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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

Duecento colpi di kalashnikov per Cassarà (articolo del 7/8/1985)

la Repubblica, mercoledì 7 agosto 1985
Scatenata, la mafia all'attacco, come in guerra. Un commando di almeno sette killer tre dei quali armati di mitra e kalashnikov ha teso ieri pomeriggio un agguato al commissario Antonio "Ninni" Cassarà, trentotto anni, tre figli dai due ai tredici anni, uccidendolo sui gradini del portone di casa mentre rientrava alle 15,30. Duecento colpi di mitra che hanno stroncato anche la vita di uno degli agenti di scorta, il giovane Roberto Antiochia di ventitrè anni. Poteva essere un massacro: perché Cassarà era arrivato con la sua Alfetta bianca blindata targata 728966 accompagnato da tre uomini della Squadra mobile. L'autista, Monti, si è salvato gettandosi sotto l'auto. Giovanni Salvatore Lercara, venticinque anni, scivolando provvidenzialmente a terra ha battuto con la fronte il primo gradino del portone, al numero 81 della via Crocerossa, ferendosi leggermente (avrà quattro punti di sutura). Siamo nel quartiere residenziale di San Lorenzo, dalle parti dello stadio della Favorita, poco distante dall'ospedale Villa Sofia. Laura, la moglie del commissario, era affacciata alla finestra, al secondo piano. Ha assistito allucinata alla scena, ha avuto la forza di scendere le scale gridando disperata aiuto. Giù, il suo uomo, agonizzando, si trascinava sui cinque gradini dell'ingresso, lasciandosi dietro una lunga striscia di sangue, chiamandola per nome, cercando di entrare lo stesso a casa. Ha sollevato la testa, il commissario, ha visto Laura e lei gli si è gettata addosso, un ultimo inutile e impotente abbraccio. È morto così questo commissario che da dieci anni lottava contro la mafia, cinque dei quali passati in prima linea proprio a Palermo. Lottava con i suoi uomini sotto choc per la drammatica morte di Salvatore Marino, lottava senza mezzi, al limite della sopportabilità: "turni massacranti, pochi aiuti eppure noi abbiamo fatto miracoli in questa guerra" hanno gridato esasperati i compagni di lavoro di Cassarà, vice di Francesco Pellegrino, il capo della Mobile allontanato dall'incarico lunedì, dietro direttive impartite dal ministero. Negli ultimi tempi Cassarà lavorava assieme a Giuseppe Montana, il capo della sezione "catturandi" assassinato al molo di Porticello dieci giorni fa. Dopo questo delitto, aveva capito qual era il pericolo della polizia, si rischiava di restare isolati. La frontiera antimafia, una frontiera al massacro: "Senza il nostro sangue molti Soloni non avrebbero pontificato nè convegni e nè summit" aveva dichiarato polemico. Eccolo ora là, su quei cinque gradini, la testa spappolata da proiettili che perforano l'acciaio. I killer hanno sparato da trenta metri, nascosti nella casa di fronte. Dovevano essere lì da almeno un'ora. Ogni giorno, infatti, il commissario tornava a pranzo nell'intervallo fra le due e le tre del pomeriggio. Ieri aveva ritardato un po' perché, "saltato" Pellegrino, di fatto era diventato lui l'uomo guida della Mobile palermitana. È stato un agguato preparato minuziosamente. Da professionisti che hanno curato ogni particolare. Via Crocerossa è una strada lunga, stretta, a senso unico. Prima di arrivare all'ingresso di casa del commissario si deve superare il palazzo contrassegnato dal numero 77. Al pianoterra ci sono gli uffici dipartimentali Aci 4 di Palermo. C'è sempre via vai, dunque, su quel pianerottolo. Ed è qui che possono entrare, senza essere troppo notati, i tre killer. Si sono piazzati nelle scale di servizio dello stabile alto tredici piani, quelle cioè che danno sul cortile del complesso Castagna e che fronteggiano il palazzo numero 81, quello dove appunto abitava il commissario. I mafiosi sanno che l'auto blindata accompagna il dirigente della Mobile fin sotto il portone. Davanti, ci sono dei grandi portafiori. Sette metri e 80 centimetri dall'ingresso all'auto, stabilirà più tardi la scientifica. Se sparano sull'automobile, i killer rischiano di fallire il bersaglio. Devono perciò calcolare quanti secondi hanno a disposizione, dal momento cioè che i poliziotti scendono dall'Alfetta al momento in cui entrano definitivamente nel palazzo. Devono dunque essere dei professionisti, i più abili del crimine. Una squadra del delitto che la mafia deve adoperare per i lavori più difficili. L'imboscata non è un episodio isolato: deve far parte di un piano più articolato, un disegno "di potenza e di intimidazione della mafia" nei confronti di chi li sta combattendo con grande efficacia. È anche un momento particolare, questo che sta attraversando la Mobile palermitana. Sembra quasi che i cervelli di questo piano abbiano messo in conto anche la tensione, l'ostilità e le polemiche che hanno colpito la Questura di Palermo, soprattutto dopo la misteriosa morte di Salvatore Marino avvenuta durante un interrogatorio quattro giorni prima. Domenica 28 luglio sono stati regolati i conti con il commissario Montana, ormai divenuto troppo pericoloso per la mafia. Poi, ad alimentare la confusione, c'è stato l'ambiguo funerale di Marino alla Kalsa, uno dei capisaldi della mafia tradizionale cittadina, dove si è vista gente che se la prendeva con la polizia e che chiedeva giustizia. E martedì 6 agosto, puntuale, è arrivata la vendetta mafiosa. Più che mai un'irridente prova di forza. I killer dunque sono ben appostati. Aspettano che i complici fuori dal complesso Castagna li avvertano. Un'auto civetta, una Fiat Ritmo 70 color aviazione con targa falsa PA 701439 è in attesa del segnale. Un'altra auto, una Giulietta 1800 marrone scuro servirà per la prima parte della fuga. Una terza auto controlla la situazione. Cassarà arriva che sono le 15,30. Fa caldo, lo scirocco porta dall’Africa umidità e nuvole. La sua Alfetta bianca svolta, come sempre, nel cortile, sulla destra. Imbocca lo stradino che porta al numero 81. In via Crocerossa, subito, la Ritmo avanza di qualche metro piazzandosi proprio a metà dell’ingresso, di traverso, per impedire l’accesso ad altre eventuali vetture. Contemporaneamente dalle finestre delle scale interne del palazzo 77 spuntano tre canne corte di mitra. Sono al secondo, al terzo, al quarto piano. L’Alfetta ha frenato. Si spalancano le porte. Al secondo piano, ignara che di fronte a lei ci sono gli assassini della mafia che le ammazzeranno il marito, c’è Laura Cassarà. Saluta con la mano Ninni. Forse era preoccupata del ritardo. Il commissario ricambia il saluto, scende dall’automobile, accompagnato dall’agente Antiochia, povero figlio, volontario in questa scorta perchè si trovava in vacanza da queste parti e si era messo a disposizione della Mobile palermitana dopo l’uccisione di Montana. Poi, secco, improvviso il rumore: cinque lunghissimi secondi, raffiche furibonde di mitragliatrice. Vanno in frantumi i vetri dell’entrata, sull’intonaco spuntano cinque fori. Cadono stramazzati a terra Antiochia e il commissario, nel cortile due uomini incappucciati corrono freneticamente: evidentemente stavano lì a coprire l’azione dei tre che hanno sparato. I killer, intanto, lasciano imperturbabili le scale da dove hanno esploso le raffiche. Escono dal numero 77, saltano dentro le auto per la fuga. Più tardi la Giulietta 1800 verrà trovata bruciata in viale Lazio. Pochi minuti dopo, un’ambulanza arriva al pronto soccorso dell’ospedale Villa Sofia. Non c’è nulla da fare: Antiochia muore, anche a lui hanno spappolato il cervello. In via Crocerossa, si precipitano poco per volta tutti gli uomini dello Stato che a Palermo combattono ad "armi impari" questa lunga interminabile battaglia contro la mafia. Arrivano i colleghi di Cassarà, piangono, gridano furibondi "bastardi", bastardi a tutti quelli che gli hanno impedito di lavorare come avrebbero potuto, bastardi a quelli che li hanno criminalizzati per l’affare Marino. "La polizia è sola", ce l’hanno con la stampa, l’esasperazione è comprensibile perchè "ci troviamo con le mani legate: da anni qui a Palermo chiediamo mezzi, chiediamo rinforzi, chiediamo nuove tecnologie. Lo Stato ha combattuto il terrorismo adeguando le proprie forze, la lotta alla mafia invece procede come dieci, vent’anni fa. Siamo diventati carne da macello". Sono agenti che lavorano da anni alla Mobile, conoscevano bene Cassarà. Sfogano dunque la loro rabbia e il loro dolore questi agenti mentre sfilano i magistrati del pool antimafia, Falcone, Antonio Caponnetto, "siamo in guerra e qualcuno non l’ha capito e non lo vuol capire". Vincenzo Paino, procuratore capo dice: "Dovete comprendere questi ragazzi vanno lasciando il sangue in mezzo alla strada, rischiano la vita giorno per giorno, qui siamo in guerra, dovete farlo capire a chi di dovere". Arriva il sindaco Leoluca Orlando Cascio, altri magistrati e carabinieri. Noialtri non abbiamo più il coraggio di fiatare. Alle 17,30 un furgoncino nero Fiat 850 porta via la salma di Cassarà, seguita da cinque auto della Mobile. A Palermo è stato dichiarato il lutto cittadino. Oggi, alle 15,30, i funerali del commissario.

Leonardo Cohen