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 2014  giugno 23 Lunedì calendario

Appunti sulla strage di Motta Visconti


Ritratto di Carlo Lissi, il trentunenne che sabato 14 giugno, a Motta Visconti, ha ammazzato la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni, e i figli Giulia, 5 anni e mezzo, e Gabriele, 20 mesi: studi di ragioneria al “Bordoni” di Pavia, programmatore di software alla Wolters Kluver di Milano, da tutti descritto come uno «affettuoso con la moglie e premuroso con i bimbi». Per loro aveva montato una casetta colorata in giardino e gonfiato una piscina nel prato, quando rientrava la sera lasciava sempre la moto in fondo alla strada per non svegliarli. L'ultima immagine che Marco Candi, proprietario del bar Candinsky, ha di Lissi, risale a sabato mattina, quindici ore prima del triplice omicidio: «Spingeva il passeggino, portava a spasso Giulia». (tutti i giornali di martedì 17 giugno; C.Gu., Il Messaggero, 17/6)

Maria Cristina Omes, 38 anni, «bella, buona, spigliata, solare», volontaria alla Croce rossa fino alla nascita del secondo figlio, frequentatrice della parrocchia di cui organizzava le gite e animava la compagnia teatrale, presenza costante nelle feste del paese, si era sposata con Carlo Lissi, sette anni più giovane di lei, nel 2008. Vivevano, senza problemi apparenti, in via Ungaretti 20 a Motta Visconti, meno di ottomila abitanti nel cuore del parco del Ticino al confine tra le province di Pavia e Milano, in una bella villa con giardino acquistata coi soldi messi da parte per una vita dai genitori di lei. (tutti i giornali di lunedì 16 giugno)

Sabato sera alle 23 e 15 Carlo Lissi andò da un amico per vedere, insieme alla comitiva di sempre, la partita dell’Italia contro l’Inghilterra. Quando, passate le 2, fece rientro in casa, chiamò la polizia dicendo di aver trovato sua moglie morta in soggiorno, il corpo dilaniato da innumerevoli coltellate. Disse pure che girando nel silenzio per le stanze, aveva visto la piccola Giulia sgozzata nella sua cameretta e Gabriele sorpreso allo stesso modo mentre dormiva nel lettone di mamma e papà. Dalla cassaforte aperta mancavano pochi soldi, tali da non giustificare la mattanza. (tutti i giornali di lunedì 16 giugno)

Dopo svariati interrogatori in questura, la sera di domenica 15 giugno Carlo Lissi ha confessato di aver ammazzato moglie e figli prima di andare a vedere la partita dell’Italia a casa di amici. Lo ha fatto perché si era innamorato di una collega (che lo ha sempre respinto) e vedeva la sua famiglia come un ostacolo a un corteggiamento più serrato: «La famiglia era una gabbia. Non sopportavo più questa vita». Questi, dunque, i fatti: sabato dopo cena misero a letto i pupi, poi scesero in soggiorno e fecero l’amore sul divano di tessuto bianco, accanto al pianoforte e alle foto dei bambini. Finirono verso le 11. Lissi si alzò, vestito con le sole mutande andò al bagno poi in cucina, prese un coltello con la lama di 30 centimetri e ci colpì alla schiena la moglie, che si era rivestita e stava guardando la tv seduta sul divano. Quella provò a reagire, dopo la prima coltellata gli chiese il motivo di tanta cattiveria («Carlo perché mi fai questo, perché?»), ma lui continuò a colpirla fino a farla accasciare a terra. Quindi salì nella cameretta di Giulia che dormiva e senza fiatare la sgozzò. Fece lo stesso con Gabriele, che sognava beato a pancia in su nel lettone dei genitori. Scese in taverna, si fece una doccia, si rivestì, rovesciò qualche cassetto e lasciò aperta la cassaforte per fingere una rapina, uscì per andare a vedere la partita. Lungo la via gettò il coltello in un tombino. Gli amici raccontano che durante la serata ebbe pure il coraggio di esultare ai gol di Marchisio e Balotelli. Quando tornò a casa, la messa in scena del ritrovamento. Ai carabinieri che lo interrogavano alla fine disse: «Voglio che mi sia dato il massimo della pena. Sono stato io a uccidere mia moglie e i miei due figli». Quando gli chiesero «Ma non le bastava il divorzio?» rispose: «No. Con il divorzio i figli restano». (tutti i giornali di martedì 17 giugno)

Carlo Lissi ha passato sette giorni pianificando la strage. Lo ha detto lui stesso ai magistrati: «Ci pensavo da una settimana. Ormai non avevo scelta». E il momento migliore per sterminare la famiglia, aveva riflettuto, poteva essere proprio la notte di Italia-Inghilterra. La prima partita della nazionale al mondiale gli sarebbe servita per costruirsi l’alibi: avrebbe avuto almeno una quindicina di amici e conoscenti che sarebbero stati suoi testimoni e avrebbero detto che lui era con loro mentre sua moglie e i bambini venivano uccisi. (tutti i giornali di mercoledì 18 giugno)

«Se hai un uomo meraviglioso, che aiuta a equilibrare il tuo mondo, che non è perfetto ma è perfetto per te, che lavora duro e che farebbe qualsiasi cosa per te, che ti fa ridere, che è il tuo migliore amico, quello con cui vuoi
invecchiare e al quale sei grata ogni giorno, allora copia questo sulla tua bacheca. Ce ne sono pochi in questo mondo... E uno di quei pochi è con me» (frase scritta da Cristina, qualche tempo fa, sul suo profilo Facebook).
(Giornale di Brescia, 17/6)

«Pare che non ci fossero amanti, nella sua vita, se non la passione che nella sua testa si era accesa, negli ultimi mesi, per una sua collega nuova. Agli inquirenti ha spiegato che lui non stava bene, che avrebbe voluto cancellare gli ultimi sei anni della sua vita, il matrimonio, la nascita dei figli. Ha detto che si era pentito perché questa vita, così com'era, gli sbarrava la strada e la viveva come fosse la fatica di un dovere. Anche se con la collega non avrebbe avuto alcun futuro perché lei, impegnata, non era interessata a lui, Lissi ha ammesso che non ce la faceva. Neanche a discutere con la moglie di separazione, pure se poteva credere di non amarla o non averla mai amata [...]». Simone Bianchin, Repubblica, 18/6

La collega di cui si era invaghito Lissi, una 24enne che da tre mesi era stata assunta nella multinazionale di Assago (Milano) dove lavorava anche lui e che da poco era andata a convivere col fidanzato in una casa comprata lo scorso settembre: «Tutto è iniziato con qualche complimento quando ci si incrociava in corridoio o in qualche momento di pausa. Ma negli ultimi due mesi il suo atteggiamento si era fatto più insistente, più esplicito: si è passati agli inviti a cena, alle dichiarazioni d'amore, ai paroloni: diceva di essere pazzo di me, io rispondevo che non ci pensavo nemmeno a iniziare una storia. Gli ho detto che ero fidanzata, che non volevo saperne di uno sposato. Ma lui non si dava pace». All’inizio «lui si è comportato correttamente dicendo che capiva». Poi però era tornato alla carica, provando con le confidenze a far breccia: «Mi ha spiegato che si era fidanzato da giovane con la sua attuale moglie ma si erano separati perché lui non era convinto fosse la donna giusta. Dopo, non so per quale motivo, si erano fidanzati nuovamente e si erano sposati avendo due figli anche se lui mi dice spesso che questa situazione gli va stretta, nel senso che non ritiene di avere sposato la donna giusta». Tutti i giornali del 17/6

A Motta Visconti tutti descrivono Carlo e Cristina come «sposi perfetti». Alcuni amici, invece, raccontano che qualche problema in passato tra i due c'era stato: Cristina, di sei anni più grande, aveva un carattere molto forte e Carlo poche settimane prima del matrimonio era stato colto dal panico. L'altra crisi l'avevano rischiata tre anni fa, ma l'arrivo di Gabriele aveva scacciato tutto. Claudio Micalizio, Avvenire, 18/6.

Lo psichiatra Vittorino Andreoli: «L'elemento scatenante mi pare possa essere stato il rifiuto di quella collega che gli piaceva. Poniamo che lei l'avesse rifiutato dicendogli che era un uomo sposato e con dei figli: ecco, in un soggetto incapace di reggere alla frustrazione, la famiglia potrebbe essere diventata soltanto un ostacolo da rimuovere. Secondo questa logica aberrante, quando figli e moglie non ci fossero più stati sarebbe potuto tornare da lei finalmente libero e dirle che si sarebbero messi insieme. Badi bene, neppure gli importa che l'altra non lo voglia: ma la riduzione della donna a oggetto è un altro filo conduttore. Seguendo questa ipotesi, troverebbe una spiegazione anche il rapporto sessuale con la moglie prima dell'omicidio: faccio con te quello che non riesco a fare con l'altra». (Egle Santolini, La Stampa, 17/6)

[…] la domanda a questo punto è un'altra: come fa un semplice rifiuto, una vicenda così banale nella vita quotidiana, a scatenare una carneficina? Oppure, se preferisce, come mai qualcuno diventa assassino e molti, per fortuna, no? «Perché succeda occorre che s'instauri la completa mancanza di senso di rispetto per l'altro: che cioè importino soltanto i propri desideri, le proprie pulsioni, nell'assoluta assenza di leggi morali, di qualsiasi tipo esse siano, e di freni inibitori. Purtroppo questi casi sono la manifestazione estrema di una mutazione antropologica molto presente nel mondo contemporaneo. Mi riferisco al sempre più radicale scollegamento fra la sfera razionale e la sfera affettiva che presiede alle pulsioni, alle emozioni e ai sentimenti: oggi molti individui dotati di intelligenza, di razionalità, sono sempre meno capaci di gestire le proprie emozioni e se ne lasciano sopraffare. A questo aggiunga l'assoluta svalutazione della morte, che in molti casi non è più il dramma finale, il limite o, per chi ci crede, la via al paradiso. Oggi viene considerata soltanto come uno spettacolo. E, nella sostanza, non conta più nulla» (Vittorino Andreoli a Egle Santolini). (Egle Santolini, La Stampa, 17/6)

«Adesso che una famiglia intera non c'è più, altre due famiglie provano a farsi coraggio. Francesco Lissi, l'anziano padre di Carlo che ha ucciso moglie e due figli prima di farsi una birretta e godersi la partita dell'Italia in santa pace, le ultime energie le usa per chiamare la consuocera e darle la notizia che quasi tutti si aspettavano in questo paesone stretto tra Milano e Pavia: “Giuseppina, è stato il Carlo... Mi dispiace tanto...”. Francesco Lissi, finisce in ospedale in ambulanza per un attacco di cuore. Giuseppina Redaelli, la madre di Cristina Omes, la nonna dei piccoli Giulia e Gabriele, finisce nel peggiore degli incubi moderni, quello del mostro dietro la porta di casa, molto ma molto più vicino di quello della porta accanto: “Carlo mio, come hai potuto fare questo?”».Fabio Poletti, La Stampa 18/6

«In carcere lo guardano a vista ma lui sembra immobile come un ghiacciolo. Dicono che qualche lacrima l'abbia versata solo quando ha dovuto ricostruire nei dettagli dove ha colpito Giulia e come ha finito Gabriele con un solo guizzo di lama. Per il resto niente di niente. [...] Durante la confessione i carabinieri gli hanno offerto una pizza per fargli tirare il fiato e lui come se fosse al Candinski bar di Motta Visconti dove si trovava sempre con gli amici ha chiesto: “Non è che ci sarebbe pure una birra?”». Fabio Poletti, La Stampa 18/6

Giuseppina Redaelli, la madre di Cristina Omes: «A noi sembrava una coppia felice. Cristina non si aspettava una cosa simile da Carlo. È morta perché si è tenuta tutta dentro...» Fabio Poletti, La Stampa 18/6

«Nel giorno e mezzo che è durato il mistero sul triplice assassinio di Motta Visconti, abbiamo fatto in tempo a sentire un gran numero di testimoni accorati assicurare che quella era una famiglia felice, esemplarmente felice. Ecco un'altra nozione che la cronaca nera dichiara sospetta se non losca: la famiglia felice. Viene voglia di correggere Tolstoj così, che tutte le famiglie felici sono infelici a loro modo» (Adriano Sofri, la Repubblica 17/6).