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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

Un lettore difende Puccini dopo il fiasco di Madama Butterfly

Corriere della Sera, 18 febbraio 1904
Egregio signor direttore,
Non so s’ella crederà opportuno pubblicare questa mia lettera; tant’è, io la scrivo quasi a mio sfogo personale, a sollievo della irritazione con la quale sono uscito iersera dalla Scala. Io non sono critico, né musicista [...]. Ma c’è una cosa della quale mi sento competente, ed è l’educazione. Ora, mi permetta, iersera sul palcoscenico si avrà avuta un’opera più o meno degna di applausi; in platea però so benissimo che non si è avuta nessuna cortesia. Questo Giacomo Puccini era fino a poche ore prima che si alzasse la tela l’idolo del pubblico; le sue melodie sono facilmente in tutte le orecchie e su tutte le bocche, la sua popolarità è fatta di simpatia. Pure, è bastato che egli abbia dato un’opera nuova, che quest’opera non sia tutta piaciuta, perché il prediletto sia diventato poco meno che un delinquente.
Iersera gli si è data la caccia con un furore selvaggio: si è travolto nel giudizio ogni sorta di elementi estranei e disturbatori per colpire l’opera e l’autore. Perché? Ma tutta questa gente non sbaglia mai? Penso che in teatro ci saranno stati affaristi che prevedono male un affare, avvocati che perdono delle cause, ingegneri che sbagliano dei calcoli. Se a ogni errore di costoro sorgesse una consimile ira punitrice? [...] la storia del teatro è così piena di sentenze sbagliate, rettificate poi dal tempo, che a me sembra che ognuno di noi recandosi a dar giudizio di un’opera nuova dovrebbe proporsi per onestà e per un senso di gentile solidarietà umana, una calma, una intensità di attenzione austerissime.
Iersera niente di tutto ciò. È bastato che si gonfiasse un poco nel camminare la veste della signorina Storchio perché scoppiasse un urlo. E quest’urlo, che mi permetto di chiamare stupido, contribuiva a scaldare di malevolenza e di astio la sala. Di astio, sì. Io ero nell’atrio in fondo alla sala, e ho assistito a scene disgustose. C’era della gente che a ogni tentativo di applauso aveva sulla faccia una espressione di atroce sofferenza.
Ah, quel piccolo atrio sordo e ardente in fondo al teatro, che sentina di rancori! Là non si ascolta l’opera: si dice male a priori, si rugge continuamente, e poi si salta addosso con i denti all’applauso. [...] Perché non lo tengono vuoto quell’atrio scortesissimo almeno nelle première? Dovrebbe servire per chi va nelle poltrone, invece vi si addensa tanta prepotenza che chi passa per recarsi al suo posto è fatto segno a sgarbatezze continue. [...].