Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2010, 4 luglio 2014
Tags : La fanciulla del West
Come nacque La Fanciulla del West
Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2010
Hai scritto tre opere che avrebbero garantito la tua reputazione per secoli: La Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904). Anche se l'ultima era stata segnata da una prima scaligera difficile, tu sapevi benissimo che alla fine ne sarebbe sortita un'opera amata da tutti, come infatti fu. Ma poi? Si trattava dello stesso problema incontrato da Verdi dopo gli anni della trilogia (1850-1853): lui era dovuto andare a Parigi (dove aveva scritto Les Vêpres siciliennes) per cambiare strada.
E dunque, tu, Puccini, cosa avevi fatto? Siamo nel periodo in cui hai cercato intensamente un rapporto artistico con il Poeta d'Italia, Gabriele D'Annunzio. Non fu né la prima volta né l'ultima che hai pensato a questa collaborazione (i tentativi sono stati studiati da Aldo Simeone: Gabriele d'Annunzio Giacomo Puccini: il carteggio recuperato 1894-1922). Il tuo editore milanese, Ricordi (sia Giulio sia il suo figlio Tito), voleva questa collaborazione, anche se le richieste economiche di d'Annunzio erano oltraggiose. Ma non fu per questo che la collaborazione non andò avanti. La differenza artistica era troppo grande. Tu volevi soprattutto un canto «che prenda possesso degli ascoltatori per i fatti dolorosi e amorosi i quali logicamente vivano e palpitino in una aureola di poesia di vita più che di sogno». D'Annunzio, invece, aveva le sue idee sulla funzione della poesia nell'opera lirica. Come tu dicevi all'amica inglese, Sybil Seligman: «D'Annunzio ha partorito una piccola, informe mostruosità, incapace di camminare o vivere!». E non sarebbe stato possibile con lui richiedere tante modifiche, come era la tua prassi.
Dunque eri proprio in alto mare. A questo punto venne l'idea di trattare un dramma di David Belasco, The Girl of the Golden West. L'avevi conosciuto a New York, dove eri andato nel gennaio del 1907, per supervisionare le prime americane di Manon
Lescaut e Madama Butterfly al Metropolitan Opera e dove avevi stabilito un rapporto ottimo col teatro. Questo rapporto ti avrebbe portato il 10 dicembre 1910, quasi quattro anni dopo, alla prima assoluta della Fanciulla del West. Il teatro in quel momento era guidato dagli italiani: Giulio Gatti-Casazza sovrintendente, e direttore principale Arturo Toscanini. Ed era sostenuto da cantanti come il tenore Enrico Caruso. Ma per arrivare lì erano necessari molti passi. Durante questo primo soggiorno a New York sei andato a vedere il nuovo dramma di Belasco (anche non conoscendo bene l'inglese), ma la tua opinione non era del tutto positiva, come hai scritto a Tito il 18 febbraio: «Tutto il mondo aspetta da me l'opera e ce n'è bisogno proprio. Ora basta con la Bohème, Butterfly e compagnia; anch'io ne ho sopra i capelli... Anche qui ho cercato di trovare soggetti, ma non c'è nulla di possibile o meglio di completo. Buoni accenni ne ho trovati in Belasco, ma niente di chiuso, di solido, di completo. L'ambiente del West mi piace, ma in tutte le "pièces" che ho visto ho trovato solo qualche scena qua e là». L'idea di quest'azione teatrale, tuttavia, ti stava ormai nel cuore. Hai chiesto a Belasco una copia del testo, dicendolo che con «qualche modifica» sarebbe potuta diventare il soggetto di un'opera lirica. Ma nulla era deciso il 4 aprile 1907, quando scrivevi a Giulio Ricordi: «Ricevo giornalmente schemi e libretti, tutta roba da rigattieri».
Hai incontrato soltanto nella primavera del 1907 Carlo Zangarini, giornalista bolognese e poeta, che parlava bene l'inglese e che aveva la madre di Colorado (cioè del "West"). Con una traduzione del dramma in mano, grazie alla Seligman, hai cominciato un fitto scambio di lettere con Zangarini.
La tua parte fu ritrovata e pubblicata nel 2005 nel libro di Annie J. Randall e Rosalind Gray Davis Puccini and The Girl . Quante modifiche nel dramma volevi per arrivare a un libretto, ma Zangarini fu pronto ad accontentarti. Il 26 agosto 1907 hai dichiarato a Giulio: «Ci siamo! La Girl promette di diventare una seconda Bohème, ma più forte, più ardita e più ampia». E il 27 dello stesso mese hai informato Zangarini, «sempre più la malattia californiana mi prende».
Ma il lavoro rallentava. Hai steso tanti abbozzi musicali, ma non sono stati ancora studiati a fondo. E se non bastava il problema estetico, a prenderti tempo, ci voleva poi l'orrenda storia con la cameriera Doria Manfredi, che stava iniziando, con la gelosia di tua moglie, Elvira, e poi il suicidio della Doria e la causa contro Elvira. Per quasi un anno tu non pensavi ad altro e soltanto nell'estate del 1909 decidevi di terminare l'opera. A quel punto, c'era ancora molto lavoro da fare. Soltanto nel giugno 1910 fu preparato il contratto col Metropolitan, dove si specificava il giorno della prima, il tuo compenso e soprattutto la tua presenza per quattro settimane a New York per montare lo spettacolo. Il 28 luglio informavi il tuo editore: «L'opera è finita». Stavi ancora ritoccando la partitura e dunque di nuovo scrivevi il 15 agosto alla Seligman, «Ebben: la Fanciulla è finalmente terminata ».
Anche a New York c'era tanto da fare: lo stesso Belasco ha partecipato alla mise-en-scène. La tua opera è pienamente riuscita, ma non fu mai popolare. Gli americani non volevano vedersi come popolo esotico, come i giapponesi della Butterfly. Poi, l'uso di melodie popolari americane, con un vocabolario armonico più sofisticato e una strumentazione ricercata, non piacevano a tutti. Il pubblico, conservatore, voleva il lirismo pucciniano che conosceva già. Ma tu volevi andare oltre. E così forse solo oggi, dopo cento anni, siamo noi che finalmente possiamo riconoscere nei tuoi Minnie e Jack i figli degni di Mimì e Rodolfo, di Tosca e Cavaradossi.
Hai scritto tre opere che avrebbero garantito la tua reputazione per secoli: La Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904). Anche se l'ultima era stata segnata da una prima scaligera difficile, tu sapevi benissimo che alla fine ne sarebbe sortita un'opera amata da tutti, come infatti fu. Ma poi? Si trattava dello stesso problema incontrato da Verdi dopo gli anni della trilogia (1850-1853): lui era dovuto andare a Parigi (dove aveva scritto Les Vêpres siciliennes) per cambiare strada.
E dunque, tu, Puccini, cosa avevi fatto? Siamo nel periodo in cui hai cercato intensamente un rapporto artistico con il Poeta d'Italia, Gabriele D'Annunzio. Non fu né la prima volta né l'ultima che hai pensato a questa collaborazione (i tentativi sono stati studiati da Aldo Simeone: Gabriele d'Annunzio Giacomo Puccini: il carteggio recuperato 1894-1922). Il tuo editore milanese, Ricordi (sia Giulio sia il suo figlio Tito), voleva questa collaborazione, anche se le richieste economiche di d'Annunzio erano oltraggiose. Ma non fu per questo che la collaborazione non andò avanti. La differenza artistica era troppo grande. Tu volevi soprattutto un canto «che prenda possesso degli ascoltatori per i fatti dolorosi e amorosi i quali logicamente vivano e palpitino in una aureola di poesia di vita più che di sogno». D'Annunzio, invece, aveva le sue idee sulla funzione della poesia nell'opera lirica. Come tu dicevi all'amica inglese, Sybil Seligman: «D'Annunzio ha partorito una piccola, informe mostruosità, incapace di camminare o vivere!». E non sarebbe stato possibile con lui richiedere tante modifiche, come era la tua prassi.
Dunque eri proprio in alto mare. A questo punto venne l'idea di trattare un dramma di David Belasco, The Girl of the Golden West. L'avevi conosciuto a New York, dove eri andato nel gennaio del 1907, per supervisionare le prime americane di Manon
Lescaut e Madama Butterfly al Metropolitan Opera e dove avevi stabilito un rapporto ottimo col teatro. Questo rapporto ti avrebbe portato il 10 dicembre 1910, quasi quattro anni dopo, alla prima assoluta della Fanciulla del West. Il teatro in quel momento era guidato dagli italiani: Giulio Gatti-Casazza sovrintendente, e direttore principale Arturo Toscanini. Ed era sostenuto da cantanti come il tenore Enrico Caruso. Ma per arrivare lì erano necessari molti passi. Durante questo primo soggiorno a New York sei andato a vedere il nuovo dramma di Belasco (anche non conoscendo bene l'inglese), ma la tua opinione non era del tutto positiva, come hai scritto a Tito il 18 febbraio: «Tutto il mondo aspetta da me l'opera e ce n'è bisogno proprio. Ora basta con la Bohème, Butterfly e compagnia; anch'io ne ho sopra i capelli... Anche qui ho cercato di trovare soggetti, ma non c'è nulla di possibile o meglio di completo. Buoni accenni ne ho trovati in Belasco, ma niente di chiuso, di solido, di completo. L'ambiente del West mi piace, ma in tutte le "pièces" che ho visto ho trovato solo qualche scena qua e là». L'idea di quest'azione teatrale, tuttavia, ti stava ormai nel cuore. Hai chiesto a Belasco una copia del testo, dicendolo che con «qualche modifica» sarebbe potuta diventare il soggetto di un'opera lirica. Ma nulla era deciso il 4 aprile 1907, quando scrivevi a Giulio Ricordi: «Ricevo giornalmente schemi e libretti, tutta roba da rigattieri».
Hai incontrato soltanto nella primavera del 1907 Carlo Zangarini, giornalista bolognese e poeta, che parlava bene l'inglese e che aveva la madre di Colorado (cioè del "West"). Con una traduzione del dramma in mano, grazie alla Seligman, hai cominciato un fitto scambio di lettere con Zangarini.
La tua parte fu ritrovata e pubblicata nel 2005 nel libro di Annie J. Randall e Rosalind Gray Davis Puccini and The Girl . Quante modifiche nel dramma volevi per arrivare a un libretto, ma Zangarini fu pronto ad accontentarti. Il 26 agosto 1907 hai dichiarato a Giulio: «Ci siamo! La Girl promette di diventare una seconda Bohème, ma più forte, più ardita e più ampia». E il 27 dello stesso mese hai informato Zangarini, «sempre più la malattia californiana mi prende».
Ma il lavoro rallentava. Hai steso tanti abbozzi musicali, ma non sono stati ancora studiati a fondo. E se non bastava il problema estetico, a prenderti tempo, ci voleva poi l'orrenda storia con la cameriera Doria Manfredi, che stava iniziando, con la gelosia di tua moglie, Elvira, e poi il suicidio della Doria e la causa contro Elvira. Per quasi un anno tu non pensavi ad altro e soltanto nell'estate del 1909 decidevi di terminare l'opera. A quel punto, c'era ancora molto lavoro da fare. Soltanto nel giugno 1910 fu preparato il contratto col Metropolitan, dove si specificava il giorno della prima, il tuo compenso e soprattutto la tua presenza per quattro settimane a New York per montare lo spettacolo. Il 28 luglio informavi il tuo editore: «L'opera è finita». Stavi ancora ritoccando la partitura e dunque di nuovo scrivevi il 15 agosto alla Seligman, «Ebben: la Fanciulla è finalmente terminata ».
Anche a New York c'era tanto da fare: lo stesso Belasco ha partecipato alla mise-en-scène. La tua opera è pienamente riuscita, ma non fu mai popolare. Gli americani non volevano vedersi come popolo esotico, come i giapponesi della Butterfly. Poi, l'uso di melodie popolari americane, con un vocabolario armonico più sofisticato e una strumentazione ricercata, non piacevano a tutti. Il pubblico, conservatore, voleva il lirismo pucciniano che conosceva già. Ma tu volevi andare oltre. E così forse solo oggi, dopo cento anni, siamo noi che finalmente possiamo riconoscere nei tuoi Minnie e Jack i figli degni di Mimì e Rodolfo, di Tosca e Cavaradossi.
Philip Gosset