Corriere della Sera, 27 febbraio 2006, 3 luglio 2014
Tags : Jovanka Broz (moglie e vedova di Tito)
La battaglia contro la miseria
Corriere della Sera, 27 febbraio 2006
Belgrado. Da pochi giorni il riscaldamento ha ripreso finalmente a funzionare in un piccolo appartamento statale di Dedinje, al 65 di Bulevar Mira, zona residenziale di Belgrado. E un gruppo di operai sta studiando come bloccare le infiltrazioni di umidità e di pioggia dal tetto. una notizia, perché sotto quel tetto malconcio vive la «prima vedova» di Jugoslavia: Jovanka Broz, 81 anni, per 28 moglie di Tito. L'ultima.
«Ma non era morta tanto tempo fa?» hanno chiesto, sorpresi, funzionari di governo trenta-quarantenni ai giornalisti che chiedevano spiegazioni sull'infelice declino della «Signora Tito». No, l'ottantenne Jovanka, considerata un tempo una delle tre donne più belle nella storia dell'umanità, dopo Nefertiti e Marilyn Monroe, non è morta. sopravvissuta, senza clamori e senza denaro, all'insofferenza dei successori del marito che poco dopo la morte del presidente, il 4 maggio 1980, l'hanno relegata in una cadente casa di proprietà pubblica, attrezzata con il minimo indispensabile. Come una qualunque pensionata senza diritti. Proprio lei, che per oltre un quarto di secolo si era occupata, senza risparmio di energie e di soldi, delle quaranta residenze del consorte sparse per la Jugoslavia. Proprio lei che, appena ventottenne, aveva accettato di sposare l'uomo più potente del Paese, giunto al suo sessantesimo compleanno e al suo terzo o quarto matrimonio.
Un'altra, al suo posto, avrebbe finito per regolare i conti, in banca e in piazza, vendendo a caro prezzo dettagliate memorie. Ma Jovanka, come sanno bene i giornalisti e gli editori locali, è una vedova di ferro: non parla, non apre la porta e nemmeno la posta. Di giorno pulisce la casa, stira e si cucina il pranzo. protetta da tre guardie del corpo che, a turno, vanno a farle la spesa e vegliano sulle sue serate solitarie e, per anni, anche piuttosto gelide. Riceve soltanto la sorella e un paio di nipoti.
«All'inizio la signora Broz temeva di mettere in pericolo la sua vita, se avesse svelato segreti e retroscena dei suoi anni con Tito - considera Toma Fila, il suo avvocato -. Ma adesso tutto ciò che vuole è ritrovare i suoi ricordi, le foto, le lettere, i cimeli del marito». Non è un semplice desiderio né un desiderio semplice: da oltre vent'anni, a differenza dei due figli che Tito ha avuto da nozze precedenti, Jovanka si batte senza tregua nei tribunali per quelli che considera beni personali. A complicare la vertenza c'è una legge, varata poco dopo i funerali solenni del consorte, in base alla quale tutto quanto appartenuto a Tito spetta allo Stato: la «legge Jovanka», come la definisce il suo legale.
Di più, furono stilati quattro inventari delle proprietà del defunto presidente e il quarto elenco comprendeva il 90 per cento degli oggetti, anche di uso comune, passati per le storiche mani, destinati alla nazionalizzazione ma poi scomparsi. A moglie e figli toccavano un po' di abiti e alcuni fucili da caccia. Jovanka, del resto, non godeva più delle simpatie dello staff del marito già tre anni prima che lui morisse, quando il vecchio presidente era stato di fatto esautorato dei suoi poteri. La volitiva consorte era stata confinata agli arresti domiciliari, lontana da lui, con l'accusa di complottare contro il governo.
Riapparve in pubblico ai funerali di Tito, per evitare interrogativi imbarazzanti tra i cento capi di Stato invitati alla cerimonia. Ma il giorno dopo aveva perso di nuovo tutte le prerogative che il marito aveva invano cercato di conservarle nelle sue ultime, non scritte, volontà. I palazzi in cui aveva vissuto, con tutti gli arredi, le scuderie, i preziosi doni ricevuti durante i viaggi ufficiali e da ospiti di rango, scomparvero per sempre dai suoi orizzonti. Era finita, ma Jovanka non si è mai arresa, anche se il patrimonio personale di Tito ha un valore più storico che finanziario, e la popolarità dell'ex capo partigiano era in declino già negli anni '80: «Devono restituirmi almeno i vestiti, i telegrammi di condoglianze per la sua morte, le sue lettere, le nostre foto - reclamava lei all'avvocato, che è riuscito a farle assegnare almeno una pensione -, si sono presi anche i beni provenienti dalla mia famiglia». Una causa persa, se l'oblio calato su Jovanka non l'avesse spinta quasi all'indigenza. La pratica è arrivata sul tavolo del ministro dei diritti umani e delle minoranze, Rasim Ljajic: «La sua situazione era una vergogna nazionale - ha riconosciuto Ljajic -, la signora Broz viveva in condizioni catastrofiche e bisognava correre ai ripari». Il tetto sarà sistemato, i termosifoni ora funzionano, ma di eredità non si parla.
Belgrado. Da pochi giorni il riscaldamento ha ripreso finalmente a funzionare in un piccolo appartamento statale di Dedinje, al 65 di Bulevar Mira, zona residenziale di Belgrado. E un gruppo di operai sta studiando come bloccare le infiltrazioni di umidità e di pioggia dal tetto. una notizia, perché sotto quel tetto malconcio vive la «prima vedova» di Jugoslavia: Jovanka Broz, 81 anni, per 28 moglie di Tito. L'ultima.
«Ma non era morta tanto tempo fa?» hanno chiesto, sorpresi, funzionari di governo trenta-quarantenni ai giornalisti che chiedevano spiegazioni sull'infelice declino della «Signora Tito». No, l'ottantenne Jovanka, considerata un tempo una delle tre donne più belle nella storia dell'umanità, dopo Nefertiti e Marilyn Monroe, non è morta. sopravvissuta, senza clamori e senza denaro, all'insofferenza dei successori del marito che poco dopo la morte del presidente, il 4 maggio 1980, l'hanno relegata in una cadente casa di proprietà pubblica, attrezzata con il minimo indispensabile. Come una qualunque pensionata senza diritti. Proprio lei, che per oltre un quarto di secolo si era occupata, senza risparmio di energie e di soldi, delle quaranta residenze del consorte sparse per la Jugoslavia. Proprio lei che, appena ventottenne, aveva accettato di sposare l'uomo più potente del Paese, giunto al suo sessantesimo compleanno e al suo terzo o quarto matrimonio.
Un'altra, al suo posto, avrebbe finito per regolare i conti, in banca e in piazza, vendendo a caro prezzo dettagliate memorie. Ma Jovanka, come sanno bene i giornalisti e gli editori locali, è una vedova di ferro: non parla, non apre la porta e nemmeno la posta. Di giorno pulisce la casa, stira e si cucina il pranzo. protetta da tre guardie del corpo che, a turno, vanno a farle la spesa e vegliano sulle sue serate solitarie e, per anni, anche piuttosto gelide. Riceve soltanto la sorella e un paio di nipoti.
«All'inizio la signora Broz temeva di mettere in pericolo la sua vita, se avesse svelato segreti e retroscena dei suoi anni con Tito - considera Toma Fila, il suo avvocato -. Ma adesso tutto ciò che vuole è ritrovare i suoi ricordi, le foto, le lettere, i cimeli del marito». Non è un semplice desiderio né un desiderio semplice: da oltre vent'anni, a differenza dei due figli che Tito ha avuto da nozze precedenti, Jovanka si batte senza tregua nei tribunali per quelli che considera beni personali. A complicare la vertenza c'è una legge, varata poco dopo i funerali solenni del consorte, in base alla quale tutto quanto appartenuto a Tito spetta allo Stato: la «legge Jovanka», come la definisce il suo legale.
Di più, furono stilati quattro inventari delle proprietà del defunto presidente e il quarto elenco comprendeva il 90 per cento degli oggetti, anche di uso comune, passati per le storiche mani, destinati alla nazionalizzazione ma poi scomparsi. A moglie e figli toccavano un po' di abiti e alcuni fucili da caccia. Jovanka, del resto, non godeva più delle simpatie dello staff del marito già tre anni prima che lui morisse, quando il vecchio presidente era stato di fatto esautorato dei suoi poteri. La volitiva consorte era stata confinata agli arresti domiciliari, lontana da lui, con l'accusa di complottare contro il governo.
Riapparve in pubblico ai funerali di Tito, per evitare interrogativi imbarazzanti tra i cento capi di Stato invitati alla cerimonia. Ma il giorno dopo aveva perso di nuovo tutte le prerogative che il marito aveva invano cercato di conservarle nelle sue ultime, non scritte, volontà. I palazzi in cui aveva vissuto, con tutti gli arredi, le scuderie, i preziosi doni ricevuti durante i viaggi ufficiali e da ospiti di rango, scomparvero per sempre dai suoi orizzonti. Era finita, ma Jovanka non si è mai arresa, anche se il patrimonio personale di Tito ha un valore più storico che finanziario, e la popolarità dell'ex capo partigiano era in declino già negli anni '80: «Devono restituirmi almeno i vestiti, i telegrammi di condoglianze per la sua morte, le sue lettere, le nostre foto - reclamava lei all'avvocato, che è riuscito a farle assegnare almeno una pensione -, si sono presi anche i beni provenienti dalla mia famiglia». Una causa persa, se l'oblio calato su Jovanka non l'avesse spinta quasi all'indigenza. La pratica è arrivata sul tavolo del ministro dei diritti umani e delle minoranze, Rasim Ljajic: «La sua situazione era una vergogna nazionale - ha riconosciuto Ljajic -, la signora Broz viveva in condizioni catastrofiche e bisognava correre ai ripari». Il tetto sarà sistemato, i termosifoni ora funzionano, ma di eredità non si parla.
Elisabetta Rosaspina