Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 27 Venerdì calendario

Biografia di Boris Giuliano

Palermo 1939 – Palermo 21 luglio 1979. Capo della squadra mobile, vicequestore, ucciso con sette colpi di pistola da Leoluca Bagarella. Collaboratore di Giovanni Falcone, aveva braccato Leoluca Bagarella sino a trovarne il covo.
• Boris Giuliano è sceso da casa alle otto, in via Pirandello, ha consegnato al portiere una busta con i soldi dell’affitto. La Giulietta della Mobile che ogni mattina lo viene a prendere per portarlo in Questura non è ancora arrivata così decide di andarsi a prendere un caffè al bar Lux in via Di Biasi, lì a due passi. [Francesco Fornari, Sta. 22/7/1979] Si è fermato alla cassa, ha messo una mano in tasca per prendere il portafogli. In quel momento si è avvicinato un giovane che ha sparato [Sta 22/7/1979].
• Quella mattina al bar davanti al bancone, con le spalle rivolte alla porta, chissà cosa pensava. Il killer ebbe tutto il tempo di arrivargli a tiro. Il titolare e i baristi raccontarono dopo che il killer solitario tremava come una foglia [Lodato, Uni 25/6/2005].
• Un cliente del bar: «È stata una cosa così improvvisa, così imprevedibile, da impedire qualunque reazione» [Francesco Fornari, Sta. 22/7/1979]
• Lo avevano minacciato, «Giuliano morirà» aveva gridato una voce anonima al centralino del 113, ma lui non si era scomposto più di tanto. Non perché non desse peso alle minacce, anzi quella voce l’aveva pure riconosciuta, ma perché il poliziotto Boris non era un carattere facilmente impressionabile. E poi, quello era il suo lavoro, era il suo dovere (allora questa parola non veniva considerata vuota retorica) di servitore dello Stato [La Licata, Sta 20/7/2009].
• Tre giorni prima, dopo la telefonata al 113, aveva accompagnato la moglie Ines Leotta, e i figli Alessandro, Selima ed Emanuela, tutti allora molto piccoli, a Piedimonte Etneo, alle falde dell’ Etna, dove avrebbero trascorso le vacanze. Aveva promesso di raggiungerli una settimana dopo, e se ne era tornato a Palermo. Ottimo tiratore scelto, Giuliano. E in più di un’occasione aveva risolto situazioni delicate senza mai strafare, tranne una volta in cui, anche se non per sua responsabilità, il morto, però, c’era scappato [Lodato, Uni 25/6/2005].
• L’inchiesta fu affidata a Paolo Borsellino, che emise quindici mandati di cattura. Bagarella si prese l’ergastolo come esecutore mentre nel 1995, a 16 anni dal delitto, vennero condannati alla massima pena anche Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco detto il “papa”, Francesco Madonia, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Nenè Geraci e Francesco Spadaro, in quanto mandanti.
• Figlio di un ufficiale della Marina, una laurea in tasca, una passione per la pallacanestro. Poliziotto dal 1962, addestrato a Quantico con i detective dell’Fbi nel 1975 (unico italiano prescelto), parlava correntemente l’inglese e lavorava in collaborazione con la Dea – l’agenzia antidroga americana. «Uno sbirro all’americana», un poliziotto all’antica, era a Palermo prima della stagione dei pentiti e del pool antimafia. Ma al contempo era modernissimo, seguiva i flussi finanziari. Osservava quanto sta accadendo a partire dalla Giulietta al tritolo di Ciaculli – era il 1963 – e intuì come la Sicilia sia diventata uno dei luoghi cardine per un traffico molto redditizio, quello dell’eroina [Genco, Rep. 21/7/2009].
• Nominato capo della Squadra Mobile di Palermo al posto di Bruno Contrada, discusso funzionario poi accusato di collusione con la mafia che dichiarò ai giudici: «Sono disposto a difendermi da qualsiasi accusa ma desidero che nessuno metta in dubbio una delle cose più sacre della mia vita: l’amicizia con Boris Giuliano. Non eravamo solo colleghi eravamo fratelli» [Ansa].
• Tre episodi tra loro collegati, avvenuti nell’ultima estate della sua vita, precipitano la fine di Giuliano. Il primo all’aeroporto di Punta Raisi. Il 19 giugno sul nastro portabagagli dell’aeroporto recupera dollari in contanti per oltre mezzo miliardo di lire in due valigie non ritirate del volo della 10.30 proveniente da Roma. Dollari, in mazzette da 50 e da 100, provenienti dal traffico di stupefacenti tra la Sicilia e gli Usa. È il primo segmento del «teorema Giuliano», che trova conferma qualche giorno dopo. Quando a New York, all’aeroporto Kennedy, i poliziotti statunitensi hanno fatto un sequestro: eroina per un valore di dieci miliardi di lire, spedita da Palermo. Hanno arrestato quattro casalinghe palermitane che andavano avanti e indietro dagli Stati Uniti nascondendo nelle panciere e nelle mutandine chili di eroina. Poi in una catapecchia sul lungomare di Romagnolo, pronta a essere immessa sul mercato, la squadra di poliziotti coordinati da Giuliano trova 4 chili di eroina purissima. Il proprietario è Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina [rep21/7/2009]. La Licata: «Aveva scovato il nascondiglio di Bagarella a corso dei Mille e quindi scoperto che la mafia corleonese era sbarcata a Palermo. Lui, il killer non c’era, ma Boris trovò il suo documento di identità, quattro chili di eroina pura e un set di revolver micidiali. Tutto materiale che la squadra mobile di Giuliano, quell’irripetibile gruppo di lavoro, avrebbe poi utilizzato nel migliore dei modi. “Se altri organismi dello Stato - scriverà Paolo Borsellino nell’ordinanza del maxi-processo - avessero assecondato l’intelligente opera investigativa di Boris Giuliano, l’organizzazione criminale mafiosa non si sarebbe sviluppata sino a questo punto”»[La Licata, Sta 20/7/2009].
• La «visita» che Boris fece allo sportello della Cassa di Risparmio per chiedere notizie di un signore, tale Joseph Bonamico, che aveva eseguito un’operazione per centomila dollari con la garanzia dei potenti Spatola. Il cassiere tradì qualche disagio mentre Boris apprendeva che la foto apposta sul passaporto esibito certamente non apparteneva al fantomatico Bonamico, visto che riproduceva le sembianze del finanziere Michele Sindona [La Licata, Sta 20/7/2009].
• Aveva iniziato a farsi le ossa con grandi casi polizieschi e giudiziari: l’uccisione del procuratore capo Pietro Scaglione, il rapimento e l’uccisione del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro, l’uccisione del capitano dei carabinieri Ninni Russo, l’uccisione del giornalista del Giornale di Sicilia, Mario Francese, l’uccisione del segretario della DC palermitana Michele Reina. Aveva avuto a che fare con il finto sequestro Sindona, con l’alta finanza collusa con la mafia. Con i cugini Nino e Ignazio Salvo, i potenti siciliani dell’ epoca che di lì a qualche anno sarebbero rotolati giù dai loro piedistalli. Aveva persino indagato sulla strage di viale Lazio [Lodato, Uni 25/6/2005].
• La sera del 26 gennaio 1979 dirigeva il sopralluogo sulla scena dell’omicidio di Mario Francese, finito a revolverate qualche minuto prima da un killer solitario. Prese Giulio, il figlio del giornalista, per un braccio, e lo sottrasse alla curiosità della calca, poi - quasi chiedendo perdono per quel che stava per dire - sussurrò: «Giulio, è tuo padre» [La Licata, Sta 20/7/2009].
• Il figlio Alessandro Giuliano oggi questore a Lucca (già capo della mobile di Milano, Venezia e Padova) «è la fotocopia vivente del padre, il giovane dirigente della polizia: cammina, imposta le braccia, sorride e si rabbuia come faceva Boris» (Francesco La Licata) [Sta 20/7/2009].
• «Per me, mio padre, prima che essere poliziotto, fu un uomo. Ricordo che quando l’equipaggio di qualche volante di pattuglia nei quartieri diseredati di Palermo si imbatteva in un bambino che si era perduto, mio padre, mentre erano in corso le ricerche, spesso assai difficoltose, dei genitori, anziché tenerlo in un ufficio di polizia, lo portava a casa nostra e lo faceva giocare con noi che eravamo suoi coetanei» [Lodato, Uni 25/6/2005].
• «Sceriffo». Così era chiamato quel poliziotto con i baffi spioventi. L’ultimo grande poliziotto all’antica, prima cioè che venissero alla ribalta i pentiti e i pool antimafia della magistratura, che prendessero il via i maxi processi, quando ancora si sudava sui rapporti scritti a mano, sui fogli di carta carbone, e che poi venivano strimpellati, fra nuvole di fumo e bicchieri di pessimo bourbon, su vecchie macchine da scrivere con nastri che prima di essere cambiati dovevano rendere l’anima a Dio [Lodato, Uni 25/6/2005].
• Qualche poliziotto, ormai in pensione, lo ricorda ancora nel suo ufficio alla Squadra mobile di Piazza Vittoria, alle prese con foto aeree della città e planimetrie, pronto a far decollare l’elicottero se solo si palesava il sospetto che in qualche anonima catapecchia i fornelli della raffinazione fossero accesi [Lodato, Uni 25/6/2005].
• I funerali sono celebrati dal cardinale di Palermo, Salvatore Pappalardo, che con la citazione di Ezechiele, «il paese è pieno di assassini», lancia una attacco durissimo allo stato. I vicoli alle spalle di Corso Vittorio Emanuele sono stracolmi di migliaia di cittadini qualunque. C’era lo striscione degli abitanti di via dei Biscottari - «via dei Biscottari in lutto. Eravamo tutti amici di Boris» - con i quali il capo della Squadra Mobile ogni giorno si fermava a parlare perché da quella strada doveva passare per andare in ufficio e il ricordo è quello di tre giganteschi poliziotti americani, abbracciati a una colonna, mentre la folla dal basso spingeva, e loro, che volevano guardare dall’alto le dimensioni del corteo, avevano finito con il trovarsi fuori posto e non riuscivano più a scendere [Lodato, Uni 25/6/2005].
• Quel giorno nella redazione dell’Ora a Palermo c’erano tre giornalisti. Tra questi un Attilio Bolzoni alle prime armi: «Lo stanzone della cronaca era deserto. Poi è entrato il vecchio Gianni, il giornalista che di quella Palermo sapeva molto. La radio della polizia improvvisamente violò il silenzio, voci concitate che si accavallavano e che diventarono grida: “Colpi d’arma da fuoco in via Di Blasi, uomo a terra al bar Lux”. Gianni Lo Monaco cominciò a tremare. Mi prese per un braccio, trascinandomi fuori dalla redazione. Ero l’ultimo arrivato nella batteria dei giovanissimi reporter dell’Ora – quotidiano della sera anima dell’altra Sicilia – e non avevo capito che, dal luogo dove era stata segnalata la sparatoria, Gianni aveva intuito chi era la vittima. Nessuno aveva ancora fatto un nome e lui già piangeva. Mezz’ora dopo eravamo al bar Lux. L’uomo a terra era Boris Giuliano, il capo della squadra mobile, un uomo speciale e un poliziotto speciale. Intelligente, coraggioso, onesto (…) E per me fu il primo articolo su un delitto eccellente di Palermo. Scritto accanto a colleghi in lacrime, che non avevano perso una “fonte” ma avevano perso un amico» [Bolzoni, Rep. 9/5/2016].
• Così è morto un bravo poliziotto, con sette colpi di pistola sparati alle spalle mentre pagava il primo caffè della giornata, l’ultimo della sua vita.