la Repubblica, martedì 21 gennaio 1986, 27 giugno 2014
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Ecco come Nino Salvo è diventato un boss rispettabile (articolo del 21/1/1986)
la Repubblica, martedì 21 gennaio 1986
«I funerali a Palermo? È impossibile», spiegano il fioraio, il tabaccaio, un impiegato del Comune, «i funerali, dopodomani, si faranno in paese: don Nino è di Salemi...».
E proprio qui, tra i vigneti a spalliera di una campagna fertilissima, Nino Salvo iniziò la scalata per diventare, un quarto di secolo dopo, l’uomo più potente della Sicilia. Dalla terra di Salemi ai Palazzi della Regione e poi dai grandi affari al carcere. Un arresto per associazione mafiosa, pochi giorni dopo la cattura di Vito Ciancimino, dei boss della droga, dei più spietati killer di Cosa Nostra. Chi era Nino Salvo? «Sono un imprenditore, uno che per vivere e lavorare tranquillo ho pagato tutti i partiti», rispondeva lui, sorridente, nei corridoi del tribunale negli ultimi giorni del 1984. «È la mente di un gruppo che per anni ha inquinato la vita politica siciliana», accusano i giudici del pool antimafia. «È un uomo d’onore», racconta il pentito Tommaso Buscetta.
Nino Salvo, insieme al cugino Ignazio, il 10 febbraio doveva sfilare nell’aula-bunker con gli altri 473 imputati del maxi-processo a Cosa Nostra. Uno dei pochi rappresentanti di quel “terzo livello” che i magistrati di Palermo cercavano da tanti anni. Un ex insospettabile con legami nella mafia che spara e che esporta al di là dell’Atlantico tonnellate di eroina. È l’atto di accusa contro un uomo che, fin dai primi anni 50, aveva comandato da una parte all’altra della Sicilia. Un impero fondato sulle esattorie ed esteso poi all' agricoltura, al turismo, alle società finanziarie e di informatica. Un regno costruito anche grazie agli amici: i mafiosi, i politici. Amici di Nino Salvo erano i super trafficanti, ma anche ministri, deputati nazionali e regionali, assessori comunali e provinciali. Il personaggio chiave nell’ascesa dei Salvo nella vita politica imprenditoriale siciliana è Luigi Corleo, un ricco esattore di Salemi. Nino Salvo sposa sua figlia e dopo pochi anni, il vecchio Corleo scompare: una lupara bianca. Un rapimento che nei quattro anni successivi costa molto caro ai sequestratori: i 17 mandanti ed esecutori del sequestro muoiono tutti, ammazzati uno dopo l’altro in una decina di paesi della Sicilia occidentale. Sono i primi anni 70 e Nino e Ignazio Salvo diventano gli uomini più rispettati di Palermo: negli ambienti investigativi nessuno pronuncia mai il loro nome anche se nella relazione di minoranza della prima commissione antimafia risultano legati ad un clan di Trapani: la "famiglia" Zizzo. Ma i loro veri terminali mafiosi sono altri: il boss Stefano Bontade, il sanguinario Salvatore Greco, il trafficante di cocaina Tommaso Buscetta. Proprio Buscetta, latitante, nell' estate del 1982 è ospite nella villa di Nino Salvo alla Zagarella. E poi ci sono i grandi amici che gestiscono denaro e potere: l’ex ministro della Difesa Attilio Ruffini e l’eurodeputato Salvo Lima. Tutti e due democristiani, come Nino Salvo per trent’anni.
Buoni appoggi anche alla Regione siciliana dove, oltre ai favori nella riscossione delle tasse attraverso una serie di leggine, ottiene contributi per decine e decine di miliardi. Nino Salvo stringe rapporti con i boss ricercati ma i veri affari li fa nelle stanze dove si decidono i giochi della politica e si canalizzano i finanziamenti. Chi si schiera contro di lui chiude con la carriera politica. Come Giuseppe D’Angelo, ex-presidente della Regione siciliana. Racconta all’antimafia che i due cugini di Salemi sono diventati ormai più potenti della Montedison e alle elezioni successive non è neppure eletto come deputato. Una scalata incontrastata, senza inchieste della magistratura, nè degli investigatori. Sono gli anni che i carabinieri di Salemi inviano queste informative al prefetto di Trapani: «...Nino Salvo è una persona dai modi signorili...».
Il primo ad indagare sui loro affari è Rocco Chinnici, consigliere istruttore al tribunale di Palermo, un coraggioso magistrato ucciso da un’auto imbottita di tritolo. Il consigliere Chinnici cerca un collegamento tra la loro ricchezza e il denaro sporco, ma muore. Un anno dopo, sulle stesse tracce, c’è Ninni Cassarà, il capo della sezione investigativa della mobile assassinato a colpi di Kalashnikov. È proprio Ninni Cassarà, al processo Chinnici, che testimonia, in totale solitudine, contro i Salvo.
Ma le porte del carcere, per Nino Salvo, si aprono soltanto ventiquattro mesi dopo, la mattina del 12 novembre 1984: è Tommaso Buscetta che canta. Nella sentenza di rinvio a giudizio del giudice Falcone centinaia di pagine sono dedicate proprio a Nino Salvo e alle sue mille attività. È la fotografia del suo impero, dei suoi legami, dei suoi tanti amici. Ora con la sua morte viene a cadere anche il procedimento per la confisca dei suoi beni perchè viene meno il presupposto giuridico («misura di prevenzione nei confronti di un individuo pericoloso»). L’impero dunque dovrebbe restare intatto.
«I funerali a Palermo? È impossibile», spiegano il fioraio, il tabaccaio, un impiegato del Comune, «i funerali, dopodomani, si faranno in paese: don Nino è di Salemi...».
E proprio qui, tra i vigneti a spalliera di una campagna fertilissima, Nino Salvo iniziò la scalata per diventare, un quarto di secolo dopo, l’uomo più potente della Sicilia. Dalla terra di Salemi ai Palazzi della Regione e poi dai grandi affari al carcere. Un arresto per associazione mafiosa, pochi giorni dopo la cattura di Vito Ciancimino, dei boss della droga, dei più spietati killer di Cosa Nostra. Chi era Nino Salvo? «Sono un imprenditore, uno che per vivere e lavorare tranquillo ho pagato tutti i partiti», rispondeva lui, sorridente, nei corridoi del tribunale negli ultimi giorni del 1984. «È la mente di un gruppo che per anni ha inquinato la vita politica siciliana», accusano i giudici del pool antimafia. «È un uomo d’onore», racconta il pentito Tommaso Buscetta.
Nino Salvo, insieme al cugino Ignazio, il 10 febbraio doveva sfilare nell’aula-bunker con gli altri 473 imputati del maxi-processo a Cosa Nostra. Uno dei pochi rappresentanti di quel “terzo livello” che i magistrati di Palermo cercavano da tanti anni. Un ex insospettabile con legami nella mafia che spara e che esporta al di là dell’Atlantico tonnellate di eroina. È l’atto di accusa contro un uomo che, fin dai primi anni 50, aveva comandato da una parte all’altra della Sicilia. Un impero fondato sulle esattorie ed esteso poi all' agricoltura, al turismo, alle società finanziarie e di informatica. Un regno costruito anche grazie agli amici: i mafiosi, i politici. Amici di Nino Salvo erano i super trafficanti, ma anche ministri, deputati nazionali e regionali, assessori comunali e provinciali. Il personaggio chiave nell’ascesa dei Salvo nella vita politica imprenditoriale siciliana è Luigi Corleo, un ricco esattore di Salemi. Nino Salvo sposa sua figlia e dopo pochi anni, il vecchio Corleo scompare: una lupara bianca. Un rapimento che nei quattro anni successivi costa molto caro ai sequestratori: i 17 mandanti ed esecutori del sequestro muoiono tutti, ammazzati uno dopo l’altro in una decina di paesi della Sicilia occidentale. Sono i primi anni 70 e Nino e Ignazio Salvo diventano gli uomini più rispettati di Palermo: negli ambienti investigativi nessuno pronuncia mai il loro nome anche se nella relazione di minoranza della prima commissione antimafia risultano legati ad un clan di Trapani: la "famiglia" Zizzo. Ma i loro veri terminali mafiosi sono altri: il boss Stefano Bontade, il sanguinario Salvatore Greco, il trafficante di cocaina Tommaso Buscetta. Proprio Buscetta, latitante, nell' estate del 1982 è ospite nella villa di Nino Salvo alla Zagarella. E poi ci sono i grandi amici che gestiscono denaro e potere: l’ex ministro della Difesa Attilio Ruffini e l’eurodeputato Salvo Lima. Tutti e due democristiani, come Nino Salvo per trent’anni.
Buoni appoggi anche alla Regione siciliana dove, oltre ai favori nella riscossione delle tasse attraverso una serie di leggine, ottiene contributi per decine e decine di miliardi. Nino Salvo stringe rapporti con i boss ricercati ma i veri affari li fa nelle stanze dove si decidono i giochi della politica e si canalizzano i finanziamenti. Chi si schiera contro di lui chiude con la carriera politica. Come Giuseppe D’Angelo, ex-presidente della Regione siciliana. Racconta all’antimafia che i due cugini di Salemi sono diventati ormai più potenti della Montedison e alle elezioni successive non è neppure eletto come deputato. Una scalata incontrastata, senza inchieste della magistratura, nè degli investigatori. Sono gli anni che i carabinieri di Salemi inviano queste informative al prefetto di Trapani: «...Nino Salvo è una persona dai modi signorili...».
Il primo ad indagare sui loro affari è Rocco Chinnici, consigliere istruttore al tribunale di Palermo, un coraggioso magistrato ucciso da un’auto imbottita di tritolo. Il consigliere Chinnici cerca un collegamento tra la loro ricchezza e il denaro sporco, ma muore. Un anno dopo, sulle stesse tracce, c’è Ninni Cassarà, il capo della sezione investigativa della mobile assassinato a colpi di Kalashnikov. È proprio Ninni Cassarà, al processo Chinnici, che testimonia, in totale solitudine, contro i Salvo.
Ma le porte del carcere, per Nino Salvo, si aprono soltanto ventiquattro mesi dopo, la mattina del 12 novembre 1984: è Tommaso Buscetta che canta. Nella sentenza di rinvio a giudizio del giudice Falcone centinaia di pagine sono dedicate proprio a Nino Salvo e alle sue mille attività. È la fotografia del suo impero, dei suoi legami, dei suoi tanti amici. Ora con la sua morte viene a cadere anche il procedimento per la confisca dei suoi beni perchè viene meno il presupposto giuridico («misura di prevenzione nei confronti di un individuo pericoloso»). L’impero dunque dovrebbe restare intatto.
Attilio Bolzoni