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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

Biografia di Tommaso Buscetta

• Palermo 13 luglio 1928, New York (Stati Uniti) 4 aprile 2000. Pentito di Cosa Nostra, il più famoso di tutti i pentiti. Detto “don Masino”, ma anche il “boss dei due mondi”, pagine e pagine di sentenze sui mafiosi sono fondate sul c.d. “teorema Buscetta”. Per prima, la sentenza del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (vedi Salvatore Riina).
• «Ex vetraio palermitano con la faccia da indio, la parlata lenta e la memoria di un elefante» (Saverio Lodato).
• Ultimo di diciassette figli, il padre non era uomo d’onore, bensì imprenditore (produceva specchi ornamentali). Lui prende la cattiva strada durante la guerra, quando si dà al mercato nero e a furtarelli di beni di prima necessità ai tedeschi. Di qui i primi contatti con la malavita. L’affiliazione gli viene proposta nel 45, da Giovanni Andronico. È lui a pungergli il dito con uno spillo.
Entra nella famiglia di Porta Nuova. Si dedica al contrabbando internazionale di sigarette e stupefacenti, e per questo viaggia in tutti i paesi del mondo grazie a passaporti falsi, nel 61 grazie a un deputato dc che scrive personalmente al questore di Palermo: «Buscetta è una persona che a me interessa moltissimo». Quando, nel 71, la Commissione antimafia fa dieci biografie a campione dei mafiosi, sceglie lui, come esponente tipico della mafia urbana. Tra i protagonisti della prima guerra di mafia (vedi Totò Riina), ma lo ha sempre negato. Lascia l’Italia nel 63 dopo la strage di Ciaculli. Lui e Pietro Torretta volevano subentrare nel ruolo di Angelo La Barbera, arrestato a Milano, e per questo dichiarano guerra ai Greco. Il 30 giugno 1963, secondo le accuse degli inquirenti che non terranno però al giudizio, pensano di uccidere Salvatore Greco con un’autobomba, ma qualcosa non funziona, e morirono invece sette carabinieri intervenuti per controllare l’auto (strage di Ciaculli). Buscetta lascia l’Italia.
• Arrestato a New York il 25 agosto 1970, esce con una cauzione di 75 mila dollari. Si trasferisce in Brasile, da dove viene estradato nel 77. Ristretto all’Ucciardone e poi alle Nuove di Torino, un giudice sabaudo gli concede la semilibertà e lui si dà alla macchia. Torna in Brasile, dove viene arrestato nell’83, mentre è in corso la seconda guerra di mafia a Palermo. Tra l’81 e l’82 i corleonesi gli uccidono tre fratelli (Benedetto, Antonino e Vincenzo), il genero Giuseppe Genova, il nipote Vincenzo. Perciò l’arresto è quasi un sollievo. All’udienza per decidere di nuovo l’estradizione in Italia, dichiara ben poco: «Ci vorrebbe una notte intera… scusatemi ma ho riposato male, sono molto stanco». Estradizione concessa.
• La collaborazione inizia ufficialmente il 16 luglio 1984, alle ore dodici e trenta, a Roma, nella sede della Criminalpol, in presenza dei giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci, e del dirigente dell’ufficio Gianni De Gennaro: «Sono stato un mafioso ed ho commesso degli errori per i quali sono pronto a pagare integralmente il mio debito con la Giustizia, senza pretendere sconti o abbuoni di qualsiasi tipo. Invece, nell’interesse della società, dei miei figli e dei giovani, intendo rivelare tutto quanto è a mia conoscenza su quel cancro che è la mafia, affinché le nuove generazioni possano vivere in modo più degno e umano». In trecentoventinove pagine svela l’organigramma di Cosa Nostra (da qui il teorema Buscetta: Cosa Nostra esiste ed è un’organizzazione unitaria, e i membri della Commissione sono tutti congiuntamente responsabili degli omicidi compiuti in nome dell’organizzazione). Fa i nomi dei vertici:
Luciano Liggio è il capo, nonostante sia in galera; in sua assenza i reggenti sono Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, con pari poteri («solo che Riina è molto più intelligente del Provenzano, e pertanto ha maggior peso»).
L’ultimo colloquio, il 12 novembre 1984, quando chiede di mettere a verbale spontanee dichiarazioni: «Sono stato ispirato solo dalla mia coscienza e non già da desiderio di rivincita o di vendetta: quest’ultima, infatti, non ha mai restituito quello che si è perduto per sempre. La mia scelta, quindi, maturata nel tempo, non è condizionata da rancori personali e tanto meno dall’aspirazione ad eventuali norme di favore per i cosiddetti pentiti. Mi sono reso conto da tempo che l’epoca in cui viviamo è incompatibile coi principi tradizionali di Cosa Nostra e che quest’ultima si è trasformata in una banda di feroci assassini. Non temo la morte, né vivo col terrore di essere ucciso dai miei nemici, quando verrà il mio turno, affronterò la morte, senza paura. Ho scelto questa strada in via definitiva ed irreversibile e lotterò con tutte le mie forze affinché Cosa Nostra venga distrutta. So bene quali umiliazioni e quali sospetti sul mio conto sarò costretto a subire e quanta gente male informata o in mala fede ironizzerà su questa mia scelta di vita; ma, anche se sarò deriso, o peggio, chiamato bugiardo, non indietreggerò di un millimetro e cercherò di indurre tutti quelli che ancora sono indecisi a seguire il mio esempio per finirla una volta per tutte con un’organizzazione criminale che ha arrecato solo lutti e disperazione in tante famiglie e che nessun contributo ha dato allo sviluppo della società».
Grazie alle sue dichiarazioni vengono spiccati trecentosessantasei mandati di cattura (29 settembre 84, blitz di San Michele – si dice che le manette a disposizione a Palermo non bastarono).
Dopo aver raccolto le sue confessioni gli investigatori vanno a trovare in carcere Totuccio Contorno, per indurlo a fare altrettanto. Quello vuole incontrare Buscetta nel suo rifugio segreto.
«Incontro commovente, anche se di poche parole, come si addiceva ai personaggi. Contorno si inginocchiò di fronte a un Buscetta magnanimo e paterno che appoggiandogli un braccio sulal spalla gli diede il suo viatico: “Cosa Nostra ormai finita. Totuccio, puoi parlare”. Una benedizione (in tutti i sensi) che provocò di lì a pochi giorni un’altra valanga di mandati di cattura» (Saverio Lodato). Centovetisette i mandati di cattura (blitz di San Crispino). Il giorno dopo ventimila giovani sfilano per Palermo di fronte agli uffici della Squadra Mobile e del Tribunale, ricordando tutti i caduti per mafia. È l’inizio del maxiprocesso di Palermo.
• All’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992, dà il via con le sue dichiarazioni all’inchiesta su Giulio Andreotti (processi di Palermo e di Perugia, rispettivamente per mafia e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli – vedi Gian Carlo Caselli). In particolare il 6 aprile del 93 dice di avere saputo da Badalamenti che l’omicidio era stato commissionato nell’interesse di Andreotti alla mafia che aveva voluto fargli un favore perché il giornalista era pronto a pubblicare parti inedite del memoriale di Aldo Moro.
Entità Prima di parlare ai giudici è stato sentito dalla Commissione Antimafia presieduta da Luciano Violante, il 16 novembre 1992.
«Certamente mi domanderete perché fino a pochi mesi fa non avevo parlato di politica; vi prevengo e rispondo subito: il giudice Falcone – che in pace riposi – venne molte volte negli Stati Uniti per chiedermi se fossi già pronto per parlare di politica. Credo che sia venuto tre volte e sempre ho risposto di no, fino a pochi mesi fa; se fosse ancora vivo il giudice Falcone, io risponderei di no, perché le sentenze ... A me non interessa se l’imputato venga condannato o no, è una cosa che non mi interessa, a me interessa però che quando pure in tribunale riescono a fare una sentenza che poi arriva a Roma e sento che il processo ricomincia tutto da capo, non capisco più niente, rimango nella mia ignoranza e dico: ma cosa succede? Cosa è successo di nuovo? Perché lo Stato italiano non vuole combattere la mafia, questo è il mio modesto parere. Quindi quando Falcone mi domandava, io ero sicuro che dovevo rispondere di no. Questa scelta non era mai stata condivisa dal giudice Falcone, perché egli voleva la mia collaborazione fra mafia e politica e io avevo sempre detto “no”, anche all’avvocato Galasso, parte civile nel maxiprocesso.
(…) Che cosa è cambiato dopo la morte del giudice Falcone e Borsellino? È cambiata una predisposizione nuova, un interessamento maggiore, una volontà a fare meglio di come si è fatto fino a pochi mesi fa; quindi mi trovo pronto alla collaborazione. Oggi in questa sede non ho nessuna intenzione di fare nomi di politici, non ho nessuna intenzione di sollevare polveroni; ho intenzione di farli e li farò ai giudici i quali non solleveranno polveroni, faranno indagini ed il nome del politico verrà fuori quando sarà opportuno che ciò accada. È assurdo che si debba sentire che Buscetta Tommaso parla a ruota libera con la trasmissione seguita, per poi domani sentirmi denunziare per calunnia. Non voglio essere calunniato e non calunnio. Le mie sono verità, ma quelle mie; se poi posso provarle o no, sarà competenza della giustizia appurare se le mie dichiarazioni siano vere o no. È mia convinzione che con le opportune inchieste giudiziarie, con il mio apporto - perché sono totalmente a disposizione – si potrà scoprire effettivamente questo rapporto».
I primi dubbi li insinua sul delitto Carlo Dalla Chiesa. Nel 79, mentre era detenuto in carcere a Cuneo, gli mandarono un’«imbasciata», per parlare coi brigatisti e sondare se avrebbero accettato di rivendicare l’omicidio. «Io circuii un brigatista che era con me, importante perché aveva partecipato al sequestro Moro, e gli dissi, logicamente non facendo affermazioni, allo stile mafioso: sarebbe stato bello uccidere il generale Dalla Chiesa perché a voi vi dà disturbo. Ma se qualcuno lo ammazzasse il generale Dalla Chiesa, voi lo rivendicate? “No, no, noi rivendichiamo il generale Dalla Chiesa solo se uno di noi partecipa”. Io mandai l’imbasciata indietro e il generale Dalla Chiesa, in quella occasione, rimase vivo perché io credo – io credo! – che l’entità che aveva chiesto il favore alla Cosa nostra di uccidere il generale Dalla Chiesa non voleva strascichi non si trovando chi aveva ucciso il generale Dalla Chiesa. Allora: ferma! Punto! Ma qual è il rimedio per uccidere il generale Dalla Chiesa? Secondo me – signori miei, non prendetemi per pazzo, per favore! – il generale Dalla Chiesa viene ucciso perché mandato in Sicilia ad andare a disturbare i mafiosi; e i mafiosi avrebbero dovuto liberarsi come un fatto fisiologico: tu ci disturbi, noi ti ammazziamo. Ma è vero questo il motivo perché viene ammazzato Dalla Chiesa? Non mi sono saputo spiegare? Solo così posso spiegarmi». Interloquisce Violante: «Nel 1979, però, che interesse c’era ad eliminare il generale Dalla Chiesa?». Tommaso Buscetta: «Bravo! Se lo spieghi da solo. Spiegatevelo voi che siete intelligenti più di me. Io non so spiegarvelo. Certo che ancora non aveva disturbato nessun mafioso».
• A Salvatore Cancemi che gli strangolò due figli, Benedetto e Antonio: «Tu non potevi rifiutare, io ti perdono perché so cosa significa Cosa Nostra».
• «Per la cronaca, Tommaso Buscetta perdette la verginità a otto anni. Fu il primo e ultimo incontro sessuale con una prostituta; la donna in questione aveva anche una bancarella che vendeva olive, formaggio e acciughe, e in cambio dei suoi favori non chiese che una bottiglia d’olio d’oliva. Dopo di allora le avventure amorose ebbero una gran parte nella vita di Buscetta. Dei suoi tre matrimoni (punteggiati da innumerevoli tradimenti), il primo lo contrasse quando aveva sedici anni, il secondo si sovrappose al primo, e la terza volta la sposa era la figlia di un illustre avvocato brasiliano, di ventidue anni più giovane. Buscetta ebbe in tutto sei figli» (Jhon Dickie). Cristina De Almeya Guimares, terza e ultima moglie, rimarrà a suo fianco fino alla morte.
• È morto di cancro negli States. Sulla sua lapide, per ragioni di sicurezza, non è stato impresso il suo vero nome (si calcola che in vita abbia assunto duecento false identità). In una delle sue ultime interviste: «Al termine del mio primo interrogatorio ci eravamo illusi che la mafia questa volta sarebbe stata sconfitta, che mafia nella nostra terra non ce ne sarebbe stata mai più. A settantun anni mi devo rendere conto di aver sbagliato previsione. La mafia è insita in ogni siciliano». Alla notizia della sua morte il senatore Giulio Andreotti: «Prego per la sua anima».
• «Perché parla Buscetta? È animato da uno fortissimo spirito di rivincita; sa di trovarsi con le spalle al muro. Ma c’è un’altra componente che riguarda la sua biografia. Ha girato il mondo. Gli hanno raccontato del secondo matrimonio del capo di una delle cinque famiglie di Cosa Nostra americana al quale assistette il figlio della sua prima mglie, mentre lui era stato aspramente criticato perché “aveva l’amante”. Ha rotto da Tempo – è questo che voglio dire – con una subcultura tipicamente siciliana. Non bisogna dimenticare che quando la polizia brasiliana, torturandolo, gli staccò l unghie dei piedi si limita a ribadire: “mi chiamo Tommaso Buscetta”. Lo portarono in aereo sopra san Paolo. Aprirono il portellone, minacciarono di lanciarlo nel vuoto. Milla. Né gli fecero cambiare parere le scosse elettriche o il fatto di essere stato legato ad un palo mani e piedi: non svelò mai i reati commessi, né quello che sapeva» (Giovanni Falcone). (a cura di Paola Bellone).