La Stampa, lunedì 7 ottobre 2005, 3 luglio 2014
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Il purosangue italiano Ribot vince inaspettatamente l’Arc de Triomphe
La Stampa, lunedì 7 ottobre 2005
Il 9 ottobre di 50 anni fa gli italiani sbancarono Parigi. Chirac e Berlusconi, probabilmente, non se lo sono ricordati, presi com'erano ad abbracciarsi e a riscoprire che Francia e Italia sono "sorelle latine". Avevano altro di che parlare, in questi giorni. Ma allora lo schiaffo che les italiens mollarono alle gote della Parigi altezzosa fu davvero sonoro. E inaspettato. Il tutto avvenne con la complicità di un cavallo che portava il nome di un mediocre pittore francese. Ad aumentare la beffa.
Il quadrupede delle meraviglie si chiamava Ribot. Aveva 3 anni. E quel 9 ottobre dominò l'Arc de Triomphe, la più prestigiosa delle corse. Il purosangue italico aveva vinto tutte le corse della sua ancor breve carriera. Ma gli allibratori non lo consideravano granché, quotandolo 10 contro 1. Per gli intenditori, un segnale di sufficienza. Per gli scommettitori mossi da orgoglio nazionale, una ghiotta occasione di fare quattrini. Ribot, considerato una specie di "brutto anatroccolo", divenne in pochi mesi un eroe, simbolo di un paese che aveva voglia di ricominciare a galoppare dopo le devastazioni della guerra.
Ribot era nato da mamma Rovanella e papà Tenerani (scultore), due buoni cavalli, non certo regali. " piccolo e mogio" disse Enrico Camici, il fantino che lo montò nei suoi migliori trionfi. " un cavallino senza peso" diagnosticò il suo allevatore Federico Tesio. Ma nonostante dubbi e detrazioni, il giovane Ribot debuttò con una vittoria a San Siro, e vinse ogni gara che galoppò prima del leggendario Arc de Triomphe. E finì imbattuto, 16 trionfi su 16 corse, (morì a vent'anni, nel '72), come pochi altri purosangue avevano fatto nella storia, tipo Eclipse che nel '700 vinse 19 su 19, e Ormonde, nell'800, 16 su 16.
Tarchiato, non particolarmente attraente, Ribot galoppava in modo strambo, quasi squilibrato, perché nella primavera del '55 aveva subito un piccolo incidente all'anteriore. Eppure muoveva le zampe più veloce d'ogni altro. E così quando fu l'ora di partecipare all'Arc de Triomphe molti italiani spaccarono i salvadanai e si spinsero con ogni mezzo verso Parigi per sostenere il destriero nazionale e far fortuna. La fede nei miracoli, in fondo, è stata sempre molto forte nel Mediterraneo.
La Francia non viveva giorni di pace. Era in piena crisi coloniale. Stava per concedere l'indipendenza al Marocco e impelagarsi nella guerra d'Algeria. Due decisioni accompagnate da stragi, attentati, sgozzamenti (nulla di nuovo, insomma). I riservisti di un reggimento della contraerea a Rouen s'erano addirittura ammutinati rifiutandosi di partire per il Nordafrica. Ma la domenica 9 ottobre tutto si placò qualche ora per l'Arc de Triomphe, classica corsa abbinata alla lotteria nazionale e nirvana degli scommettitori. Ribot partì in sedicesima posizione. Rimontò con prepotenza fino ad essere secondo e poi staccare tutti nella dirittura finale, ostacolato dall'altezzoso Hidalgo che correva solitario perché aveva sbalzato il suo fantino strada facendo. La vittoria fruttò 55 milioni di lire alla pregiata scuderia italiana Razza Dormello Olgiata e centinaia di milioni agli scommettitori nostrani che s'erano fidati di lui.
Come per la conquista del K2, sfida di fatica estrema, l'Italia dimostrava di nuovo al mondo di esserci. Capace di vincere contro pronostici e scetticismi sprezzanti. Il paese, in effetti, si stava preparando al boom. Era ancora cencioso, poverissimo, arretrato, bruttarello come Ribot, ma pronto a ripartire. Proprio nel '55 la Fiat aveva lanciato la 600, piccola, economica, morbida nelle forme, alla portata di tutti, simbolo del nuovo benessere e dell'operosità industriale. La dolce vita non era ancora stata celebrata, ma già vibrava sotto la pelle del nuovo paese con la sua miscela di euforia e malinconia. Il piccolo grande cavallo diventava proverbiale, "son mica Ribot" si diceva nel linguaggio comune quando l'impresa pareva impossibile.
I giovani italiani oscillavano tra il selvaggio Marlon Brando e la gioventù bruciata di James Dean (che quell'anno morì schiantato), finivano, però, col somigliare a Nando Moriconi, il Sordi di un Americano a Roma del geniale Steno. Il '55 era un anno in cui la modernità gettava radici. Prima sfilata di Christian Dior a Parigi; primo computer a transistor; prima Disneyland; primo McDonalds; prima lavastoviglie; Marilyn Monroe con la sua gonnellina svolazzante e gli intimi in frigorifero dimostrava che d'estate Quando la moglie è in vacanza tutto può succedere. E tutto poteva succedere nel mondo rigidamente diviso in due, con i paesi dell'Est europeo che firmavano a Varsavia un patto con Mosca per proteggere il comunismo, con sette milioni di soldati in Europa. L'America rintuzzava da par suo. E nell'anno di Ribot, una efficiente organizzazione si recò a Berlino Ovest e attaccò un milione di volantini anticomunisti a palloncini e li spedì nel blocco orientale, sicura che la democrazia si esportava anche con la pubblicità.
L'Italia, saldamente in mano alla Dc, coglieva un'altra importante affermazione internazionale nel '55: veniva ammessa a pieno diritto nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dopo che il veto dell'Urss era caduto. Ma il paese reale, di nuovo fiducioso, ambiva a piccole vittorie anche quotidiane. Anche se non erano trionfi veri e propri, ma semplici furberie per tirare a campare un po' meglio, andava benissimo. Una mano venne dalla tv, il nuovo elettrodomestico facile, suadente, pericoloso. Quell'anno il popolo fu stregato da due programmi d'evasione. Il primo era Duecento al secondo, inventato da Garinei e Giovannini, condotto da Mario Riva. Volenterosi concorrenti, per soldi, erano disposti a farsi lanciare in faccia secchiate d'acqua o torte cremose. Una parte del paese si sganasciava dalle risa. Un'altra s'indignava, pensando che così s'avviliva la dignità umana. Il secondo, che divenne una febbre nazionale, andava in onda il sabato sera: Lascia o raddoppia? La trasmissione a quiz, importata dall'America, era condotta dall'americanizzante Mike Bongiorno, circondato da vallette mutissime. Rispondendo ad ardue domande, i concorrenti potevano guadagnare un sacco di soldi. E chiunque poteva diventare un vincente. Come Ribot. Il cavallo si preparava a trionfare, anche l'anno successivo, ad Ascot, di fronte alla regina d'Inghilterra. Gli esseri umani, a consegnarsi ilari e felici alla dittatura del piccolo schermo, come manichini da inzaccherare o come geni mnemonici.
Il 9 ottobre di 50 anni fa gli italiani sbancarono Parigi. Chirac e Berlusconi, probabilmente, non se lo sono ricordati, presi com'erano ad abbracciarsi e a riscoprire che Francia e Italia sono "sorelle latine". Avevano altro di che parlare, in questi giorni. Ma allora lo schiaffo che les italiens mollarono alle gote della Parigi altezzosa fu davvero sonoro. E inaspettato. Il tutto avvenne con la complicità di un cavallo che portava il nome di un mediocre pittore francese. Ad aumentare la beffa.
Il quadrupede delle meraviglie si chiamava Ribot. Aveva 3 anni. E quel 9 ottobre dominò l'Arc de Triomphe, la più prestigiosa delle corse. Il purosangue italico aveva vinto tutte le corse della sua ancor breve carriera. Ma gli allibratori non lo consideravano granché, quotandolo 10 contro 1. Per gli intenditori, un segnale di sufficienza. Per gli scommettitori mossi da orgoglio nazionale, una ghiotta occasione di fare quattrini. Ribot, considerato una specie di "brutto anatroccolo", divenne in pochi mesi un eroe, simbolo di un paese che aveva voglia di ricominciare a galoppare dopo le devastazioni della guerra.
Ribot era nato da mamma Rovanella e papà Tenerani (scultore), due buoni cavalli, non certo regali. " piccolo e mogio" disse Enrico Camici, il fantino che lo montò nei suoi migliori trionfi. " un cavallino senza peso" diagnosticò il suo allevatore Federico Tesio. Ma nonostante dubbi e detrazioni, il giovane Ribot debuttò con una vittoria a San Siro, e vinse ogni gara che galoppò prima del leggendario Arc de Triomphe. E finì imbattuto, 16 trionfi su 16 corse, (morì a vent'anni, nel '72), come pochi altri purosangue avevano fatto nella storia, tipo Eclipse che nel '700 vinse 19 su 19, e Ormonde, nell'800, 16 su 16.
Tarchiato, non particolarmente attraente, Ribot galoppava in modo strambo, quasi squilibrato, perché nella primavera del '55 aveva subito un piccolo incidente all'anteriore. Eppure muoveva le zampe più veloce d'ogni altro. E così quando fu l'ora di partecipare all'Arc de Triomphe molti italiani spaccarono i salvadanai e si spinsero con ogni mezzo verso Parigi per sostenere il destriero nazionale e far fortuna. La fede nei miracoli, in fondo, è stata sempre molto forte nel Mediterraneo.
La Francia non viveva giorni di pace. Era in piena crisi coloniale. Stava per concedere l'indipendenza al Marocco e impelagarsi nella guerra d'Algeria. Due decisioni accompagnate da stragi, attentati, sgozzamenti (nulla di nuovo, insomma). I riservisti di un reggimento della contraerea a Rouen s'erano addirittura ammutinati rifiutandosi di partire per il Nordafrica. Ma la domenica 9 ottobre tutto si placò qualche ora per l'Arc de Triomphe, classica corsa abbinata alla lotteria nazionale e nirvana degli scommettitori. Ribot partì in sedicesima posizione. Rimontò con prepotenza fino ad essere secondo e poi staccare tutti nella dirittura finale, ostacolato dall'altezzoso Hidalgo che correva solitario perché aveva sbalzato il suo fantino strada facendo. La vittoria fruttò 55 milioni di lire alla pregiata scuderia italiana Razza Dormello Olgiata e centinaia di milioni agli scommettitori nostrani che s'erano fidati di lui.
Come per la conquista del K2, sfida di fatica estrema, l'Italia dimostrava di nuovo al mondo di esserci. Capace di vincere contro pronostici e scetticismi sprezzanti. Il paese, in effetti, si stava preparando al boom. Era ancora cencioso, poverissimo, arretrato, bruttarello come Ribot, ma pronto a ripartire. Proprio nel '55 la Fiat aveva lanciato la 600, piccola, economica, morbida nelle forme, alla portata di tutti, simbolo del nuovo benessere e dell'operosità industriale. La dolce vita non era ancora stata celebrata, ma già vibrava sotto la pelle del nuovo paese con la sua miscela di euforia e malinconia. Il piccolo grande cavallo diventava proverbiale, "son mica Ribot" si diceva nel linguaggio comune quando l'impresa pareva impossibile.
I giovani italiani oscillavano tra il selvaggio Marlon Brando e la gioventù bruciata di James Dean (che quell'anno morì schiantato), finivano, però, col somigliare a Nando Moriconi, il Sordi di un Americano a Roma del geniale Steno. Il '55 era un anno in cui la modernità gettava radici. Prima sfilata di Christian Dior a Parigi; primo computer a transistor; prima Disneyland; primo McDonalds; prima lavastoviglie; Marilyn Monroe con la sua gonnellina svolazzante e gli intimi in frigorifero dimostrava che d'estate Quando la moglie è in vacanza tutto può succedere. E tutto poteva succedere nel mondo rigidamente diviso in due, con i paesi dell'Est europeo che firmavano a Varsavia un patto con Mosca per proteggere il comunismo, con sette milioni di soldati in Europa. L'America rintuzzava da par suo. E nell'anno di Ribot, una efficiente organizzazione si recò a Berlino Ovest e attaccò un milione di volantini anticomunisti a palloncini e li spedì nel blocco orientale, sicura che la democrazia si esportava anche con la pubblicità.
L'Italia, saldamente in mano alla Dc, coglieva un'altra importante affermazione internazionale nel '55: veniva ammessa a pieno diritto nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dopo che il veto dell'Urss era caduto. Ma il paese reale, di nuovo fiducioso, ambiva a piccole vittorie anche quotidiane. Anche se non erano trionfi veri e propri, ma semplici furberie per tirare a campare un po' meglio, andava benissimo. Una mano venne dalla tv, il nuovo elettrodomestico facile, suadente, pericoloso. Quell'anno il popolo fu stregato da due programmi d'evasione. Il primo era Duecento al secondo, inventato da Garinei e Giovannini, condotto da Mario Riva. Volenterosi concorrenti, per soldi, erano disposti a farsi lanciare in faccia secchiate d'acqua o torte cremose. Una parte del paese si sganasciava dalle risa. Un'altra s'indignava, pensando che così s'avviliva la dignità umana. Il secondo, che divenne una febbre nazionale, andava in onda il sabato sera: Lascia o raddoppia? La trasmissione a quiz, importata dall'America, era condotta dall'americanizzante Mike Bongiorno, circondato da vallette mutissime. Rispondendo ad ardue domande, i concorrenti potevano guadagnare un sacco di soldi. E chiunque poteva diventare un vincente. Come Ribot. Il cavallo si preparava a trionfare, anche l'anno successivo, ad Ascot, di fronte alla regina d'Inghilterra. Gli esseri umani, a consegnarsi ilari e felici alla dittatura del piccolo schermo, come manichini da inzaccherare o come geni mnemonici.
Bruno Ventavoli