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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

Ucciso Ignazio Salvo, L’Intoccabile (articolo del 18/8/1992)

La Repubblica, venerdì 18 settembre 1992
È morto come il suo grande amico, è morto come Salvo Lima. Ammazzato anche lui nell’anno 1992, a Palermo, città dove muoiono grandi servitori dello Stato come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma anche uomini d’onore che per quasi mezzo secolo sono stati considerati degli intoccabili. E così lo chiamavano questo “re” di Salemi, l’intoccabile Ignazio Salvo, l’esattore, uno dei terribili cugini che hanno dominato e soffocato la Sicilia fino ai primi anni Ottanta, travolti poi dalle confessioni dei pentiti e dalle grandi indagini giudiziarie. Hanno ucciso un altro della vecchia guardia, un mafioso che rappresentava il potere che fu. L’hanno ucciso intorno alle undici e trenta, undici e quaranta di ieri sera dentro la sua villa di Santa Flavia, la stessa dove fu ospitato il super- boss Tommaso Buscetta durante la sua latitanza. Per quasi mezz’ora una voce sempre più insistente parlava di «un omicidio importante alle porte di Palermo, subito prima di Bagheria», a mezzanotte è arrivata la conferma ufficiale: il cadavere è quello di Ignazio Salvo, nato nel 1932, a Salemi, provincia di Trapani. Poi è arrivata anche una telefonata al centralino del Giornale di Sicilia: «È Morto. È morto Ignazio Salvo, l’uomo delle esattorie». Pistole automatiche Dicono che i killer siano arrivati dal mare, su una barca, un motoscafo. Dicono anche che siano entrati nel giardino della villa, che abbiano aspettato il ritorno a casa dell’ex esattore, che abbiano svuotato i caricatori delle loro pistole automatiche. Uno dei sicari impugnava anche un fucile. Questa è la primissima ricostruzione fatta dai carabinieri arrivati sul posto poco prima della mezzanotte. Hanno trovato il cadavere di Ignazio Salvo disteso vicino alla sua Mercedes bianca. A trenta passi il cancello di ferro battuto, ad altri trenta passi quattro scalini che salgono verso la porta della sua sontuosa villa. Era solo, era appena tornato, con lui c’era una donna. Probabilmente la moglie, Giuseppina Puma. Mentre scriviamo, all’una di notte, la donna sta rispondendo alle domande dei carabinieri. L’unica indiscrezione che filtra sull’interrogatorio al di qua del cancello in ferro battuto: «È sotto choc, non parla, non dice niente...». E non dice niente neanche il fratello Alberto, l’“agricoltore” della famiglia, il primo che nella notte entra nella villa di Santa Flavia e sfila silenzioso davanti al corpo di Ignazio Salvo. Viso di cera, occhi sbarrati, silenzio cupo. Gli ufficiali del nuclei operativi e dei reparti anticrimine parlottano fra loro, cercano di capire qual è stata la dinamica del delitto, con le mani indicano il mare. Ma anche questo è incerto, anche questo non sarà facile ricostruirlo. È appena passata l’una quando a Santa Flavia comincia una processione. Arrivano i camerieri della casa palermitama, la fedele servitù degli ultimi vent’anni. Arrivano curiosi dall’hotel Zagarella, un albergo della “famiglia” costruito proprio a pochi metri dalla loro villa a due passi dal mare Tirreno. E arriva anche il magistrato, il sostituto di turno, Gioacchino Natoli, oggi alla procuratore distrettuale antimafia, sei anni fa nel pool di Falcone che rinviò a giudizio Ignazio Salvo insieme ad altri 475 imputati di Cosa Nostra. Il processo si celebrò sei anni fa. E un anno prima Ignazio Salvo subì l’offesa delle manette. Uno come lui, un imperatore, uno che faceva paura, uno che comandava su truppe di deputati a Palermo e a Roma, uno che viaggiava su auto blindate insieme ai boss della Cupola, uno che non era morto nella grande guerra di mafia solo perchè capì all’ultimo momento da quale parte dove schierarsi la sua “famiglia”.
E da allora ha vissuto in silenzio, sott’acqua per sei lunghissimi anni. Silenzio nelle aule di tribunale e silenzio fuori. Mai un’intervista, mai più una comparsa in pubblico. Eppure da qualche tempo girava la voce che la “famiglia” dopo la tempesta era tornata forte e potente. Certo non come un tempo. Ma alle ultime elezioni regionali pare che avesse piazzato più di un suo uomo a Sala d’Ercole. Voci, sussurri, misteri. Tanti misteri fino ai colpi di pistola e alla o alle fucilate di questa notte nella villa di Santa Flavia. Perchè si uccide un uomo come Ignazio Salvo a Palermo? Perchè la mafia spara su uomini d’onore del calibro degli ex esattori? Come in ogni delitto di mafia ci sarà, come dicono gli investigatori, “La causa scatenante”, il movente preciso. Ma la “mente” dei Salvo muore sei mesi dopo il “padrone” di Palermo Salvo Lima, suo amico per trent’anni, suo sponsor politico. Due delitti fotocopia, due assalti al vecchio, al vecchio potere siciliano. E così anche uno come lui, un boss del maxi processo, resta mortalmente impigliato nella tremenda e ferocissima resa dei conti, nello scontro finale di questa stagione terribile. Da una parte l’attacco allo Stato con l’uccisione di Giovanni Falcone e di Paolo Emanuele Borsellino, dall’altra l’eliminazione di grandi mediatori, di potenti che non sono riusciti a diventare più potenti e a non garantire più l’organizzazione criminale. Classica la tecnica: guerra, guerra su più fronti. Esterna, interna, uso terroristico delle notizie riservate, uso giudiziario di certe inchieste in corso per colpire i nemici. Infame campagna Hanno un volto i protagonisti di questa infame “campagna” siciliana, hanno il volto dei corleonesi con l’acqua alla gola, dei corleonesi braccati, processati e condannati, inseguiti dalle polizie e dagli investigatori di mezzo mondo. Anche l’omicidio di Ignazio Salvo è la loro risposta a chi li ha mollati, li ha scaricati dopo vent’anni di protezioni. «Ma se questa può essere il contesto», racconta nella notte uno degli investigatori dell’antimafia, «sarà un po’ più difficile capire perchè hanno ammazzato questo uomo d’onore proprio adesso, sarà un po’ più difficile capire perché, cosa sta succedendo dentro l’organizzazione di Cosa Nostra». C’è chi dice che potrebbe essere l’inizio di una nuova guerra di mafia. Se l’ipotesi da un lato può apparire azzardata, dall’altro la storia di Cosa Nostra ci spiega che le grandi guerre sono cominciate tutte così.
Con grandi delitti a Palermo, con grandi tensioni nell’intera provincia. A Caltanissetta, a Trapani, ad Agrigento. Le condizioni ideali per schierarsi gli uni contro gli altri armati, le condizioni di oggi. Ecco come può essere morto l’ultimo “vicere” di Sicilia davanti alla sua Mercedes bianca e dentro la sua villa nascosta da magnolie giganti e cactus. Ecco come può cadere improvvisamente un uomo che faceva tremare solo con lo sguardo. Con quei colpi di pistola e di fucile si chiude un’altra epoca siciliana. Come si era chiusa in quella mattina di marzo lungo i vialetti deserti di Mondello quando l’onorevole Salvo Lima usciva da un’altra villa solo con due amici. Niente auto blindata, niente guardie del corpo, niente protettori armati. Proprio come Ignazio Salvo ieri notte. Solo, solo con la moglie. Forse ancora sicuro di non rischiare nulla, forse ancora convinto della propria potenza per quei legami tra “amici”, forse ancora certo di essere un uomo di rispetto. Uno ancora intoccabile almeno dentro la Cosa Nostra, dentro la società segreta che l’aveva fatto arricchire. Ignazio Salvo non aveva capito che era diventato uno da affrontare così, a mezzanotte, con le pistole in mano.
Attilio Bolzoni