» come quelli di Newton, che Keynes considerava «l’ultimo dei maghi e non il primo dei razionalisti».
Keynes, come Newton, domina la sua epoca: nelle due guerre mondiali salvò la Gran Bretagna dalla «Dunkerque economica», fu presidente di due compagnie di assicurazione, Pari d’Inghilterra, governatore della Banca d’Inghilterra. Stabilizzò l’economia del dopoguerra. Ancora più importante per lui, fondò l’Arts Council e fu amministratore della National Gallery.
Per Keynes, che per tutta la vita fu un liberale alla Edmund Burke e per religione aveva i Principia Etica di G.E. Moore, «l’economia era un ramo dell’etica». La Teoria Generale pubblicata nel 1936 vedeva la parsimonia come impedimento al rilancio di un’economia della piena occupazione. La nostra attuale cultura spendacciona di indebitamente cronico pubblico e privato e di consumo sfrenato è però contraria alla morale di Keynes, alla sua visione sociale e culturale. Per lui «l’amore del denaro come possesso... è una patologia piuttosto disgustosa, una di quelle inclinazioni semi-criminali e semi-patologiche che si affidano con un brivido agli specialisti di malattie mentali».
La cura di Keynes per la nostra attuale povertà potrebbe venire dalla «repubblica dell’immaginazione» governata da Duncan Grant e Lydia Lopokova. Perché, come Keynes ormai prossimo a morire scrisse nel 1946 all’Arts Council nel mezzo di intensi negoziati a Washington: «Tutti, immagino, riconoscono che il lavoro dell’artista in ogni suo aspetto è, di sua natura, individuale e libero, non disciplinato, non irregimentato, non controllato. L’artista cammina dove lo spinge il soffio dello spirito. Non può mantenere la sua direzione; non la conosce neppure lui. Ma guida tutti noi ai pascoli freschi e ci insegna ad amare e gustare ciò che spesso noi all’inizio rifiutiamo, ampliando la nostra sensibilità e purificando i nostri istinti».
«Famoso economista sposa ballerina» titolava il London Evening Standard del 4 agosto 1925 e la notizia sembrava ancor più inverosimile del matrimonio tra Marilyn Monroe e Arthur Miller. Inverosimile è stato anche il successo di quel matrimonio. E inverosimile il fatto che un adepto della «triste scienza» dell’economia fosse una «celebrità». Tanto più che il trentanovenne John Maynard Keynes era pubblicamente noto a Cambridge, e tra i suoi amici del Gruppo di Bloomsbury - Lytton Strachey, Virginia e Leonard Woolf, Vanessa Bell, Duncan Grant e tutti gli altri - come omosessuale, «sposato», quando incontrò la futura moglie Lydia Lopokova, con lo psicologo Sebastian Sprott.
Maynard Keynes aveva studiato Economia per un solo semestre. La sua tesi di dottorato era stata sulla «Probabilità», messa in relazione con la relatività di Einstein. Come più tardi, nel 1936, avrebbe presentato una Teoria Generale dell’Occupazione di cui la teoria classica era semplicemente un «caso speciale», così già nel 1908 Keynes sosteneva che «Probabilità» andava considerata «la teoria generale» della logica, della quale la logica deduttiva era il «caso speciale».
Inoltre, se per la generazione dei padri del Gruppo di Bloomsbury Darwin aveva ucciso Dio dimostrando che l’uomo era stato assente per la maggior parte della Creazione, Freud aveva dimostrato loro che l’umanità era inconsapevole del 90 per cento delle sue motivazioni. John Strachey, che aveva tradotto Freud ed era diventato il primo psicoanalista britannico, era stato l’amante di Maynard. E la relazione più importante di Maynard, prima di stupire se stesso fidanzandosi con Lydia, era stata con il cugino di Strachey, il pittore Duncan Grant. Duncan mostrò al grande sistematizzatore Keynes, la cui intelligenza incuteva rispetto a Bertrand Russell, che c’erano altri validi modi di vedere e di pensare. Nel 1925 Duncan fece da testimone di nozze a Maynard e, come c’era da aspettarsi, dimenticò l’anello; Maynard ovviamente ne aveva portato uno di riserva.
Per Keynes quindi la scimmia semi-evoluta di Darwin non era l’homo economicus dell’econometria classica, ma l’homo psychologicus alla mercé del suo Es e degli istinti gregari irrazionali - il flusso di coscienza - del mercato. «Mai comprare un titolo azionario che sembra buono, perché tutti lo faranno», era il consiglio di Keynes, che si arricchì scommettendo contro il mercato, anche se per ben due volte sfiorò il fallimento. «Fu la mancanza di pioggia per far crescere della buona erba per le corse dei cavalli che portò alle scommesse americane alla Borsa di New York. Perciò l’intera industria d’America è un mero sottoprodotto di un casinò», disse Keynes nel 1932 alla Commissione parlamentare, per dimostrare come i fattori marginali influenzino i mercati.
Fu questa serendipità a essere potenziata dal matrimonio di Maynard e Lydia, che erano opposti ma pari: qualcosa che quegli snob intellettuali e sociali del Gruppo di Bloomsbury non potevano capire. Nata nel 1891 a San Pietroburgo, Lydia aveva studiato alla Scuola Imperiale di Ballo e a 18 anni era la prima ballerina dei Ballets Russes di Diaghilev a Parigi, dove danzava con Nijinsky e Massine sulle musiche composte dal suo amante Stravinskji e davanti alle scene dipinte da Picasso. Dopo aver rotto con Diaghilev, guadagnava a New York duemila dollari alla settimana e, nel momento in cui incontrò Maynard, era reclamizzata come «la più grande ballerina del mondo».
Quel che Maynard amava in lei erano le intuizioni bizzarre, fulminanti della sua conversazione, con la sua mente che saettava tra le idee in un peculiarissimo «inglese lidiesco». Fu questo che stimolò Keynes a essere più «poetico» e sperimentale anche nella sua Economia. Così all’improvviso la cosa «sbagliata» diventa la cosa «giusta» da fare in base al contesto. Negli Anni Trenta la virtù vittoriana per eccellenza, la «parsimonia», si trasformò in vizio, mentre le mani bucate divennero la cura keynesiana. «In questo modo si crea lavoro», e lo dimostrò gettando tutti gli asciugamani dell’albergo sul pavimento del bagno. Per Keynes l’economia era il mezzo con cui, attraverso la piena occupazione, tutti avrebbero potuto godere delle possibilità culturali di cui godevano il Gruppo di Bloomsbury e i chiostri di Cambridge.
L’ispiratore di Keynes era un altro accademico di Cambridge: Isaac Newton. Non solo un fisico ma, come Master of the Mint (Mastro della Zecca, ndt) all’epoca della creazione della Banca d’Inghilterra, della Borsa e dei Lloyd’s, anche un economista creativo. Keynes riconobbe in Newton quello che era anche lui: un pensatore laterale, capace di risolvere i problemi in modo istintivo. Nel 1919 aveva proposto una obbligazione europea grazie alla quale la Germania si sarebbe sviluppata mentre pagava agli alleati i danni di guerra. Nessuno lo ascoltò. Nel 1939 dimostrò «come la guerra potrebbe pagarsi da sé». La Teoria Generale e Bretton Wood erano però contrari ai «salti nel buio» come quelli di Newton, che Keynes considerava «l’ultimo dei maghi e non il primo dei razionalisti».
Keynes, come Newton, domina la sua epoca: nelle due guerre mondiali salvò la Gran Bretagna dalla «Dunkerque economica», fu presidente di due compagnie di assicurazione, Pari d’Inghilterra, governatore della Banca d’Inghilterra. Stabilizzò l’economia del dopoguerra. Ancora più importante per lui, fondò l’Arts Council e fu amministratore della National Gallery.
Per Keynes, che per tutta la vita fu un liberale alla Edmund Burke e per religione aveva i Principia Etica di G.E. Moore, «l’economia era un ramo dell’etica». La Teoria Generale pubblicata nel 1936 vedeva la parsimonia come impedimento al rilancio di un’economia della piena occupazione. La nostra attuale cultura spendacciona di indebitamente cronico pubblico e privato e di consumo sfrenato è però contraria alla morale di Keynes, alla sua visione sociale e culturale. Per lui «l’amore del denaro come possesso... è una patologia piuttosto disgustosa, una di quelle inclinazioni semi-criminali e semi-patologiche che si affidano con un brivido agli specialisti di malattie mentali».
La cura di Keynes per la nostra attuale povertà potrebbe venire dalla «repubblica dell’immaginazione» governata da Duncan Grant e Lydia Lopokova. Perché, come Keynes ormai prossimo a morire scrisse nel 1946 all’Arts Council nel mezzo di intensi negoziati a Washington: «Tutti, immagino, riconoscono che il lavoro dell’artista in ogni suo aspetto è, di sua natura, individuale e libero, non disciplinato, non irregimentato, non controllato. L’artista cammina dove lo spinge il soffio dello spirito. Non può mantenere la sua direzione; non la conosce neppure lui. Ma guida tutti noi ai pascoli freschi e ci insegna ad amare e gustare ciò che spesso noi all’inizio rifiutiamo, ampliando la nostra sensibilità e purificando i nostri istinti».
Richard Newbury