18 giugno 2014
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Biografia di Claudia Minutillo
• Venezia 26 ottobre 1963. Ex segretaria dell’ex governatore del Veneto ed ex ministro Giancarlo Galan («Uomo di grande intelligenza e amante della bella vita, mi ha fatto cacciare senza nemmeno dirmelo in faccia») e imprenditrice al fianco di Piergiorgio Baita, presidente del gruppo Mantovani, una delle aziende costruttrici del Mose, nel febbraio 2013 fu arrestata per false fatturazioni e concorso in corruzione nell’indagine sugli appalti del Mose (vedi Giancarlo Galan). «Non sono una “tangentara”, né la dark lady descritta dai giornali, concentrati solo su dettagli stupidi e privati. Sono stata trattata in modo sessista dai media, solo perché sono una donna» (a Fabio Tonacci) [Rep 18/6/2014]. Ottenuti gli arresti domiciliari dopo aver confessato, adesso è libera.
• «Sveglia, bella e scaltra, Claudia Minutillo sedeva al centro del grande sistema corruttivo. Prima come attenta segretaria di Giancarlo Galan, poi come spregiudicata imprenditrice e prestanome per affari non proprio specchiatissimi. Infine da supertestimone della grande inchiesta, indagata e ora anche un po’ pentita. È lei, questa veneziana che vive in una casa alberata della prima periferia di Mestre, ad aver dato il via all’inchiesta che sta scuotendo il Veneto e la più grande opera pubblica d’Italia, il Mose. Con i pm di Venezia è stata un fiume in piena. Ha parlato delle mazzette alla Regione, al Ministero, al Magistrato alle Acque, della corruzione del generale della Guardia di finanza, del vorticoso giro di fondi neri nei quali è entrata a pieno titolo, di giornali acquisiti e pure di ragazze assunte per avere buoni rapporti con i Servizi segreti» (Andrea Pasqualetto) [Cds 7/6/2014].
• «Avevo potere solo perché Galan mi usava come filtro, dovevano tutti passare da me per avere un appuntamento. Fino al 2005 sono sempre stata accanto a lui, lavoravo 18 ore al giorno. (…) Siamo immersi in un sistema di corruttela troppo strutturato, troppo consolidato, nella pubblica amministrazione e nella magistratura, nella Corte dei conti e nei Tar, fino anche al Consiglio di Stato. Ovunque funziona così. Se vuoi i lavori pubblici, devi fare queste cose. Tant’è che i ricorsi delle gare per gli appalti le vinceva chi pagava di più. Eravamo convinti che quello fosse l’unico sistema possibile, che non si potesse fare diversamente. Solo quando ci hanno arrestato abbiamo capito la gravità delle nostre azioni. (…) Il sistema, le mazzette, le buste coi soldi, ci sembravano una cosa normale. (…) Tutti dicevano che da allora erano cambiati i metodi, ma la corruzione nei lavori pubblici era rimasta la stessa e nessuno avrebbe mai scardinato niente. Ci sentivamo un po’ onnipotenti, eravamo convinti di poter vincere tutte le commesse» (da un’intervista a Fabio Tonacci di Repubblica).