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 2014  giugno 30 Lunedì calendario

C’è una nuova parola da imparare, ed è POS.• Significato?“Point of sale”, cioè “punto di vendita”

C’è una nuova parola da imparare, ed è POS.

Significato?“Point of sale”, cioè “punto di vendita”. È il nome che hanno quelle macchinette dove i benzinai o i padroni dei ristoranti infilano le nostre carte di credito o le nostre carte bancomat per farci pagare il conto senza mettere mano al portafoglio.  

• Ammesso che noi abbiamo le carte di credito o le carte bancomat. E ammesso che il ristoratore o il distributore di benzina siano dotati dell’apparecchiatura.
Il punto è proprio questo. Da oggi è obbligatorio per tutti gli esercenti, compresi gli artigiani o gli studi professionali, accettare pagamenti col bancomat o con la carta di credito. Un decreto legge del 2012, che entra in funzione oggi, dice che artigiani o studi professionali o esercizi commerciali non si possono rifiutare. Purché la somma da pagare sia superiore a 30 euro. Vale a dire, più o meno, sempre.  

E se si rifiutano?
Non gli succede niente. Perché il decreto non prevede nessuna sanzione. Non so immaginare che cosa potrà succedere da oggi. Una testa dura che vuole pagare a tutti i costi il suo conto da 31 euro con il bancomat contro una testa dura che non ha il Pos e non intende impiantarlo. Litigano, si chiama la polizia, e il poliziotto, giunto sul posto, allarga le braccia e dice al commerciante: «Tu, commerciante, sei obbligato dalla legge ad accettare il pagamento nella forma decisa dal cliente. Ma, se non lo accetti, non ti posso fare neanche la multa». Un guazzabuglio.  

Come viene fuori questo ennesimo casino?
Il famoso decreto emanato dal governo Monti per incoraggiare la crescita conteneva questa norma relativa ai Pos. Doveva scattare il 1° gennaio di quest’anno, ma ci furono proteste da parte delle associazioni di categoria, commercianti, artigiani e ordini professionali, per esempio l’Ordine degli architetti ricorse al Tar del Lazio (perdendo), e così il governo Letta, a pochi giorni dalla sua fine, dispose saggiamente un rinvio di sei mesi. In questi sei mesi, suppongo, il governo Renzi ha avuto altro a cui pensare e ha lasciato che la bomba innescata da Monti esplodesse. Ed ecco qua, esplode oggi. Da oggi dentisti, idraulici, avvocati, tabaccai eccetera devono accettare bancomat e carte di credito per importi superiori a 30 euro. Però se non li accettano non succederà niente. Somiglia un po’ al comma 22 di Joseph Heller: i matti sono esentati dal servizio militare ma chi fa domanda per essere esentato dal servizio militare non è matto.  

Qual è la logica che sta dietro a tutto questo?
La logica è giusta e la diffusione delle carte di credito e dei pagamenti per via elettronica va incoraggiata. Intanto per contrastare l’evasione fiscale. E in secondo luogo per dare filo da torcere alla malavita, che ama follemente le banconote specialmente se di grosso taglio. C’è qui innanzi tutto un problema culturale: molti italiani resistono alle tesserine di plastiche e non intendono rinunciare ai cosiddetti «soldi». Siamo arretrati rispetto al resto del mondo: nel mondo anglosassone chi paga in contanti e non con una carta è guardato con sospetto, mentre da noi, quasi quasi, è vero il contrario. I numeri confermano: ogni cittadino dell’Eurozona effettua in media 194 pagamenti l’anno per via elettronica, ogni cittadino italiano ne effettua invece mediamente appena 74, benché da noi ci siano 44,22 milioni di carte bancomat, praticamente una per ogni adulto. E però, per esempio, le imprese artigiane senza Pos sono ancora tre milioni (stima Confartigianato, a naso inferiore alla realtà). Ora, è chiaro che non si può introdurre un metodo di pagamento tanto rivoluzionario e così contrario alle nostre abitudini più generalizzate, senza una qualche preparazione del terreno. Le banche oggi fanno pagare, in media, 115 euro l’installazione del Pos da tavolo, poi pretendono un canone mensile di 24 euro e una commissione del 2,19% su ogni transazione. È evidentemente troppo, e le varie associazioni hanno calcolato costi medi che stanno tra i 1200 e i 1700 euro l’anno per ciascuna impresa, che può essere molto per un piccolo artigiano. Bisogna che gli istituti di credito, a fronte di un aumento molto consistente della massa di transazioni, riducano le loro pretese. Nello stesso tempo il governo deve procedere incoraggiando e sanzionando. Per esempio, a fronte di un evidente recupero di Iva (secondo dati della Corte dei Conti oggi evasa - dati 2011 - per 46 miliardi), si può consentire di abbassare di un punto di Iva le merci o i servizi saldati per via elettronica, come hanno fatto, all’inizio, in Argentina o nella Corea del Sud. E infine, devono essere previste sanzioni per tutti coloro - dagli idraulici ai dentisti - che resistessero al pagamento per via elettronica. Una multa, magari salata, capace di far passare la voglia. Nulla di tutto questo esistendo, sono facile profeta a immaginare un nuovo rinvio, di sei mesi o un anno, del giorno fatidico. Purché il tempo guadagnato sia poi ben impiegato per preparare il terreno alla rivoluzione.