La Domenica del Corriere, domenica 10 gennaio 1932 , 13 giugno 2014
Tags : Soffrire per esser belle!
La Domenica del Corriere, domenica 10 gennaio 1932 Si soffre per tante cose. Si soffre per farsi una posizione, si soffre per conquistare la persona amata, si soffre magari per prendere il tranvai del mezzogiorno: perché non si dovrebbe soffrire per avere la bellezza, questo dono degli Dei, quest’arma che perfino il nostro austero Parini chiamava «terribile»? (Figurarsi noi, che non siamo austeri, e non siamo purtroppo nemmeno Parini
La Domenica del Corriere, domenica 10 gennaio 1932
Si soffre per tante cose. Si soffre per farsi una posizione, si soffre per conquistare la persona amata, si soffre magari per prendere il tranvai del mezzogiorno: perché non si dovrebbe soffrire per avere la bellezza, questo dono degli Dei, quest’arma che perfino il nostro austero Parini chiamava «terribile»? (Figurarsi noi, che non siamo austeri, e non siamo purtroppo nemmeno Parini.)
Ecco spiegato lo stato d’animo delle frequentatrici di quegli innumerevoli istituti di bellezza che pullulano nelle nostre città, e che non sono una delle tante singolarità del nostro tempo. Non che fin dall’antichità più remota non ci siano stati specialisti di bellezza. Gli egiziani erano famosi per certi loro miracolosi cosmetici di cui essi soli conoscevano i segreti; per vedere quello che le dame romane spendevano negli istituti di bellezza d’allora, non c’è che da rileggere certi passi delle commedie di Plauto; e quanto ai cinesi, duecent’anni prima di Cristo ci fu un loro originale imperatore, U-Ti, che fece costruire apposta un colossale istituto di bellezza che tutte le dame di palazzo dovevano frequentare (sicuro, la bellezza… Per decreto reale!) E dove era tale la profusione di profumi, che il popolino andava a prendere l’acqua del fiume dove finivano i condotti dei bagni, perché se ne serviva come acqua da odore.
Ciò che distingue le cure di bellezza del tempo nostro è il loro carattere eminentemente scientifico. Schiere di specialisti che non sono più empirici parrucchieri o cavadenti, ma professoroni con tanto di diplomi, elaborano le ricette più complicate, inventano i metodi più arditi. Non solo c’è quella determinata frizione, per esempio, per togliervi le accapponature dalla pelle delle braccia. Non solo si snellisce il collo ingrossato, per mezzo della cosiddetta ginnastica mimico-labiale, praticata con un apparecchio apposito che riattiva la glandola tiroide, o si colpiscono a morte i peli superflui, per mezzo della cosiddetta elettrolisi, cioè distruggendone, a uno a uno, il bulbo con un ago elettrizzato. Si va molto più in là, e l’ambizione e addirittura di rettificare la forma umana, di«rifare » plasticamente la natura.
Di qui tutta una vera e propria chirurgia della bellezza, le cui trovate, se paiono qualche volta un po’ farsesche, non mancano tuttavia d’essere ingegnose. Può far ridere, proporre di ridurre un naso difettoso all’armonica venustà del naso della Venere di Milo mediante iniezioni di grasso sterilizzato; eppure, dopo le ricerche di un professore austriaco, questo ormai si può normalmente con la più grande facilità. E quella di ingrandire gli occhi di una donna facendovi addirittura un piccolo taglio laterale, che viene poi mascherato con una finissima operazione di tatuaggio, non pare un’idea da giornale umoristico? Eppure ci sono specialisti parigini che lo fanno. Anche all’afflosciarsi delle guance e del mento si ripara con un’operazione semplice come l’uovo di Colombo, ma che richiede esperienza e destrezza di mano incomparabile: facendo un taglio nella pelle dietro l’orecchia, poi tirando in su tutta la pelle del viso, e infine ricucendo il taglio in modo invisibile, dopo aver spianato ben bene la pelle stessa e aver tagliato via la parte superflua. Quanto al dimagrimento per via chirurgica, ci sono artisti del bisturi estetico che, se volete, vi riducono evanescente come un’Ofelia, asportandovi tutti i cuscinetti di grasso che avete nel corpo. Voi direte: che orrore ma c’è chi sottopone a queste torture? Naturalmente. Credete che i chirurghi di bellezza pullulerebbero come fanno, se non ci fossero le ottimiste che li pagano? Magari poi col risultato di sentirsi dire, a cura finita: «guarda quel rudere rimessa a nuovo!»
Si soffre per tante cose. Si soffre per farsi una posizione, si soffre per conquistare la persona amata, si soffre magari per prendere il tranvai del mezzogiorno: perché non si dovrebbe soffrire per avere la bellezza, questo dono degli Dei, quest’arma che perfino il nostro austero Parini chiamava «terribile»? (Figurarsi noi, che non siamo austeri, e non siamo purtroppo nemmeno Parini.)
Ecco spiegato lo stato d’animo delle frequentatrici di quegli innumerevoli istituti di bellezza che pullulano nelle nostre città, e che non sono una delle tante singolarità del nostro tempo. Non che fin dall’antichità più remota non ci siano stati specialisti di bellezza. Gli egiziani erano famosi per certi loro miracolosi cosmetici di cui essi soli conoscevano i segreti; per vedere quello che le dame romane spendevano negli istituti di bellezza d’allora, non c’è che da rileggere certi passi delle commedie di Plauto; e quanto ai cinesi, duecent’anni prima di Cristo ci fu un loro originale imperatore, U-Ti, che fece costruire apposta un colossale istituto di bellezza che tutte le dame di palazzo dovevano frequentare (sicuro, la bellezza… Per decreto reale!) E dove era tale la profusione di profumi, che il popolino andava a prendere l’acqua del fiume dove finivano i condotti dei bagni, perché se ne serviva come acqua da odore.
Ciò che distingue le cure di bellezza del tempo nostro è il loro carattere eminentemente scientifico. Schiere di specialisti che non sono più empirici parrucchieri o cavadenti, ma professoroni con tanto di diplomi, elaborano le ricette più complicate, inventano i metodi più arditi. Non solo c’è quella determinata frizione, per esempio, per togliervi le accapponature dalla pelle delle braccia. Non solo si snellisce il collo ingrossato, per mezzo della cosiddetta ginnastica mimico-labiale, praticata con un apparecchio apposito che riattiva la glandola tiroide, o si colpiscono a morte i peli superflui, per mezzo della cosiddetta elettrolisi, cioè distruggendone, a uno a uno, il bulbo con un ago elettrizzato. Si va molto più in là, e l’ambizione e addirittura di rettificare la forma umana, di«rifare » plasticamente la natura.
Di qui tutta una vera e propria chirurgia della bellezza, le cui trovate, se paiono qualche volta un po’ farsesche, non mancano tuttavia d’essere ingegnose. Può far ridere, proporre di ridurre un naso difettoso all’armonica venustà del naso della Venere di Milo mediante iniezioni di grasso sterilizzato; eppure, dopo le ricerche di un professore austriaco, questo ormai si può normalmente con la più grande facilità. E quella di ingrandire gli occhi di una donna facendovi addirittura un piccolo taglio laterale, che viene poi mascherato con una finissima operazione di tatuaggio, non pare un’idea da giornale umoristico? Eppure ci sono specialisti parigini che lo fanno. Anche all’afflosciarsi delle guance e del mento si ripara con un’operazione semplice come l’uovo di Colombo, ma che richiede esperienza e destrezza di mano incomparabile: facendo un taglio nella pelle dietro l’orecchia, poi tirando in su tutta la pelle del viso, e infine ricucendo il taglio in modo invisibile, dopo aver spianato ben bene la pelle stessa e aver tagliato via la parte superflua. Quanto al dimagrimento per via chirurgica, ci sono artisti del bisturi estetico che, se volete, vi riducono evanescente come un’Ofelia, asportandovi tutti i cuscinetti di grasso che avete nel corpo. Voi direte: che orrore ma c’è chi sottopone a queste torture? Naturalmente. Credete che i chirurghi di bellezza pullulerebbero come fanno, se non ci fossero le ottimiste che li pagano? Magari poi col risultato di sentirsi dire, a cura finita: «guarda quel rudere rimessa a nuovo!»
P. Bon