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 2014  luglio 06 Domenica calendario

Vita e morte del più grande magazine del mondo

La Stampa, 28 marzo 2007
«Sono spiacente di annunciarvi che non produrremo più Life Magazine, dal numero del 20 Aprile 2007». Due righe dell’amministratrice delegata del gruppo Time, Ann Moore, consegnate ieri ai pochi giornalisti sopravvissuti ai tagli di personale, hanno decretato la fine del più grande settimanale del mondo, che era arrivato a distribuire, negli anni migliori, più di 13 milioni di copie. Nei commenti sui blog dei giornalisti americani che sono seguiti all’annuncio, si leggevano tristi battute, tutte incentrate sulla parola Life (vita): «Siamo spiacenti di annunciarvi la scomparsa della Vita», oppure: «Life, che sembrava averne nove, ha perso l’ultima». E un altro ha scritto: «Per maggiori informazioni su Life Magazine, chiedete ai vostri nonni».
Sì, bisogna chiedere ai padri e ai nonni per capire quale importanza abbia avuto nella storia del giornalismo una rivista come Life, la prima interamente di fotografie, che ha dominato il mercato per più di 40 anni e quando è stata chiusa la prima volta, nel 1972, vendeva ancora 5,5 milioni di copie. Mezzo secolo di storia è passato sulle sue copertine, attraverso l’opera di coraggiosi fotoreporter di guerra come Robert Capa, Henri Huet, Alfred Eisenstaedt; o di straordinari ritrattisti come Philippe Halsman e Edward Steichen.
Nato nella sua versione moderna nel 1936, per una intuizione del fondatore di Time, Henry Luce, Life non era un magazine, era uno spettacolo. Negli anni in cui non esisteva ancora la televisione, e giornali e radio erano gli unici strumenti di informazione, mostrava le immagini degli avvenimenti e i volti dei personaggi di cui la gente aveva solo sentito parlare, con una qualità, un rigore e una serietà difficilmente eguagliabili.
Si diceva che quando gli Stati Uniti entravano in guerra, anche Life lo faceva, e sempre dalla parte del proprio paese. Tra i 40 corrispondenti inviati sui campi di battaglia in Europa dal 1941 al 1944, sei erano donne. Tra queste anche Mary Welsh, che sposò lo scrittore Ernest Hemingway, il quale pubblicò proprio su Life il suo romanzo Il vecchio e il mare. L’unico giornalista fotografo presente allo sbarco in Normandia era Robert Capa, che inviò al magazine centinaia di immagini, ma tutte un po’ mosse e sfocate. I redattori scrissero nelle didascalie che a Capa tremavano le mani per le scene apocalittiche che stava riprendendo, altri affermarono che l’effetto era voluto, per rendere l’azione e il movimento dei soldati. La banale verità è che Capa cadde in acqua, rovinando i negativi. Morì in Indocina, nel 1954, saltando su una mina mentre era in servizio per Life.
Nel 1966, un servizio di Henri Huet sull’ufficiale medico Thomas Cole che assisteva i soldati feriti in Vietnam, contribuì non poco alla causa del movimento pacifista: in copertina c’era Cole, a sua volta con la testa fasciata, che assisteva un soldato con gli occhi bendati, entrambi rannicchiati in una disperata trincea piena di fango. In prima pagina non c’era bisogno d’altro, solo un piccolo titolo diceva: «La guerra continua».
Gli anni 60 furono anche quelli delle foto di Marilyn Monroe, dei Kennedy, di Liz Taylor, Sophia Loren e dello sbarco sulla Luna, e segnarono la fine di un’epoca. A differenza dei giornali e settimanali contemporanei che devono affrontare la concorrenza dei new media digitali, Life fu messo in crisi già molti anni fa da quello che ora consideriamo un old media, la televisione. Fu chiuso dal 1972 al 1978, riaprì come un mensile e nel 2000 chiuse di nuovo, per ritornare nel 2004 come settimanale allegato gratuitamente a circa 130 quotidiani. Alla fine dell’anno scorso, era ridotto a una ventina di tristi pagine.
Il destino di Life non poteva restare immune da quello di molte altre pubblicazioni del gruppo al quale apparteneva. A gennaio Time Warner ha licenziato 300 persone e venduto sottocosto 18 riviste minori. Lo stesso Time, un’altra leggenda nel campo dei settimanali, ha subito dure ristrutturazioni. Ora il grande patrimonio fotografico di Life finirà su libri e su Internet, dove milioni di ragazzi potranno consultarlo, magari davvero in compagnia del nonno. In un mondo nel quale tutti possono scattare immagini e diffonderle con un telefonino, vale ancora la pena di vedere come erano le foto quando le scattavano grandi professionisti.
Vittorio Sabadin